Alessandra Riccio – https://nostramerica.wordpress.com
Nella sequela di morti che questo 2020 sta trascinando, quella di oggi mi è particolarmente dolorosa: è morto uno di quegli esseri insostituibili e indispensabili che si affacciano di tanto in tanto sulla terra, Eusebio Leal Spengler, Historiador della Città dell’Avana, l’artefice della grandiosa opera di restauro che ha restituito all’umanità il patrimonio di una straordinaria città.
La portata del suo lavoro è davvero complessa, avviluppata in un intreccio di artigianato, cultura, ingegneria, restauro, sociologia, politica, belle arti, conservatoria, ricerca di fondi, relazioni nazionali e internazionali di livello altissimo. L’ho conosciuto quando cominciava ad immaginare quello che poi avrebbe davvero realizzato. L’ho visto crescere, combattere, perdere e vincere e ricominciare sempre a lavorare. Ho intravisto la sofferenza fisica degli ultimi anni e la sua tenacia. Ne avevo parlato in un articolo della bella rivista “Belfagor” nel 2011. Lo saluto oggi, riproponendola a chi non lo avesse conosciuto. Lo saluto con tutta l’ammirazione di chi riconosce in lui un maestro del fare, un grande patriota e un cubano esemplare.
El Caballero de París
Quando l’ho visto per la prima volta per le strade dell’Avana, el Caballero de París era quanto di più incongruo con il contesto di quella città in rivoluzione ci si potesse aspettare; vestiva di nero –ma erano stracci-, la sua magra figura avvolta in un corto mantello, ed esibiva barba e capelli lunghi fin giù ai piedi. Sembrava un mendicante in un paese che non ne aveva più, ma non chiedeva elemosina; semplicemente aveva scelto di vivere fra le pietre di quella bella città del tropico, pur essendo nato a Lugo, in Spagna, nella fredda e piovosa Galizia. La sua figura raminga era nota a tutta la città e tutta la città ne tollerava l’aspetto e l’eccentricità anche se, periodicamente, e con l’approvazione generale, senza alcun rispetto per le rimostranze di quell’estroso caballero, veniva preso di peso, immerso in una vasca da bagno, e poi rimesso in circolazione con le unghie tagliate e barba e capelli di lunghezza accettabile. Si raccontava che ne usciva furioso e che sbraitava al vento, come era solito fare nelle sue camminate per la città senza rivolgersi a nessuno. Nonostante la sua incuria per l’igiene, il suo bizzarro girovagare, le sue furiose arringhe al vento, “nessun abitante dell’Avana avrebbe offeso con parole o opere il Caballero de París; era ammirato silenziosamente, e nessun ragazzino gli avrebbe lanciato contro una parolaccia, non importunava nessuno, non riuscivamo a capire dove mangiasse o bevesse e, nel suo apparente vagare per la capitale, era facile trovarlo in qualche sito recondito dove nascondeva il suo letto fatto di avanzi di carta e cartoni, inseparabilmente uniti alla sua insolita biblioteca (Fiñes, 26). Con il passare degli anni, la salute ferrea di quell’ossuto galiziano era venuta meno. Ricoverato nell’Ospedale Psichiatrico della città, gli era toccato un onore straordinario: lo scultore Héctor Calas lo aveva rappresentato in una efficace scultura quasi a supplire la sua assenza dalle strade della città, e l’Historiador de la Ciudad, Eusebio Leal Spengler aveva pronunciato un discorso per inaugurarla. Qualche anno dopo, nel 1986, el Caballero de París era passato a miglior vita, eppure, la sua sagoma è ancora lì, nelle strade della città perché Eusebio ne ha collocato l’immagine in bronzo sul marciapiedi del Convento di San Francisco, a perpetuarne il legame con la città e ha fatto anche di peggio: ha trasferito i resti di quel personaggio ribelle e indomito dal piccolo cimitero di Santiago de las Vegas, alla Basilica Maggiore di San Francesco d’Assisi. Un gesto quanto meno bizzarro che lo scrittore Eduardo Galeano ha descritto così: “Ora giace sotto il pavimento del convento di San Francesco, insieme ai vescovi, agli arcivescovi, i commendatori, i conquistatori. Là, nel luogo che meritava, lo seppellì Eusebio Leal, che è sempre stato anche lui pazzo per lei [L’Avana]”(Eduardo Galeano, Le labbra del tempo, Milano 2004, p. 139) . Galeano, con questo breve tratto di penna, rivela una delle cose che univano quel clochard all’instancabile, operoso e dinamico Eusebio Leal, e cioè il grande amore per la bella città dell’ Avana. Un amore indiscutibile ma non sufficiente perché nel gesto inconsueto dell’ Historiador c’è un omaggio al “simbolo della non conformità dell’uomo con il suo destino”, ma c’è soprattutto l’azzardato e grandioso gesto di “concedere verità al suo delirio immaginativo”: a chi per tutta la vita ha assunto la fantasiosa aristocrazia di Caballero de París, è stato concesso l’onore di riposare –da nobile- nella terra consacrata della Basilica Maggiore. Traggo queste parole di Leal da una lunga intervista contenuta in Legado y Memoria (2009), indispensabile per dipingere il ritratto di un uomo il cui lemma è Verba volant. Opra manent, pur essendo egli stesso un oratore di straordinario incanto che ha saputo usare la parola come un’utile arma per creare opinione, per esercitare la memoria collettiva, per insegnare il valore del patrimonio artistico e culturale.
Il titolo di cui si fregia –per noi abbastanza misterioso- di Historiador de la Ciudad, e che lo connota e identifica, nasce ufficialmente nel 1937, grazie alla caparbietà di uno studioso, Emilio Roig de Leuchsenring, che sentiva la necessità –in quel mondo ancora nuovo- di riprendere una tradizione antica e apparentemente fuori tempo, quella dei Cronisti delle Indie, grazie al cui spirito di osservazione e al cui diligente scrupolo professionale, nel corso dei secoli, si è venuto accumulando un patrimonio storico inestimabile di cui oggi siamo debitori. L’Ufficio dell’Historiador curava gli archivi, produceva pubblicazioni e indiceva conferenze ma aveva un grande sogno: quello di poter aprire un Museo della Città nel bellissimo Palazzo dei Capitani Generali, maltrattato e sfigurato dal vai e vieni di pubblico e impiegati della sezione municipale che lì aveva la sua sede e dove aveva trovato un piccolo impiego, subito dopo la vittoria rivoluzionaria, il giovanissimo Eusebio Leal che già in quel tempo non resisteva alla tentazione di svelare a chi entrava nel Municipio, la bellezza delle sale offese dai tramezzi, del patio trascurato e della scala monumentale ingrigita dall’uso improprio. L’incontro fra Emilio Roig e quel ragazzino, figlio di una bidella e di un poliziotto, si è poi rivelato decisivo per la salvaguardia di quel tesoro monumentale che è l’insieme dell’Avana Vecchia, dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO nel 1982.
No hay nada pequño que no pueda ser grande
Eusebio Leal è nato proprio all’Avana l’ undici settembre del 1942; sua madre Silvia, che vive ancora con lui, approfittando della generosità di una vedova loro dirimpettaia che raccoglieva ragazzini del quartiere per insegnar loro i primi rudimenti della lettura e della scrittura, le affida quel suo bambino straordinariamente sveglio e avido di conoscenza, pieno di curiosità per la città in cui vive. La sua istruzione continua poi in un asilo dove campeggia il ritratto di Froebel, lo stesso istituto in cui Silvia lavora a cottimo per mantenere l’ordine e la pulizia delle aule, contendendo ad altre donne della sua stessa condizione il numero delle classi a cui badare, un numero da cui dipende il salario con cui vivere. Con qualche soldo in più si azzarda ad iscrivere il figlio ad una scuola privata dove si pretende una disciplina a cui quel ragazzo, abituato alla vita di strada, non si piega facilmente. Bocciato in terza classe, riceve tuttavia una consolazione dalla sua amata maestra, il commovente libro Cuore di Edmondo De Amicis con tante storie di coraggio e di amor patrio, di ragazzini poveri e animosi in una lontana Italia le cui lotte per cacciare lo straniero ricordano da vicino le guerre del popolo cubano per liberarsi dal giogo coloniale, ancora vive nella memoria dei cubani che avevano proclamato la Repubblica solamente nel 1902. In quell’Istituto privato, contrariamente a quanto avveniva nella scuola pubblica repubblicana, anche se la religione non era obbligatoria, c’era tuttavia curiosità e tolleranza verso quei religiosi che chiedevano di poter catechizzare i giovani scolari. Nel caso di Eusebio Leal, il contatto con la religione cattolica avviene attraverso due predicatori dell’ordine del Carmelitani scalzi che lo preparano per la prima comunione, un evento che all’ultimo momento è messo in forse da un ostacolo apparentemente insormontabile: il costo dell’abito indispensabile per accedere alla cerimonia. Ancora una volta per risolvere il problema l’unica possibilità è quella di far ricorso alla carità di alcune dame benefiche che affittano l’abito per i bambini più poveri. Ormai arrivato alla soglia della licenza media, Eusebio deve lasciare gli studi e mettersi a lavorare, a sbrigare piccole faccende che lo tengono a contatto con il quartiere che già conosce come le sue tasche e nel quale si muove come un pesce nell’acqua fra la casa di una sartina e quella di una lavandaia, scambiando saluti con il venditore di ghiaccio o con il postino; un’umanità che è anche un sistema di amicizie e di solidarietà dove Eusebio, volta a volta ragazzo di bottega, venditore di caffé a domicilio, fattorino di farmacia, si muove con sicurezza perché quel reticolo di strade, quella folla vociferante, quella selva di venditori ambulanti sono casa sua, il suo posto nel mondo.
Conquistato provvisoriamente un piccolo impiego presso l’ufficio di un commerciante grazie a un diploma di dattilografia e stenografia, torna al mestiere di fattorino della Farmacia dell’Ospedale Calixto García. Questo coscienzioso ragazzo di strada, camminando per L’Avana, trova infiniti stimoli per le sue curiosità, a cominciare dalla più precoce delle sue passioni, quella del collezionismo, che è iniziata proprio curiosando nelle botteghe artigiane, nelle sacrestie, nei chiostri delle chiese e fra gli sgombri. Nel sotterraneo della Chiesa del Carmen, dove insieme ai giovani dell’Azione Cattolica, a cui si è iscritto nel 1957, leggevano poesie e provavano opere teatrali, scopre quadri che gli sembrano meravigliosi, misteriose iscrizioni, lampade e altri oggetti affascinanti che stimolano la sua vocazione di antiquario. Fuori da quelle mura, però, e soprattutto nei dintorni della Farmacia dell’Ospedale, dove sorge l’Università, la vita della città si fa sempre più agitata e drammatica, al Pronto Soccorso arrivano morti e feriti, accanto alla Chiesa del Carmen c’è il caffé dove si riuniscono i giovani del Directorio Estudiantil, “dai nostri tavolini […] passavamo il tempo a guardare il passeggio; ma un giorno qualcuno ci fece notare dei giovanotti che occupavano uno degli angoli più discreti e privilegiati della sala. –Sono rivoluzionari- ci dissero” (Fiñes, 67).
Il disgusto per il tiranno Batista è generalizzato, Eusebio è stato educato dai frati carmelitani all’anticomunismo, per questo comincia la sua militanza nella Agrupación Católica Universitaria che trova rifugio dalle cariche della polizia batistiana, nelle navate della Chiesa de Carmen le cui pesanti porte vengono sbarrate prontamente da padre Adelino. Un sacerdote dal nome assai importante per Cuba, Carlos Manuel de Céspedes, che, insieme alla cugina italiana Alba, è l’ultimo discendente di colui che aveva dato inizio alla guerra contro la dominazione spagnola nel 1868, diventa suo amico e lo resterà per tutta la vita. L’incontro fortuito con un ex seminarista, El Curita, cattolico praticante, che dirige una tipografia clandestina nel cuore di un popoloso quartiere, lo induce a passare nelle fila del Movimento 26 Luglio, creato e guidato da Fidel Castro. El Curita verrà assassinato qualche giorno prima del grande sciopero generale del 1958.
Il 1° gennaio 1959 indossando il braccialetto che lo identifica come militante del M 26-VII, entra nella VI Stazione di polizia dove sono conservati i dati segnaletici dei ribelli e in un impeto incontrollabile, sottrae quelli di Fidel e Raúl Castro.
Quella giornata di rilevanza storica lo priva, però, per sempre di suo padre, un poliziotto batistiano, assente dalla vita e dalle responsabilità di casa e tuttavia assai ammirato dal figlio per il suo aspetto di uomo forte e vincente; un uomo che, con certezza, non avrebbe perdonato al figlio adolescente, con il quale si è incontrato molto poche volte, nessun atteggiamento favorevole alla Rivoluzione, anche a costo di ricorrere alla violenza. Leal dirà in seguito: “Mio padre rappresentava un tempo che se ne andava via, e non si rendeva conto che io mi dibattevo fra due realtà: la mia ammirazione per la sua persona e la necessità –essendo appena un adolescente- di farmi strada per creare la mia storia personale su quell’edificio che stava franando” (Legado y Memoria, 25) Questa persona, minacciosa e autoritaria, all’alba del primo gennaio del 1959 è fuggito dall’isola al seguito dell’uomo che aveva appoggiato e servito, Fulgencio Batista. Per tutte queste ragioni, Eusebio è confuso e lacerato da tante contraddizioni. Ma ormai è tempo di definizioni anche se era ancora un ragazzo, anche se non aveva nemmeno cominciato a vivere: “Noi bambini ci eravamo trasformati in adolescenti ed è stato proprio in questa età così promettente e così bella della vita, che ci ha sorpreso la rivoluzione”(Fiñes, 69). Ottiene il diploma di licenza media grazie alla istituzione Educación Obrero Campesina e si dedica completamente al lavoro presso l’Ufficio del Historiador, per collaborare al grande sogno di Emilio Roig de Leuchsenring: la creazione del Museo della Città nello storico edificio della Plaza de Armas che la Rivoluzione ha intanto provveduto a sgombrare trasferendo altrove gli uffici comunali.
Todo puede ser negado, menos los hechos; la historia es como es, no como quisiéramos.
In quei primi anni di rivoluzione, mentre il paese tutto è in ebollizione, alfabetizza, vara la riforma agraria, difende il territorio patrio dall’attacco mercenario della Baia dei Porci, si dichiara socialista, affronta il pericolo devastante di una guerra nucleare durante la crisi dei missili, per fortuna c’è spazio e tempo per stimolare una cultura alla portata di tutta la cittadinanza, vengono fondati importanti centri come la Casa de las Américas o l’Istituto Cubano di Arte e Industria Cinematografiche. Più silenziosamente, nella Plaza de Armas, Emilio Roig e il suo fedele scudiero Eusebio Leal, sono al lavoro per recuperare materiale, documenti, testimonianza da esibire nelle sale del Museo de la Ciudad de La Habana che si vanno faticosamente allestendo. Ma nel 1964, dopo una malattia invalidante, Emilio Roig muore; il vuoto lasciato dietro la sua storica scrivania viene riempito dalla vedova, María, che è al corrente di ogni particolare del progetto e delle ricerche del marito, e da quel giovane segretario dalla memoria di ferro. Insieme porteranno a compimento quello che non era solo un desiderio e un’utopia, ma che rispondeva adesso pienamente alle necessità che la rivoluzione avrebbe dovuto riconoscere e spronare, di ricordare ai cubani la loro storia, da dove erano partiti, quale era stato il loro passato e verso dove si dirigevano. Eppure, la morte dell’Historiador porta ad un rallentamento dei lavori; si rischia che il materiale vada disperso fra Istituto di Storia, Biblioteca Nazionale, Archivio e Accademia delle Scienze ma la buona volontà delle cinque o sei persone che costituiscono lo staff dell’Ufficio è tale, la ostinazione della vedova è talmente forte, che riescono a far nominare proprio il giovane segretario Leal, armato solo della sua licenza media, come successore di don Emilio. A chi, qualche anno fa, gli chiedeva se sentisse predilezione per qualcuno dei tanti monumenti che ha riscattato, Leal rispondeva: “Per il Palacio de los Capitanes Generales. Lì sono passati 46 anni della mia vita, dall’agosto del 59. Ho cominciato a lavorare in quel palazzo quando avevo solo 17 anni fino ad oggi. E’ tutta una vita. Io posso entrare alla cieca in quella casa e so dove andare” (Eusebio leal: un gladiador que viste de gris, Intervista a Elisabeth Mirabal Llorens, Trabajadores, 26.5.2007)
E’ una responsabilità enorme che Leal assume con tutta la passione dei suoi anni giovani, del suo amore per la storia e per le antichità, con la sua assoluta devozione al bello, con il suo sincero patriottismo.
Eusebio Leal ricorda quei momenti –i cambiamenti prodotti dalla rivoluzione, l’incertezza generale, l’euforia e la paura, la fuga di tanti familiari, di tante persone amiche- con queste parole: “Non è che abbia deciso di rimanere, è che poco a poco sono rimasto … come un piccolo Prometeo incatenato alla roccia, dibattendomi tra Fede e Rivoluzione” (Legado y Memoria, 11). Ma lo ha aiutato soprattutto l’impresa del Museo, la volontà di vedere tradotta in opera quella grande idea e, una volta raggiunto lo scopo, la voglia di intraprendere immediatamente una nuova e più grande avventura nonostante le difficoltà e gli intralci, nonostante i non pochi momenti di crisi, anche interni alla rivoluzione, fra i quali va ricordata una segnalazione contro di lui, accusato di comportamenti antisociali e pronto per essere mandato nei tristemente famosi campi di riabilitazione (UMAP) dove omosessuali, cattolici, disobbedienti di vario genere avrebbero dovuto essere recuperati al corretto comportamento rivoluzionario. Già con i capelli rapati, grazie all’aiuto di chi lo stimava, Eusebio Leal ritorna a lavorare nel cantiere ormai aperto nel Palacio de los Capitanes Generales e il suo lavoro non è solo quello di organizzare, di pianificare e di progettare, ma è anche quello materiale di caricare mattoni e di impastare la malta.
Così ha fatto sempre: il suo modo di lavorare è stato sempre a tutto campo, al piè dell’opera e gomito a gomito con tutti i suoi collaboratori.
Mentre il cantiere avanza, Leal freme: quando, nel 1970, Fidel Castro impegna il paese nella più grande raccolta di zucchero della sua storia, La Zafra de los diez millones, il nostro non può rimanere fuori da questo immenso sforzo collettivo; visto che tutti sono all’opera in campagna, decide di portare il museo lì dove ci sono gli utenti, negli sterminati campi di canna dove la sera, al lume delle lampade ad acetilene, i robusti macheteros che lavorano insieme a professionisti, intellettuali, impiegati, sentono raccontare la storia dei quel rozzo strumento di lavoro che hanno maneggiato fin da bambini e che adesso, nella voce di Leal, scoprono essere stata anche l’arma di riscatto contro il dominio spagnolo e accarezzano reverenti un prezioso reperto: il machete di un padre della patria. E’ una prima dimostrazione di cosa intenda per museologia il giovane Historiador: una scienza che sappia ispirare curiosità e rispetto per la memoria del passato, che aiuti ad amare la bellezza mettendola sotto gli occhi del pubblico; e questo Leal lo ha fatto mentre la rivoluzione si presentava come una forza che cancellava il recente passato per slanciarsi verso un futuro diverso e migliore. La lezione che Leal insiste a dare, senza intorpidire lo slancio verso il nuovo, è che le radici sono il fondamento della identità di un popolo e che comunque ciò che è stato non può e non deve essere cancellato; che piuttosto bisogna misurarsi con il passato senza timori e senza inutili reverenze. Da quei giorni, divisi fra il cantiere e la campagna, Eusebio ha mantenuto l’abitudine di vestire con camicia e pantaloni di un robusto tessuto grigio, lo stesso che indossavano i macheteros durante il taglio della canna. E’ la sua divisa, è l’indumento che lo rende riconoscibile fra la folla che cammina per l’Avana Vecchia, il centro storico che ha fatto risorgere dalle rovine, dove ogni mattina, piuttosto presto, ha l’abitudine di fare un giro per mantenersi informato e constatare di persona i progressi di questo cantiere ormai senza fine. Non è certamente la durata dell’impresa a spaventare Leal. Una volta, nella sua isola tormentata dai cicloni, ha commentato: “Lasciamo che il ciclone, come una forma disordinata e terribile della natura, geli, distrugga, rompa. Ci consolerà avere il tempo e la vita per assicurarci la possibilità di riparare e di tornare a piantare” (Legado y Memoria, 260).
Todo está sujeto a leyes, dicen los clásicos, excepto el azar
I lavori del Museo terminano nel 1979, lunghi anni di duro lavoro durante i quali Leal ha anche trovato il tempo di laurearsi in Storia; ma intorno a quella vera e propria oasi di ordine, di bellezza e di stimoli per gli utenti (l’ingresso è gratuito e nel bel patio che ospita una statua di Cristoforo Colombo, all’imbrunire si tengono concerti e conferenze), la città vecchia cade in rovina. Il governo rivoluzionario ha fatto una scelta politica: riscattare la campagna e la provincia dallo storico abbandono in cui erano state lasciate, un abbandono che strideva fortemente con la lussuosa capitale dove si erano concentrate le ricchezze, gli affari e l’industria dello svago di un paese che languiva in periferia. Solamente negli anni settanta si è tornati a parlare del problema della conservazione del patrimonio monumentale dell’Avana Vecchia, anche grazie a persone come Eusebio Leal che dentro di sé aveva già deciso di votarsi a questa causa. Nel 1976 il nascente Ministero della Cultura prepara un progetto generale di restauro del quartiere che nel 1978 viene dichiarato Monumento Nazionale e nel 1982 Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO.
Leal non se ne è rimasto tranquillo. Si è impegnato in una campagna che, se da un lato non trascurava i rapporti con le autorità, dall’altro lavorava a fondo per formare un’opinione pubblica cittadina e nazionale che riconoscesse il valore di quello straordinario patrimonio, ci si affezionasse e si trasformasse nella leva più efficace e legittima perché il potere assumesse l’impresa per quello che era: una naturale e necessaria richiesta popolare. Per farlo si è impegnato in conferenze, relazioni personali, inviti a personalità del mondo intero, ha chiesto aiuto a tutti e ha investito molto tempo in una serie di trasmissioni televisive in cui ha saputo parlare dell’Avana Vecchia, delle sue strade a reticolo, delle piazze decadenti, riuscendo a fare immaginare ai telespettatori cosa ne sarebbe potuto venire fuori se si fosse riusciti a restaurare interi edifici, balconate, ringhiere, antichi orci, selciati seguendo un metodo tecnicamente valido –Eusebio è riuscito a mandare le sue maestranze nei migliori centri di restauro, molti dei quali in Italia- ma filologicamente molto personale. Una caratteristica dell’Historiador è infatti quella di lasciare che l’immaginazione ricami sui dati della storia, sulla testimonianza degli eventi. La tradizione, sostiene, arricchisce di fascino; il mito, la leggenda valgono tanto quanto l’evento storico nudo e crudo. Per anni si è discusso se la voce di una visita a Cuba di Giuseppe Garibaldi, sotto la falsa identità di Giuseppe Pane, fosse vera o falsa; Eusebio Leal ha tagliato corto e ha apposto una lapide lungo il perimetro del Museo de la Ciudad evocando l’evento. Qualche anno dopo, una studiosa ha trovato il documento che prova la verità di quella visita. Perché lo storico Leal aveva rischiato imprimendo nel marmo un avvenimento non provato? Semplicemente perché era giusto che il leggendario Eroe dei due Mondi avesse tenuto conto dell’eroica lotta del popolo cubano, l’ultimo a liberarsi dal giogo spagnolo. Se non era vero era ben trovato. La vox populi vuole che la città dell’Avana sia stata fondata in una località del porto dove sorgeva un albero sacro, la ceiba, e dove c’è ancora un piccolo tempio, El Templete. Naturalmente non ci sono prove documentarie del fatto, tuttavia la tradizione popolare è antica e ancora vitale. Nel giorno della ricorrenza della presunta data di fondazione, la tradizione trascina una folla di cittadini verso il Templete dove il rito vuole che si facciano tre giri intorno all’albero sacro. Superstizione, leggenda, credenza popolare, non è questo che interessa Leal, a lui interessa sapere che l’Avana Vecchia è un organismo vivo che pulsa nel cuore dei suoi cittadini.
Un Decreto-legge del 1993 riconosce l’Avana Vecchia come Zona Priorizzata per la Conservazione, e l’Ufficio dell’Historiador diventa la massima autorità per il recupero del territorio potendo godere di un apparato economico, istituzionale e legale fortemente autonomo. Il Decreto Legge parte dal presupposto che la cultura sia l’asse principale per lo sviluppo e che l’essere umano debba essere il protagonista e il beneficiario di questo processo che deve, però, apportare al paese redditività economica, impegno sociale e sostenibilità ambientale. Proprio negli anni dell’infausto “Periodo Speciale”, quando Cuba è rimasta senza il sostegno del campo socialista dopo il crollo del muro di Berlino, la responsabilità di cui è stato investito Leal è stata davvero grave in un paese impoverito e al bordo del collasso. In questa occasione, Leal ha rivelato tutte le sue doti di procacciatore di donazioni, di abile propagandista, di efficace amministratore. Invece di ridurre le ambizioni e le spese, non ha rinunciato a nessuno dei progetti di restauro e ha dimostrato davvero che l’Avana Vecchia poteva essere salvata senza essere venduta, che si poteva restaurare un intero quartiere senza scacciarne gli abitanti, facendone un grande e redditizio motore del turismo.
Intanto, ha continuato a studiare, ha accumulato titoli e onori, è insignito della Legion d’Onore e perfino di Cavaliere della nostra Repubblica, ha un gran numero di lauree Honoris Causa, è membro del Partito Comunista di Cuba, Deputato all’Asamblea del Poder Popular, il parlamento cubano, e non è ancora stanco, anche se ha confessato: “L’Avana Vecchia mi ha rubato il tempo della vita; ho voluto rinchiuderla fra le petree pareti di un museo, e lei, come giusta vendetta, mi ha fatto prigioniero delle sue mura per sempre” (Regresar en el tiempo, 6).
Hacer el último esfuerzo para que nuestro tiempo no se pierda
Nonostante i grandi successi mietuti nei suoi laboriosi anni di vita, bisogna riconoscere che niente è stato facile per Eusebio Leal, lo confessa senza rimpianti e senza rancore. La sua vita è stata sempre lacerata dalla difficile impresa di conciliare le differenze. La sua personale visione del mondo non concepisce gli aut-aut, il bianco o il nero, il giacobinismo, e ha molto sofferto nei momenti più manichei di una rivoluzione che ha sempre scelto, sostenuto e appoggiato. Nei lunghi anni in cui una professione di fede escludeva dalla militanza nel partito comunista e produceva una serie di conseguenze sfavorevoli, Leal si è apertamente dichiarato cattolico più che come una professione di fede, come una professione di libertà, “la libertà che ha ogni essere umano di scegliere un modo di condotta, di essere singolare dentro la società in un modo o nell’altro” (Legado y Memoria, 51).
Gli anni hanno rafforzato la sua convinzione che solo il socialismo potrà apportare un futuro degno all’umanità, tuttavia, esorta: “Visto che abbiamo combattuto tanto per l’unità, adesso dobbiamo lottare per la pluralità. E soprattutto per rispettare al massimo la diversità. Credo nel diritto ad essere singolare. Lo sono e cerco di esserlo, ma nei limiti della lealtà” (Legado y Memoria, 57).
In questi anni cruciali per la rivoluzione cubana, gli interventi pubblici di Eusebio Leal sono attesi con grande interesse perché è stata una delle personalità del paese che ha saputo toccare argomenti solamente sussurrati, portandoli all’attenzione del paese con la straordinaria capacità di dire le cose più delicate con il tatto di chi parla a partire da sé e dalle proprie, personali esperienze. Eppure confessa di non credere di avere coraggio, di ritenersi una persona “timorata”, e che per darsi coraggio si è servito delle parole del poeta e patriota della guerra di indipendenza, José Martí, che ha sostenuto che il modo migliore per non temere il soldato, sia quello di diventarlo; arruolato nelle schiere della rivoluzione per profonda convinzione, ne ha combattuto le contraddizioni e ne ha accompagnato l’epopea con la prudenza necessaria, una dote che riconosce come caratteristica di Fidel Castro e che ritiene sia la virtù più rivoluzionaria e radicale.
Bibliografia
Pubblicazioni di Eusebio Leal
La sua produzione scritta verte sulla storia del paese e dell’America Latina, la memorialistica, il ricordo anche aneddotico, la questione del restauro, l’evocazione di personaggi storici, di visitatori illustri, ricordi di viaggio, discorsi e conferenze pronunciati a Cuba e nel mondo. Pochi gli accenni personali e, negli ultimi anni, più numerosi gli interventi sugli intellettuali e la politica. Negli anni duri del “periodo speciale”, quando a Cuba, oltre ai generi di prima necessità, mancava anche la carta, Leal ha pubblicato in Italia con la casa editrice Electa. Nel 1996, Leal ha fondato la Casa Editrice Boloña, nell’ambito della competenza dell’Ufficio del Historiador, che pubblica una bella rivista mensile, “Opus Habana”. Da questo momento, tutte le sue pubblicazioni sono uscite con questo marchio e sono state arricchite da illustrazioni di ottima qualità.
– La Habana intramuros, Oficina del Historiador de la ciudad, La Habana, 1975.
– Regresar en el tiempo, Ed. Letras Cubanas, La Habana, 1986.
– La Habana: ciudad antigua, Ed. Letras Cubanas, 1986.
– Detén el paso, caminante. Tr. italiana Gabriella Vismara Electa, Italia, 1988.
– Verba Volant. Electa, Italia, 1990.
– Fiñes, Ed. Plaza Vieja, La Habana, 1994.
– Regresar en el tiempo. Letras Cubanas, La Habana, 1995.
– Andar La Habana, I, 1995; II, 1996.
– . La luz sobre el espejo, 1996.
– El diario perdido de Carlos Manuel de Céspedes, (editore),1998 (I ed., Editorial Ciencias Sociales, La Habana,1994).
– con altri, La necrópolis Cristóbal Colón, 1999.
– Poesía y palabra, t. I, 2000; t. II, 2001.
– Para no olvidar, t. I, 2001; t. II, 2002.
– Fundada esperanza, 2003.
– Patria Amada, 2006.
– Legado y memoria, La Habana 2009.
Bibliografia citata
Eusebio Leal Spengler, Legado y Memoria, Ediciones Boloña, La Habana, 2009.
– Regresar en el tiempo, Editorial Letras Cubanas, La Habana, 1986.
– Fiñes, Coedición entre Publicimex y Ediciones Plaza Vieja, La Habana, 1991.
– Palabras al encuentro de intelectuales y artistas en vísperas del 52 Aniversario de la Revolución, 29,12,2010.
– Aquí, donde se reunieron las sangres, Presentazione della rivista “Casa de las Américas” n. 59-60, in ”La Jiribilla”, (www.lajiribilla.co.cu/2010/n495_10/revisteria.html), dicembre 2010.
Eduardo Galeano, Le labbra del tempo, Sperling & Kupfer, Milano, 2004.
Elisabeth Mirabal Llorens, Eusebio Leal Spengler: un gladiador que viste de gris, in “Trabajadores”, 26 maggio 2007.