Trappole e sfide nella geopolitica internazionale
di Geraldina Colotti
Ci sono molte e fondate ragioni per considerare le parlamentari del 6 dicembre le elezioni più importanti che si siano svolte in vent’anni di socialismo bolivariano in Venezuela. Il ministro dell’Educazione, Aristobulo Isturiz le ha illustrate nel corso del programma Dando y Dando che conduce insieme alla vicepresidenta dell’Assemblea Nazionale Costituente, Tania Diaz.
L’elezione numero 25 consentirebbe al chavismo sia di recuperare il Parlamento dopo la vittoria della destra nel 2015, ma anche di reimpostare un nuovo patto sociale basato sulla dialettica politica e non sul golpismo permanente che ha obbligato il Venezuela bolivariano a vivere in un costante stato di allarme.
A meno che non vi sia un patto fra le élite come accadeva nella IV Repubblica in Venezuela e come, in fondo, succede nelle asfittiche democrazie borghese, quella dell’”alternanza” è infatti una favola priva di sostanza.
Per come vanno le cose nei paesi dove meno sofisticati sono i meccanismi di costruzione del consenso, perché le contraddizioni di classe sono più evidenti, un rovescio politico non significa semplicemente un cambio momentaneo di governo.
Quando a vincere le elezioni è un arco di forze che sostiene una visione alternativa, anche parziale, della società, si scatena la riscossa della borghesia che, una volta riconquistate le posizioni, cerca di rendere irreversibile il cambio di marcia con ogni mezzo.
Se questo non riesce, le classi dominanti si dedicano a condizionare e a distorcere il progetto alternativo per renderlo compatibile al sistema. La situazione del Brasile, dell’Ecuador, della Bolivia, offrono in questo senso molti e diversi spunti per riflettere.
In Venezuela, dopo aver vinto le legislative, l’alleanza di opposizione ha trasformato uno dei cinque poteri di cui si compone l’istituito venezuelano in un centro di sovversione, promettendo di far fuori il chavismo in sei mesi. Il Parlamento – ha detto Aristobulo – si è da allora trasformato in un “Pentagonino” mosso da un triplice obiettivo: appropriarsi delle risorse; svendere la sovranità, e destabilizzare il paese.
Un calcolo sbagliato che, come ha mostrato una recente inchiesta di Interlaces, ha finito per erodere il consenso delle frange estremiste, generando il rifiuto di quelle componenti della destra che hanno ancora dell’orgoglio nazionale. Appare così sempre più evidente perché la componente filo-atlantica dell’estrema destra venezuelana non ha tanto mire elettorali, quando interessi affaristici e multinazionali, diretti da fuori.
Oligarchi e ricercati che si agitano fuori dal paese, seguono il piano multidimensionale diretto da Trump e supportato dall’Unione Europea con la complicità di organismi internazionali quali L’OSA di Luis Almagro o il fantomatico Gruppo di Lima, creato per l’occasione. Organismi che sono di nuovo scesi in campo per animare l’ennesima campagna di discredito con contorno di “sanzioni” per evitare lo svolgimento delle prossime parlamentari.
Dopo aver sbandierato ai quattro venti la volontà di favorire il dialogo e la democrazia, smentendo se stesse, queste istituzioni si sono spinte fino a “sanzionare” persino quei deputati di opposizione che sono rimasti nel gioco democratico staccandosi dalle frante golpiste.
E ora l’Unione Europea, con l’arroganza neocoloniale che caratterizza questa istituzione, posta al servizio di banchieri e imprenditori e non certo a difesa dei settori popolari, per bocca dell’Alto Rappresentante UE per la politica Estera, Josep Borrell, ha respinto la proposta del presidente Maduro di inviare una missione di osservatori elettorali nel paese bolivariano. Secondo Borrell, non vi sarebbero le “condizioni”, e le elezioni andrebbero rimandate.
Una linea che segue le indicazioni di Washington e i desideri di Trump, che ha suggerito la possibilità di rimandare le presidenziali previste per il 3 di novembre per recuperare lo svantaggio accumulato di fronte alla disastrosa gestione mostrata durante il coronavirus.
In questo caso, per la UE si tratta di accogliere i desiderata dell’opposizione golpista, che a Trump si riferisce, e di proseguire sulla strada delle misure coercitive unilaterali. Con che diritto l’Unione Europea pretende di imporre il calendario elettorale a una nazione sovrana? Con che diritto impone “sanzioni al popolo venezuelano in piena pandemia? Con che diritto partecipa al furto dell’oro della Repubblica bolivariana sostenendo un manipolo di truffatori, ormai impresentabili persino per i loro padrini nordamericani?
Per il profitto, ovviamente, per gli interessi economici che muovono tutte le guerre, di natura militare o commerciale. In questo momento di transizione, determinato dal diffondersi della pandemia, si stanno ridistribuendo le carte a livello globale.
Per quella che viene definita una “nuova normalità”, è in ballo la costruzione di una “globalizzazione di nuovo tipo” in cui i vari poli cercano di posizionarsi, fra spinte protezionistiche e necessità di ripensare le politiche pubbliche rinnovando il rapporto stato-mercato per contenere proteste sociali. Una globalizzazione che, per quanto riguarda la UE, si pone nel segno della crescente militarizzazione come volano della ripresa economica.
Secondo la Cepal, per il 2020, l’economia latinoamericana avrà una contrazione tra il 2 e il 4% del PIL, una riduzione delle esportazioni dalla regione del 10,7%, un aumento del numero di persone in povertà estrema fino a oltre 90 milioni. Il Fondo Monetario si prepara a intervenire in 14 paesi latinoamericani e caraibici che ne hanno richiesto l’intervento straordinario, e la questione del debito estero condizionerà sempre di più le politiche sociali.
L’intreccio di interessi tra l’Europa e l’America Latina ha raggiunto livelli senza precedenti negli ultimi anni. L’Unione Europea ha firmato accordi di libero scambio oppure politici e di cooperazione con 27 dei 33 paesi del Latino America e dei Caraibi, è il primo investitore diretto nella regione, il principale attore di cooperazione internazionale, il terzo partner commerciale. Un terzo degli studenti latinoamericani all’estero si trova in Europa.
Il 27 marzo 2020, Brasile, Cile, Colombia, Costarica, Guatemala, Messico e Uruguay, insieme ad altri 8 paesi, hanno firmato il Multi-parti Interim Appeal Arbitration Arrangement-MPIA, un accordo per risolvere le controversie commerciali a fronte della perdita di peso dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), e del sabotaggio di Trump, che ostacola la nomina dei nuovi giudici dell’Organo di appello permanente (Appellate Body).
Il 28 giugno del 2019 è stato raggiunto l’Accordo di Associazione tra la UE e un Mercosur composto da Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay, che si stava negoziando dal 2000. Un raccordo raggiunto ora che il Venezuela è stato escluso dall’organismo regionale e che, a parte l’Argentina il cui governo è tornato a sinistra, vede la partecipazione di tre paesi neoliberisti.
Si tratterebbe della più vasta area di libero scambio mai creata dall’Unione Europea, che interessa 780 milioni di persone, e che consentirebbe alla UE di eliminare per il 91% i dazi sui prodotti esportati e garanzie di mercato per 357 prodotti alimentari europei. Attualmente, il volume d’affari ammonta a 122 miliardi di euro.
Inoltre, la UE sta negoziando accordi bilaterali con due paesi che non appartengono al Mercosur, come il Messico (secondo partner commerciale con l’Europa dopo il Brasile, con il quale si prevede un abbattimento delle tariffe doganali del 99%), e il Cile. Fondamentale il coinvolgimento delle principali banche di sviluppo come il Bid, il Banco Interamericano de Desarrollo.
In questo contesto si può leggere l’attuale disputa per l’elezione ai vertici del Bid dove Trump vorrebbe imporre uno dei suoi. Un numero crescente di paesi latinoamericani si oppone all’idea di perdere il controllo sul loro principale erogatore di prestiti a livello regionale. La UE sostiene la posizione del Messico, dell’Argentina e anche del Cile che vorrebbero ritardare l’elezione e dopo le presidenziali USA, sperando nella sconfitta di Donald Trump, ma che non raggiungono il il 25% dei voti, necessario per decidere.
Il Tycoon della Casa Bianca, che cerca di contenere la presenza della Cina in America, a dirigere il Bid vorrebbe il suo principale assessore per le Americhe, Claver-Carone, noto per le sue posizioni aggressive nei confronti di Venezuela e Cuba. Con l’appoggio del Brasile e della Colombia, Carone è il più favorito, e sarebbe la prima volta che il Bid avrebbe una direzione scelta fuori dal continente.
In una intervista a Reuters, il 29 luglio, Claver-Carone ha detto che Trump darà un forte incentivo alle imprese statunitensi che vogliano trasferirsi dall’Asia all’America Latina e ai Caraibi, e che questo rappresenterebbe un investimento tra i 30.000 e i 50.000 milioni di dollari. Secondo Claver-Carone, le conversazioni con diversi paesi dell’America Latina e dei Caraibi sono già avanzate.
E intanto, si va configurando un poderoso asse economico neoliberista tra i due principali gendarmi degli USA in Medioriente e nel Latinoamerica, Israele e Colombia. L’11 agosto è entrato in vigore l’Accordo di libero commercio (TLC), firmato nel 2014 e che prevede uno sgravio del 99% per i prodotti colombiani che entrano in Israele. In cambio, Tel Aviv potrà commerciare in Colombia i prodotti ottenuti con lo sfruttamento coloniale dei palestinesi. Si tratta del primo accordo commerciale concluso con il Medioriente.
L’Unione Europea ha anche stipulato un accordo con l’Alleanza del Pacifico e intende avere una influenza più ampia nel continente latinoamericano e caraibico con la creazione della Fondazione Ue-Celac che, a maggio del 2019, è diventata formalmente una organizzazione internazionale.
L’Unione Europea cerca di condizionare le scelte politiche del Venezuela bolivariano sia attraverso il Gruppo internazionale di contatto, costituito da svariati paesi latinoamericani e europei, sia intervenendo nelle iniziative di dialogo portate avanti con la mediazione della Norvegia. La retorica è sempre la medesima: “far sì che i venezuelani possano decidere del loro futuro con nuove elezioni libere e democratiche”. Ove per “libere e democratiche” s’intende che siano dirette e animate esclusivamente dai pagliacci dell’imperialismo nordamericano ed europeo. Quegli stessi a cui si è rivolta la prima Conferenza internazionale di solidarietà sulla crisi migratoria e dei rifugiati venezuelani, organizzata da UE, UNHCR E OIM che ha raccolto oltre 120 milioni di euro, sommati ai 170 milioni di euro già investiti dalla UE negli ultimi anni.
Un altro mezzo subdolo usato dalla UE per premere sul Venezuela è la relazione con Cuba, basata sull’Accordo di Dialogo Politico e di Cooperazione (PDCA) firmato l’11 marzo del 2016 nell’ambito delle “aperture” decise da Obama. Una cooperazione che cerca di condizionare il socialismo cubano, che resiste da 62 anni, agli accordi politici attraverso la trappola dei “diritti umani” e le relazioni con il Venezuela. Sia in occasione della firma, che successivamente, il governo cubano è però rimasto fermo nella difesa del socialismo e in quella del Venezuela bolivariano.
D’altro canto, mentre Obama visitava Cuba, chiudeva la porta al Venezuela, già definito “una minaccia inusuale e straordinaria per gli interessi degli Stati Uniti”. Joe Biden, che come vicepresidenta ha scelto ora l’afrodiscendente Kamala Harris, nel 2019 è stato uno dei primi democratici statunitensi a riconoscere l’autoproclamazione di Guaidó. Nella sostanza, la linea di politica estera contro il Venezuela non subirà grossi cambiamenti.
Le presidenziali statunitensi, previste un mese prima delle parlamentari venezuelane, dovrebbero chiarire i giochi. E c’è ancora tempo perché i falchi del Pentagono possano inventarsi altre provocazioni contro il socialismo bolivariano. Samuel Moncada, rappresentante permanente del Venezuela alle Nazioni Unite ha detto che, per giustificare un’aggressione militare, gli USA pensano anche ad accusare il governo bolivariano di preparare attentati negli Stati Uniti.
“Secondo Trump – ha scritto Moncada in un messaggio twitter – il sistema elettorale statunitense è un disastro e i risultati delle presidenziali di novembre non saranno affidabili. L’Unione Europea e l’OSA tacciono pieni di timore e preferiscono unirsi a Trump per intervenire nelle elezioni in Venezuela. Il colonialismo in azione”.
(Articolo scritto per il Cuatro F)