Vive tra di noi

Eternamente nel cuore del suo popolo, il Comandante in Capo Fidel Castro Ruz ha ricevuto per il suo 94º compleanno un caldo omaggio dei santiagheri che hanno rappresentato i loro compatrioti che, per la COVID – 19, non hanno potuto partecipare, e gli hanno offerto fiori davanti alla roccia monumento che custodisce le sue ceneri

Eduardo Palomares – Germán Veloz Placencia

Santiago di Cuba – Eternamente nel cuore del suo popolo, il Comandante in Capo Fidel Castro Ruz ha ricevuto per il suo 94º compleanno un caldo omaggio dei santiagheri che hanno rappresentato i loro compatrioti che, per la COVID – 19, non hanno potuto partecipare, e gli hanno dedicato fiori davanti alla roccia monumento che custodisce le sue ceneri nel cimitero patrimoniale Santa Ifigenia, di questa città.

Il legato di Fidel, in questa giornata, è stato segnalato dal Presidente Miguel

Díaz-Canel Bermúdez, che nel suo account in Twitter ha indicato : «Oggi i 94 anni di Fidel, alla cui opera dobbiamo i successi indiscutibili nel controllo della COVID – 19. Il migliore omaggio alla sua memoria, alla monumentale opera umana che ci ha lasciato, sarebbe vincere i nuovi focolai a colpi di disciplina e di protezioni».

«Felicità Cuba, che vai per il mondo salvando vite e sconfiggendo l’odio. Fidel vive tra di noi nella nobile opera del suo popolo», ha aggiunto in un altro tuit il Capo di Stato.

Con i santiagheri, la mattina presto, i familiari del leader storico della Rivoluzione Cubana, guidati dalla sua vedova Dalia Soto del Valle, e dal figlio Alex, hanno offerto mazzi di fiori e sono rimasti in “intimo dialogo” con chi ha dedicato tutta la sua vita alla lotta per libertà della patria e la dignità dei popoli umili del mondo.

Zaida Correa Gutiérrez, del Comitato Centrale del Partito e il vice governatore, Manuel Falcón Hernández, rappresentando la direzione della provincia, hanno offerto fiori come hanno fatto i dirigenti delle organizzazioni di massa e i membri dell’Associazione dei Combattenti della Rivoluzione Cubana.

Per via delle disposizioni di scontro alla COVID –19, stavolta non è stata convocata la mobilitazione che riunisce migliaia di compatrioti di gran parte dell’Isola, rispettando le misure delle autorità della Salute, i collettivi di lavoro, le famiglie, gli uomini e le donne grati che sono andati spontaneamente allo storico incontro.

Giovani di Holguín hanno ricordato in questo 13 agosto Fidel a Birán, la sua terra natale.

La mattina presto, come ha detto Yanelis Rodríguez Paneque, segretaria dell’Unione dei Giovani Comunisti (UJC) nella provincia di Holguín, 94 ragazzi del municipio di Cueto e due distaccamenti delle Forze Armate Rivoluzionarie e del ministero degli Interni, hanno realizzato la pulizia di un frutteto con alberi d’arance, piantati da Lina Ruz, madre del Comandante, vicino alla grande casa dove nacque la guida della Rivoluzione. Nella giornata sono state realizzate anche altre attività


Grazie Fidel per essere, prima di tutto, umano

La sensibilità umana di Fidel è stata non solo un motore che ha sostenuto il suo lavoro quotidiano, ma un legato immortale per coloro che abbiamo deciso di trasformarci nella sua continuità

Leidys Labrador Herrera

Non pochi si sono chiesti nel trascorrere degli anni da dove proveniva l’energia instancabile del leader storico della Rivoluzione Cubana.

Come poteva quest’uomo eccezionale andare senza riposare, senza tregua, con il suo nobile pensiero posto sempre nel benessere del suo popolo, nella possibilità di un mondo con spazio per tutti, con diritti e opportunità per tutti.

La risposta a questi interrogativi non sta nella sua statura, né nel suo fisico, la sua passione per lo sport e nemmeno nella capacità che ha avuto di plasmare il suo pensiero e divorare per questo ogni palmo della storia della sua Patria.

C’era qualcosa di molto più poderoso che lo portò a dedicarsi completamente all’umanità, che lo aveva dotato dell’irrinunciabile vocazione di cosa «fare» per trasformare e creare, come il più sacro dovere di un uomo.

Quello che ha trasformato Fidel in leader naturale, in esempio di umiltà e generosità, in artefice di questa opera immortale, è stato il più grande regalo lasciato da Martì per lui e per la sua generazione: la sensibilità umana

Se il cuore non si commuove non fioriscono né il talento né la volontà, non crescono i sogni e non si realizzano gli impegni.

È necessario sentire, identificarsi con le cause nobili e farne parte perché fluisca davvero il destino di un uomo. Chi non ha la capacità di soffrire il dolore degli altri, di mettersi al posto del più debole, di disporsi ad agire invece di restare impavido, credendo che nulla si può cambiare, non avrà un gran legato per la storia.

Di sicuro quel ragazzo di Birán, molto giovane, aveva appreso il rispetto del valore di ogni essere umano, che la classe sociale e il colore della pelle non definiscono nessuna persona e al contrario sono i valori quelli che definiscono davvero quello che siamo.

Ma c’erano molte differenze superficiali nella Cuba della sua infanzia, adolescenza e gioventù. La povertà negava i più elementari diritti umani. L’umiltà era equivalente a vessazioni e discriminazione. La mancanza di risorse implicava poca o nessuna opportunità di soddisfare le necessità più necessarie.

Queste furono le ragioni che lo portarono sino alle mura della Moncada, che lo posero nel camino senza ritorno di vincere o morire per fare giustizia all’Apostolo, al popolo, a Cuba.

Se qualcuno ha dubitato in un momento della determinazione che lo accompagnava, già la sua arringa di autodifesa è stata il più chiaro manifesto delle ragioni per le quali, lui e i suoi fratelli erano arrivati sino a lì, e tutti allora ebbero la certezza che quell’azione di incalcolabili dimensioni era un richiamo di ribellione che già non si poteva far tacere. Quel giorno non ci furono parole addolcite n`argomenti manipolati per la capacità oratoria dell’interlocutore, furono rivelazioni molto dure, verità poste allo scoperto e lanciate con dignità in faccia ai tiranni.

Verità dimostrate con la sofferenza di un popolo che non aveva diritto alla terra né alla salute, né all’educazione, che non poteva sognare con una casa degna che affrontava alti indici di disoccupazione.

Da qua momento e per sempre, Fidel Castro divenne molto più che un avvocato, molto di più dell’avvocato di coloro che avevano abbracciato la lotta assieme a lui, ma l’avvocato degli umili e dei più deboli, quelli che dopo la stessa storia gli diede l’opportunità di rivendicare.

Perché quel ragazzo che avrebbe potuto scegliere i guadagni di uno studio d’avvocato o la pelle di un possidente, non era nato per vivere staccato dal mondo che lo circondava.

Aveva imparato ad avere una visione critica, a forgiare le sue opinioni, a costruire solidi criteri. Aveva scelto il lato del dovere e in questo lato trascorse la sua esistenza senza perdere mai la prospettiva di vivere come viveva e sentiva il suo popolo.

Furono anche quei valori quelli che meritarono il rispetto dei suoi correligionari, perché ci fu sempre in lui un elevato senso di altruismo, una capacità ineguagliabile di considerare uguale per importanza anche l’ultimo dei rivoluzionari nella Sierra Maestra o nel piano. Ha ascoltato e sempre difeso la donna ed è stato artefice di quello che le cubane hanno guadagnato per merito proprio, un posto protagonista in ogni tappa nella quale transitava il processo rivoluzionario.

Ha anche rispettato i nemici e in non poche occasioni, durante la lotta armata, ha dato lezioni di civismo e giustizia.

Fidel ha sentito il dolore del contadino e al contadino ha dato quella terra che questi aveva sempre lavorato e alla quale non aveva mai potuto aspirare; ha saputo leggere la frustrazione e la debolezza dell’analfabeta ed ha imposto la Campagna di Alfabetizzazione.

Ha condannato in maniera energica lo sfruttamento e per questo ha fondato un paese basato nel lavoro giusto, nobile, in cui l’operaio è sempre ascoltato e gode d’una rappresentazione.

È stato lo stesso Fidel quello che ha stimolato la nazionalizzazione dell’industria come passo imprescindibile per far sì che Cuba smettesse d’essere dissanguata dal nord, quello che ha dichiarato al mondo il carattere socialista della Rivoluzione cubana, radicalizzando la posizione di una società che si edificava nell’Isola per il bene di tutti.

Comandante in Capo della verità, dei principi più elevati, della trasparenza. Salì in un carro armato a Girón perché sapeva che i miliziani combattevano di fronte al nemico e lui doveva stare lì, e nessuno riuscì a fermarlo. E non lo fermò nessuno nemmeno quando la forza della natura con il nome di Flora devastò il territorio nazionale e, rischiando la sua vita, andò a dirigere personalmente le azioni di riscatto e salvataggio del suo popolo, di quel popolo che aveva tanta fiducia in lui.

Quanto amore per la sua gente sentiva quell’uomo immenso che visitava gli ospedali quando il dengue emorragico strappava le vite.

Ha sempre condiviso il dolore delle famiglie cubane in lutto per le azioni di terrorismo più crudeli e con le sue parole appassionate trasmise in ognuno di quei momenti difficili la fiducia e la sicurezza che ogni vita strappata era un motivo per abbracciarci ogni volta con più forza e per la libera determinazione che, come popolo, avevamo di scegliere il nostro cammino, ed ha trasformato ogni tribuna nazionale e internazionale in uno spazio di denuncia per smascherare coloro che sotto la pelle di salvatori del mondo, nascondono l’odio infinito per i paesi capaci di scrollarsi di dosso secoli di dominio.

Lo abbiamo visto abbracciare i bambini di Chernóbil, aprire le porte di questo paese per dare loro l’opportunità di recuperare oltre alla salute, i loro sogni, i loro sorrisi, dopo il terribile incidente nucleare.

Fidel ci ha insegnato che un popolo non può vivere solo per sè stesso, ma che è veramente grande una patria che è capace di offrirsi al mondo o, che è lo stesso, all’umanità.

Ci ha mostrato che la solidarietà è un principio assoluto per tutti quelli che si sanno rivoluzionari e con questo principio abbiamo contribuito a sconfiggere l’Apartheid in Africa, e con i camici bianchi abbiamo percorso il mondo, restituendo speranze dopo fenomeni naturali, regalando milioni di visite mediche a persone senza accesso ai sistemi di salute privati, affrontando malattie come l’Ebola o la terribile pandemia provocata dall’espansione del nuovo coronavirus.

La maturità che hanno dato la storia e l’operato quotidiano di quel giovane impetuoso gli hanno permesso di comprendere come l’Apostolo difese sempre la certezza che Cuba doveva essere un faro per tutta l’America.

Per questo non è mai mancato l’appoggio di questa Isola ai leader progressisti del continente, e anche la denuncia opportuna quando le complicate aggressioni imperiali promuovono il crimine,la persecuzione, i colpi di Stato e tutto quello che implica l’intromissione nei temi interni di un paese sovrano.

Così abbiamo lottato contro le aggressioni di ogni indole: economiche, politiche, mediatiche. Tutte si sono schiantate contro la corazza morale di questa nazione, che ha Fidel tatuato sul petto, che ha optato senza dubbi per la sua continuità e mai per la sua fine, che si è unita in maniera irreversibile, perché abbiamo appreso da lui anche che dividere il popolo è la maniera più facile per vincerlo.

Per questo agosto è e sarà sempre il mese del suo compleanno, il mese in cui senza contare gli anni che passano celebreremo la sua vita, perché andarsene è una parola che non ha niente a che vedere con un’esistenza che è stata tanto prodiga, con un legato che va oltre il tempo, la carne e le ossa.

Il mondo sarebbe molto differente se i malati di potere avessero abbracciato solo un poco il suo limpido pensiero.

Oggi saremmo più forti, più capaci di far fronte a situazioni che superano le nostre differenze politiche, ideologiche o sistemiche e penseremmo di più a salvare questa specie che, secondo la sua sicura allerta, corre il pericolo di sparire: l’essere umano.

Ma anche se non possiamo aspettarci cambi di coscienza che non avverranno sino a quando il capitale dominerà i destini di milioni di persone nel mondo e li utilizzi come un semplice combustibile per muovere le sue implacabili macchine, possiamo fare noi la nostra parte e la faremo in suo onore e a nome di tutti quelli che hanno dato la loro vita per la nostra.

Felicità Comandante in Capo, e non solo per un altro anno di vita moltiplicata, ma per aver saputo essere prima di tutto e al disopra di tutto, umano. Per aver tenuto sempre i piedi sulla terra, gli occhi sul tuo popolo, il cuore palpitando per il bene comune.

Siamo qui eretti per la nostra volontà, perché questo è il popolo di Fidel che non si arrende mai, perché non ha dubbi sul cammino da scegliere, perché crediamo che un mondo migliore è possibile e non rinunciamo a fare la nostra parte perché questo avvenga; siamo qui perché sappiamo che: «Il rumore delle armi, del linguaggio minaccioso della prepotenza nella scena internazionale deve finire.

Basta già con l’illusione che i problemi del mondo si possono risolvere con le armi nucleari; le bombe potranno uccidere gli affamati, i malati e gli ignoranti, ma non possono ammazzare la fame, le malattie e l’ignoranza».


Fidel: un’altra battaglia, un’altra vittoria

Elson Concepción Pérez

Ci ha abituato a sferrare le battaglie e a vincerle. È sempre stato più avanti, come stratega, di tutte le variabili che si possono presentare in un combattimento. Ha preparato le forze, concepito scenari, studiato iI nemico ed è stato sempre al fronte delle sue truppe.

Oggi, dalla monolitica roccia estratta dalle radici della Sierra Maestra, contempla quel che è stato fatto, quello che resta da fare, le imperfezioni e la vittoria.

Lui sa e ci aveva avvertito, delle possibili condotte avverse di coloro che nel mezzo di una nuova battaglia approfittano di alcune mancanze di controllo e assumono come proprio il furto, sviano le risorse, rivendono i prodotti come se non fosse importante lo sforzo gigante di dare a tutti quello che abbiamo, molto o poco, ma onestamente ottenuto.

Questo è il contesto della grande battaglia che il nostro popolo sta sferrando e la sua direzione, per vincere la pandemia del nuovo coronavirus e fare del più forte combattimento – il recupero economico del paese – un obiettivo raggiungibile se tutti in maniera unita apportiamo il nostro granello nella colossale crociata.

Nella lotta contro la COVID-19 non c’è un momento nel quale non ci sia Fidel, il suo consiglio, l’avvertenza, la sua strategia, il suo concetto sulla guerra di tutto il popolo, anche presente, molto presente nella situazione attuale. Perché l’offensiva di oggi è di tutto il popolo e al fronte c’è Fidel.

Dallo stesso Programma della Moncada, prevedeva la formazione delle risorse umane per garantire la salute e l’educazione.

Inoltre andò più in là e dai primi mesi dopo il trionfo già organizzava e inviava in Algeria una brigata medica cubana per offrire aiuti a un popolo amico che li necessitava.

Era uscito dall’Università de L’Avana come avvocato. Senza dubbio quando si occupava dei programmi di salute che si proponeva di fomentare, dava l’impressione d’essere un medico ben preparato.

Lo concepì così e lo mise in pratica. Alcuni, pochi, esempi –molto presenti nello scontro alla COVID-19– lo testimoniano: è stato il creatore del concetto del medico e dell’infermiera della famiglia; era convinto che la scienza doveva costituire una parte della vita quotidiana di questo paese e per quello ideò e diresse la formazione dei poli scientifici.

Si tratta di un progetto e di una definizione che non hanno niente a che vedere con i moderni centri creati nei paesi capitalisti, partendo dal concetto della medicina privata per produrre strumenti e anche medicinali per coloro che hanno il denaro per comprarli.

Parallelamente, la formazione delle risorse umane per garantire i programmi di salute e l’elaborazione di nuovi e rivoluzionari contenuti che avallano il lavoro dei nostri medici in qualsiasi luogo del mondo, ha costituito parte del pensiero di Fidel, che in non poche occasioni aveva detto che non sarebbero stati mai troppi indipendentemente da quelli che si laureano.

Oggi, quando decine di migliaia di loro offrono solidarietà, salute e umanesimo in 60 nazioni, il ringraziamento a Fidel e il riconoscimento a Cuba appaiono nelle più disperse comunità o in gruppi di popolazioni che non conoscono nemmeno la lingua spagnola.

Si tratta della nazione che invia i suoi figli ad offrire salute e vita in cambio di niente. Non importano in nessun caso l’affiliazione politica o la fede religiosa del malato. Sono esseri umani e a loro va indirizzata ogni azione altruista di questo grande esercito di camici bianchi.

Fidel ha concepito il Contingente Henry Reeve ed ha indicato la sua importanza di fronte alle pandemie e ai disastri naturali. Poi sono venute le prove difficili che davano ragione al Comandante: terremoti in Pakistan, Haiti e altri paesi; ebola in nazioni dell’Africa sofferente e finalmente la COVID – 19, letale virus che in pochi mesi ha reso vulnerabile un mondo che ha già perso più di mezzo milione dei suoi figli.

Se molti non sono morti, se migliaia sono stati restituiti alla vita dopo il contagio, la medicina e la solidarietà cubane hanno contribuito a questa vittoria che si deve anche grazie a Fidel.

Senza che Cuba lo chieda e nel mezzo della campagna più feroce contro questi cooperanti da parte del governo di Donald Turmp e dei mercenari che paga, sono molti e di diversi paesi quelli che sollecitano che si assegni loro il Premio Nobel della Pace.

Da distinte correnti politiche, varie lingue e differenti culture si sostiene che questi professionisti della salute sono creditori del premio internazionale.

Fidel è al fronte di questo contingente medico e a lui va indirizzata la gratitudine di chi riceve la solidarietà cubana.

La pandemia della COVID-19 impone un’altra battaglia che Fidel sta vincendo. L’articolazione nazionale contro la malattia, le capacità del paese per evitare saldi fatali di altre terre, risultano dal pensiero del Comandante in Capo, reso realtà, materializzato nella continuità con al fronte il Presidente della Repubblica, Miguel Díaz-Canel, con la sapiente guida del Generale d’Esercito Raúl Castro Ruz, in cui deposita tutta la sicurezza e la fiducia.

Questo 13 agosto a 94 anni del Comandante in Capo, dalla roccia monolitica che lo accoglie nella sua Santiago amata, le sue grandi battaglie e le sue vittorie continueranno ad essere riferimenti obbligati per un popolo che per convinzione si è proposto di costruire il suo proprio destino, lo stesso che lui ha tracciato e che difenderemo sempre.

 

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