Katiuska Blanco https://redh-cuba.org
Il lancio della bomba atomica sulle inermi città di Hiroshima e Nagasaki, il 6 e 9 agosto 1945, commossero, drammaticamente ed indimenticabilmente, Fidel. Riconobbe come sorprendenti i racconti dell’esplosione e le sue terribili conseguenze. Solo poche settimane addietro aveva terminato i suoi studi liceali nel Collegio di Belén e, durante le settimane trascorse nello spazio accattivante della grande casa di Birán, si stava preparando per iniziare la facoltà di Giurisprudenza all’Università dell’Avana, nel settembre di quell’ anno. Nel momento in cui fu diffusa la notizia del bombardamento di Hiroshima, Fidel era in visita a Santiago de Cuba. Nessuno, allora, aveva la minima idea dell’esistenza di un’arma di tale natura. Tre giorni dopo bombardarono Nagasaki. Provò una sensazione di repulsione ed un rifiuto totale di quell’atto criminale; un’opinione che rimase immutata per tutta la sua vita.
A Birán, dal 1936, quando aveva dieci anni, aveva cominciato a preoccuparsi di quanto succedeva nel mondo, leggendo ad alta voce, al cuoco Manuel García, le notizie della Guerra Civile Spagnola che, con maggiore o minore fortuna per la parte repubblicana, informavano i giornali arrivati dalla capitale. Persino dalla metà dell’anno precedente -1935- e durante i mesi che durò, seguì con grande interesse la Guerra in Abissinia. Così, per la prima volta, aveva avuto la nozione che il mondo fosse un luogo scosso ed ingiusto, dove si stavano ancora combattendo grandi battaglie. Gli eroi e gli antieroi non erano qualcosa del passato o dell’antichità remota. Mentre studiava nei collegi, provava un enorme fascino per le personalità eccezionali della storia, come Alessandro Magno, Annibale o Napoleone ma, in seguito, profondo rispetto ed ammirazione per coloro che non erano conquistatori, ma liberatori dei popoli: Miranda, Simón Bolívar, Sucre , San Martín, e quasi subito ammirazione ed orgoglio per i più vicini e cari agli abitanti dell’arcipelago cubano: l’Apostolo José Martí, il Generalissimo Máximo Gómez ed il Titano di Bronzo Antonio Maceo.
Nel 1939 scoppiò la II Guerra Mondiale. A 13, 14 anni, si teneva aggiornato sulle notizie sul fronte bellico. Gli eventi dell’epoca gli lasciarono una profonda impronta. Non poteva ancora immaginare che per difendere nobili cause, avrebbe dovuto condurre una lotta guerrigliera sulle montagne e più tardi nell’arena internazionale come un gladiatore della pace, della solidarietà e della giustizia in difesa dei popoli, degli umili, dell’intera umanità, contro la egemonica dominazione imperiale ed il capitalismo globalizzato. Su quella strada, inesorabilmente, sarebbe rimasto il ricordo della devastazione e sofferenza provocate dall’inumano e criminale bombardamento atomico USA degli abitati di Hiroshima e Nagasaki, una tragedia che metteva davanti ai suoi occhi la potenza devastante di un altro tipo di guerra.
Fidel era convinto del principio martiano: “Trincee d’idee valgono più di trincee di pietra” e sempre considerò che per la guerra di carattere popolare gli imperi non avevano una formula efficace, come per la guerra convenzionale; per una guerra contro un popolo non valeva tutta la forza militare e tecnologica del mondo. Poneva un esempio storico, quello di Napoleone, che nelle sue parole: “era un generale vittorioso in tutta Europa, invase la Spagna ed il popolo spagnolo lo sconfisse. Non servì a nulla tutta la capacità strategica di Napoleone, tutte le manovre, la lotta contro i contadini, i lavoratori del popolo lo sconfissero con un altro tipo di lotta. Forse Napoleone, contro un esercito spagnolo di 100000 uomini, lo avrebbe sconfitto, proprio come ad Austerlitz ed in tanti luoghi. Lui stesso fu sconfitto a Waterloo, una battaglia che aveva vinto; ma all’improvviso apparve una truppa nemica, che credeva distante, e lo sconfisse. Quel tipo di battaglia si può vincere o perdere; nella guerra contro il popolo è difficile ”.
Ma quanto successo ad Hiroshima e Nagasaki prospettava un’altra situazione, radicalmente diversa, debordava da quanto aveva letto sui giornali o in Guerra e Pace di Leon Tolstoi, un romanzo che affronta un bivio cruciale e dove l’autore riflette su cosa significa, in perdite e dolore, un conflitto. Fidel ebbe, dal criminale bombardamento atomico USA sul Giappone, la nitida convinzione che, ai nostri tempi, esistesse un altro tipo di guerra, una guerra di dimensioni apocalittiche, devastante persino per l’esistenza della specie umana sul pianeta: la guerra nucleare, sull’orlo della quale Cuba stette durante la Crisi di Ottobre del 1962. Una minaccia che perdurò per lungo tempo e rimase latente, nel suo pensiero, come una preoccupazione e motivo di lotta per la pace per tutti i popoli.
Nel giudizio di Fidel, i problemi posti dalla guerra nucleare sono insolubili e per questo sostenne sempre che la cosa migliore sarebbe stata che tutte le armi nucleari fossero distrutte. Sostenne, instancabilmente, il disarmo totale affinché la Terra non si vedesse costretta a convivere con il perenne pericolo che implica la possibilità che si scateni una guerra di questa portata, un vero cataclisma. Avvertiva che persino da un errore poteva scatenarsi una simile tragedia, perché disgraziatamente, le colossali energie che gli scienziati furono capaci di mettere nelle mani dell’uomo, erano servite, tra l’altro, a creare uno strumento autodistruttivo e crudele come l’arma nucleare.
Nel marzo 2003, dopo un intenso viaggio che lo portò in Cina, Vietnam e Malesia, dove partecipò alla XIII Riunione di Vertice del Movimento dei Paesi Non Allineati, durante una visita di transito in terra giapponese, lo storico dirigente della Rivoluzione Cubana giunse alla città di Hiroshima. Denunciò che, disgraziatamente, quanto accadde non servì da lezione al mondo. Ricordò che dopo i terribili eventi lì avvenuti, il globo s’incamminò verso una incredibile corsa agli armamenti. Visitò il Memoriale della Pace, dove il silenzio turba ed ogni anno si ricorda le vittime dell’olocausto nucleare. Nel libro di tributo, Fidel scrisse: “Che mai riavvenga una simile barbarie”. Ferisce nel più profondo pensare che un atto del genere sia avvenuto per intimidire l’Unione Sovietica e tutti i popoli del mondo, ed assicurare quindi la superiorità geopolitica, e non come viene narrato in qualche storiografia, per vincere la guerra contro l’Impero giapponese, alleato della Germania e all’Italia fasciste.
Il 21 settembre 2010 Fidel si riunì all’Avana con più di 600 passeggeri della Crociera per la Pace, quasi tutti di nazionalità giapponese e tra i quali viaggiava un sopravvissuto all’omicidio di massa, Junko Watanabe, membro del movimento Hibakusha. Il Comandante in Capo della Rivoluzione Cubana apprezzò come molto speciale ed importante l’incontro con coloro che si distinguevano per la loro esperienza accumulata sul tema della lotta per la pace, a partire, persino dai testimoni e le strazianti esperienze di un tale brutale ed insolito fatto come quello; dove s’impiegarono armi nucleari su due pacifiche città. Poi segnalò che il progetto della Crociera era un esempio delle cose che aiutano a prendere coscienza, perché l’esposizione di tutto ciò che è lì accaduto e del danno umano che causò, nonostante il tempo trascorso, tornava a commuovere l’opinione pubblica internazionale. “Non credo”, disse, “che sia avvenuto qualcosa di più espressivo di ciò che è la guerra”.
Il 14 febbraio 2016, Fidel affermò in una Riflessione firmata 18 minuti dopo le dieci di sera: “La pace è stata il sogno dorato dell’umanità. Desiderio dei popoli in ogni momento della storia. Migliaia di armi nucleari pendono sulle teste dell’umanità. […] Lottare per la pace è il dovere più sacro di tutti gli esseri umani, qualunque sia la loro religione o paese di nascita, il colore della pelle, in età adulta o nella loro gioventù. ”.
Alla vigilia del 13 agosto 2016, quando avrebbe compiuto 90 anni, pubblicò una Riflessione dal titolo “Il compleanno”, quasi alla fine sentenziò: “Ritengo che mancasse di livello il discorso del Presidente degli Stati Uniti (Barack Obama) quando visitò il Giappone, e gli sono mancate le parole per scusarsi per l’uccisione di centinaia di migliaia di persone a Hiroshima, malgrado conoscesse gli effetti della bomba. È stato altrettanto criminale l’attacco a Nagasaki, città che i padroni della vita scelsero a caso. È per questo motivo che bisogna martellare sulla necessità di preservare la pace, e che nessuna potenza si prenda il diritto di ammazzare milioni di esseri umani”.
Denuncia, eterna battaglia, veemente militanza per la solidarietà e la giustizia che Fidel ci lasciò come bussola per questi giorni.
(Tratto da REDH)
Fidel y la paz
Por: Katiuska Blanco
El lanzamiento de la bomba atómica sobre las ciudades inermes de Hiroshima y Nagasaki, los días 6 y 9 de agosto de 1945, conmovieron dramática e inolvidablemente a Fidel. Reconoció como sobrecogedores los relatos de la explosión y sus terribles consecuencias. Apenas unas semanas atrás había concluido sus estudios de bachillerato en el Colegio de Belén y, durante las semanas de regreso al espacio entrañable de la casona grande en Birán, se alistaba para comenzar la carrera de Derecho en la Universidad de La Habana en septiembre de aquel año. En el momento que se dio la noticia del bombardeo a Hiroshima, Fidel se encontraba de visita en Santiago de Cuba. Nadie tenía entonces ni la menor idea de la existencia de un arma de tal naturaleza. Tres días después bombardearon Nagasaki. Experimentó un sentimiento de repulsa y un rechazo total a aquel acto criminal, una opinión que se mantuvo invariable a lo largo de toda su vida.
En Birán, desde 1936, cuando contaba diez años de edad, había comenzado a inquietarse con cuanto sucedía en el mundo, al leer en voz alta al cocinero Manuel García, las noticias de la Guerra Civil Española que, con mayor o menor fortuna para el bando republicano, reportaban los diarios llegados de la capital. Incluso, desde mediados del año anterior -1935- y durante los meses que duró, siguió con mucho interés la Guerra en Abisinia. Así, había tenido, por primera vez, la noción de que el mundo era un lugar estremecido e injusto, donde aún se dirimían grandes batallas. Los héroes y antihéroes no eran algo del pasado o la Antigüedad remota. Mientras estudiaba en los colegios sintió fascinación tremenda por las personalidades descollantes de la historia, como Alejandro Magno, Aníbal o Napoleón, pero luego, respeto y admiración profunda por los que no eran conquistadores, sino libertadores de los pueblos: Miranda, Simón Bolívar, Sucre, San Martín, y casi de inmediato admiración y orgullo por los más próximos y entrañables para los habitantes del archipiélago cubano: el Apóstol José Martí, el Generalísimo Máximo Gómez y el Titán de Bronce Antonio Maceo.
En 1939 estalló la Segunda Guerra Mundial. Con 13, 14 años, se mantenía al tanto de las novedades en el frente bélico. Los acontecimientos de la época dejaron una profunda huella en él. Aún no podía vislumbrar que para defender causas nobles, habría de librar una lucha guerrillera en las montañas y después en la arena internacional como un gladiador de la paz, la solidaridad y la justicia en defensa de los pueblos, los humildes, la humanidad toda, contra la hegemónica dominación imperial y el capitalismo globalizado. En ese camino, inexorablemente, estaría el recuerdo de la devastación y el sufrimiento causados por el inhumano y criminal bombardeo atómico norteamericano a los pobladores de Hiroshima y Nagasaki, una tragedia que puso ante sus ojos el poder devastador de otro tipo de guerra.
Fidel era un convencido del principio martiano: “Trincheras de ideas valen más que trincheras de piedra” y siempre consideró que para la guerra de carácter popular, los imperios no tenían fórmula eficaz, que para la guerra convencional, para una guerra contra un pueblo, no valía toda la fuerza militar y tecnológica del mundo. Ponía un ejemplo histórico, el de Napoleón, que según sus palabras: “era general victorioso en toda Europa, invadió España y el pueblo español lo derrotó. No sirvió de nada toda la capacidad estratégica de Napoleón, todas las maniobras, luchando contra campesinos, trabajadores del pueblo; lo derrotaron con otro tipo de lucha. Quizás Napoleón, contra un ejército español de 100 000 hombres lo derrota, igual que en Austerlitz y en tantos lugares. A él mismo lo derrotaron en Waterloo, una batalla que tenía ganada; pero una tropa enemiga que él creía que estaba distante, se apareció de repente y lo derrotó. Ese tipo de batalla se puede ganar o perder; en la guerra contra el pueblo, es difícil”.
Pero, lo sucedido en Hiroshima y Nagasaki planteaba otra situación, radicalmente diferente, desbordaba cuanto había leído en los diarios o en La Guerra y la Paz, de León Tolstoi, una novela que aborda una encrucijada crucial y donde el autor reflexiona sobre lo que significa en pérdidas y dolor un conflicto. Fidel, tuvo a partir del criminal bombardeo atómico de Estados Unidos a Japón la nítida convicción de que en nuestro tiempo, existía otro tipo de guerra, una guerra de dimensiones apocalípticas, devastadoras incluso para la existencia de la especie humana en el planeta: la guerra nuclear, al borde de la cual, Cuba estuvo durante la Crisis de Octubre en 1962. Una amenaza que perduró a lo largo del tiempo y se mantuvo latente en su pensamiento como una preocupación y un motivo de lucha por la paz para todos los pueblos.
En el criterio de Fidel los problemas que plantea la guerra nuclear son insolubles y por eso sostuvo siempre que lo mejor sería que todas las armas nucleares fueran destruidas. Abogó incansablemente por el desarme total para que la Tierra no se viera obligada a vivir con el perenne peligro que implica la posibilidad de que se desate una guerra de dicha magnitud, un verdadero cataclismo. Alertaba que hasta por error, podía desatarse una tragedia así, porque desgraciadamente, las colosales energías que los científicos fueron capaces de poner en manos del hombre, habían servido entre otras cosas para crear un instrumento autodestructivo y cruel como el arma nuclear.
En marzo del año 2003, tras un intenso recorrido que lo llevó a China, Vietnam y Malasia, donde asistió a la Décimo Tercera Reunión Cumbre del Movimiento de Países No Alineados, durante una visita de tránsito por tierra nipona, el histórico líder de la Revolución Cubana llegó hasta la ciudad de Hiroshima. Denunció que, desgraciadamente, lo ocurrido no sirvió de lección al mundo. Recordó que después de lo terrible acontecido allí, el orbe se encaminó hacia una increíble carrera armamentista. Visitó el Memorial de la Paz, donde el silencio sobrecoge y cada año se recuerda a las víctimas del holocausto nuclear. En el libro de homenaje, Fidel escribió: “Que jamás vuelva a ocurrir semejante barbarie”. Hiere en lo más profundo pensar que un acto así tuvo lugar para intimidar a la Unión Soviética y a todos los pueblos del mundo, y asegurar la superioridad geopolítica entonces, y no como se narra en alguna historiografía, para ganar la guerra al Imperio Japonés, aliado a la Alemania e Italia fascistas.
El 21 de septiembre de 2010, Fidel se reunió en La Habana, con más de 600 pasajeros del Crucero por la Paz, casi todos de nacionalidad japonesa y entre los cuales, viajaba una sobreviviente del asesinato masivo, Junko Watanabe, miembro del movimiento Hibakusha. El Comandante en Jefe de la Revolución Cubana valoró como muy especial e importante el encuentro con quienes destacaban por la experiencia acumulada en el tema de la lucha por la paz, a partir, incluso de los testimonios y las vivencias desgarradoras de un hecho tan brutal e insólito como aquel, donde se emplearon las armas nucleares sobre dos ciudades pacíficas. Entonces señaló que el proyecto del Crucero, era un ejemplo de las cosas que ayudan a ganar conciencia, porque la exhibición de todo lo que ocurrió allí y el daño humano que ocasionó, a pesar del tiempo transcurrido, volvía a conmover a la opinión pública internacional. “No creo –dijo- que haya ocurrido algo más expresivo de lo que es la guerra”.
El 14 de febrero de 2016, Fidel aseveró en una Reflexión firmada 18 minutos después de las diez de la noche: “La paz ha sido el sueño dorado de la humanidad y anhelo de los pueblos en cada momento de la historia. […] Luchar por la paz es el deber más sagrado de todos los seres humanos, cualesquiera que sean sus religiones o país de nacimiento, el color de su piel, su edad adulta o su juventud”.
En la víspera del 13 de agosto de 2016, cuando cumpliría 90 años de edad, publicó una Reflexión titulada “El Cumpleaños”, casi al concluirla sentenció: “Considero que le faltó altura al discurso del Presidente de Estados Unidos [se refería a Barack Obama] cuando visitó Japón, y le faltaron palabras para excusarse por la matanza de cientos de miles de personas en Hiroshima, a pesar de que conocía los efectos de la bomba. Fue igualmente criminal el ataque a Nagasaki, ciudad que los dueños de la vida escogieron al azar. Es por eso que hay que martillar sobre la necesidad de preservar la paz, y que ninguna potencia se tome el derecho de matar a millones de seres humanos”.
Denuncia, batalla eterna, vehemente militancia por la solidaridad y la justicia que Fidel nos legó como brújula para estos días.
(Tomado de REDH)