La recente definizione del senatore Chris Murphy della politica statunitense nei confronti del Venezuela come un “assoluto disastro” rende vistosamente chiaro che molti nella dirigenza politica riconoscono la necessità di un cambiamento di corso. La dichiarazione da parte di un così influente Democratico può segnalare un revisione della politica nei confronti del Venezuela, anche se non particolarmente generale, da parte di una amministrazione Joe Biden.
Murphy, che ha formulato le sue osservazioni al Rappresentante Speciale per il Venezuela Elliott Abram a un’audizione del Comitato sulle Relazioni con l’Estero, ha segnalato che il dissenso in seno all’opposizione venezuelana minaccia la dirigenza dell’autoproclamato “presidente” Juan Guaidó. “(Per l’amministrazione Trump) Juan Guaidó sarà permanentemente riconosciuto leader del Venezuela, indipendentemente da come cambieranno le condizioni sul campo?” Si è trattato di una buona domanda perché il successo della strategia di Trump sul Venezuela dipende dalla continua dirigenza indiscussa di Guaidó. Non c’è una strategia di riserva.
Dall’autoproclamazione di Guaidó il 23 gennaio 2019, Washington ha fatto del proprio meglio per ottenergli un riconoscimento mondiale e per minare la presa sul potere del presidente Nicola Maduro. Ma i tentativi di cambiamento di regime si sono rivelati uno dopo l’altro una follia, compreso un tentativo di un colpo di stato militare appoggiato dagli USA il 30 aprile 2019 e un’incursione militare dalla Colombia lo scorso maggio. Persino Trump ha ammesso che il politicamente non verificato Guaidó (che ha appena compiuto 37 anni) non è stato all’altezza del compito. Murphy ha dichiarato all’audizione del comitato del Senato: “La nostra grande partita nel riconoscere Guaidó appena fuori dalla porta… semplicemente non ha funzionato”.
Tuttavia dalle parole e dalle azioni della Casa Bianca si penserebbe che stesse accadendo giusto il contrario, che Guaidó fosse sull’orlo di rovesciare Maduro. Ogni paio di giorni l’amministrazione Trump, ansiosa di un sonoro successo da trasformare in voti a novembre, intensifica la sua guerra al Venezuela, che considera un bersaglio più vulnerabile dell’Iran. Il 14 giugno Trump ha vantato che quattro petroliere in rotta dall’Iran per il Venezuela erano state costrette dagli Stati Uniti a recarsi a Houston. Lo stesso giorno un portavoce del Dipartimento di Stato ha spacciato il successo della sua “campagna di massima pressione” in cui “sempre più flotte globali stanno evitando il commercio Iran-Venezuela grazie alle nostre sanzioni”, che sono ora utilizzate per minacciare compagnie di navigazione, compagnie di assicurazione e capitani navali, tra altri.
La persistente speranza di Washington è indubbiamente che la situazione in Venezuela si aggravi. A questo è stato alluso da un analista di un gruppo di esperti e consulente del Dipartimento di Stato Evan Ellis nel suo rapporto “Venezuela: Pandemia e Intervento Straniero in un Narco-stato al Collasso”. Ellis indica che “il Covid-19 ora promette di trasformare la crisi del Venezuela in una più vasta”. Aggiunge: “la condanna a morte implicita nella malattia potrebbe essere la goccia finale nel disintegrare la residua disciplina dell’esercito di altre forze di sicurezza”.
Argomenti buoni e cattivi di Murphy
Gli argomenti di Murphy all’audizione del senato sono stati pragmatici e non di principio. La sua posizione che la strategia venezuelana di Trump non abbia funzionato suggerisce la possibilità di un distanziamento di un presidente Biden da Guaidó. La posizione di Murphy ha implicazioni positive e negative. Positive, perché viene da un partito i cui principali leader hanno applaudito zelantemente la presenza di Guaidó al discorso di Trump sullo Stato dell’Unione a febbraio. (Ricordate Nancy Pelosi in piedi e plaudente, diversamente dalla sua reazione a quasi tutto il resto detto da Trump quella sera).
La decisione si smettere di chiamare “presidente” Guaidó sarebbe un tacito riconoscimento che Washington aveva preso una cantonata nel girare al governo parallelo di Guaidó miliardi di dollari di attività venezuelane, compresa la CITGO. Non è un piccolo fallimento. Il ruolo attivista dell’amministrazione Trump nel cercare di indurre altri paesi, organizzazioni e imprese, comprese Russia, Cina, Cuba e, crediatelo o no, Iran a adeguarsi alle sanzioni contro il Venezuela ha pochi paralleli nella storia. La tesi di Washington per le sanzioni è basata sull’argomento che Guaidó, e non Maduro, è il giusto presidente del Venezuela. Una presa di distanza da Guaidó distrarrebbe da questa campagna e indebolirebbe il prestigio degli Stati Uniti, almeno nel breve termine.
Murphy, a suo credito, ha riconosciuto che l’opposizione in Venezuela è aspramente divisa. L’amministrazione Trump liquida il blocco di opposizione contro Guaidó come costituito da politici canaglia, alcuni dei quali ha colpito con sanzioni. Ma recentemente la gerarchia della chiesa cattolica, che si è veementemente opposta a Maduro e al suo predecessore Hugo Chavez, ha criticato aspramente il blocco filo Guaidó per essersi rifiutato di partecipare alle elezioni parlamentari programmate per dicembre. L’11 agosto la conferenza episcopale venezuelana ha diffuso un documento che ha affermato: “L’astensionismo aggrava la frattura politico-sociale della nazione e l’assenza di speranza per il futuro”. In un altro sviluppo recente, Enrique Mendoza del partito sociale cristiano COPEI è stato il più recente in una lista di leader politici di lungo corso a partecipare alle elezioni di dicembre. I media statunitensi dicono poco di notizie come questa che screditano Guaidó e i suoi alleati.
La vera lezione
Ma la posizione di Murphy è tutt’altra cosa rispetto ad affrontare i problemi e le lezioni reali che devono essere apprese dal fiasco di Guaidó, cioè l’importanza di rispettare la sovranità nazionale. Anziché affrontare il problema, Murphy ha rimproverato Abrams e Trump per non essere più intelligenti nel cercare di realizzare il cambiamento di regime. Il senatore ha detto ad Abrams: “Avremmo potuto usare la prospettiva di un riconoscimento statunitense o delle sanzioni come leva” e avrebbero potuto fare più che consultare alleati europei e “parlare alla Cina e alla Russia o neutralizzarle” in una fase anticipata. In breve “tutto quanto abbiamo fatto è stato giocarci tutte le carte una volta sola, e non ha funzionato”.
Il giornalista premio Pulitzer Glenn Greenwald ha fatto a pezzi la linea di ragionamento di Murphy a difesa dell’egemonia statunitense, dicendo: “Murphy è stato ‘furioso’ che gli Stati Uniti sotto Trump abbiano perso il ‘diritto naturale’ di controllare chi governa il Venezuela”. Il tema della sovranità nazionale si sta manifestando in Venezuela nel dibattito tra le fazioni pro e anti Guaidó dell’opposizione, uno sviluppo di cui i media statunitensi sono pure dimentichi. La fazione anti Guaidó ha fatto proprio lo slogan della sovranità nazionale. Miguel Salazar, presidente del partito conservatore COPEI, ha dichiarato recentemente (nelle parole di EI Universal): “La comunità internazionale ha esacerbato il conflitto [venezuelano] anche se la risoluzione dei problemi deve essere in (mani) venezuelane e non sottoposta alle linee guida degli Stati Uniti”.
La bandiera della sovranità nazionale è stata sollevata dai due maggiori avversari di Washington sul palcoscenico mondiale, Cina e Russia, nelle loro pronunce sul Venezuela in un modo che rafforza la loro reputazione internazionale. In effetti gli Stati Uniti si stanno trovano sempre più isolati sul palcoscenico mondiale, come reso evidente nell’umiliante sconfitta di venerdì scorso al Consiglio di Sicurezza dell’ONU in cui gli Stati Uniti hanno contato solo sul voto della Repubblica Dominicana per il loro proposto rinnovo del boicottaggio della vendita di armi all’Iran. Anche se è altamente improbabile che un presidente Biden compia un completo dietrofront sulla politica venezuelana, un approccio di maggiore non intervento farebbe molto nel mitigare le tensioni in tale nazione e nell’ottenere a Washington un certo grado di rispetto nel mondo.
Steve Ellner, docente in pensione della Universidad de Oriente (Venezuela), è attualmente vicedirettore generale di Latin American Perspectives. E’ curatore di ‘Latin America’s Pink Tide: Breakthroughs and Shortcomings’ (2020) e di ‘Latin American Extractivism: Dependency, Resource Nationalism and Resistance in Broad Perspective’ (di prossima pubblicazione).
Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo
Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/the-juan-guaido-strategy-has-proven-to-be-a-fiasco/
Originale: Consortium News
Traduzione di Giuseppe Volpe