Ecuador. Respinta la candidatura di Rafael Correa

di Geraldina Colotti

In Ecuador, il 7 febbraio 2021 si svolgeranno le elezioni per rinnovare il governo e il parlamento. Dalle primarie realizzate dalle varie formazioni politiche nel mese di agosto, sono emerse 20 formule, che si candidano come presidente e vicepresidente, 16 delle quali si sono iscritte nel registro elettorale entro il 3 di settembre. Avrebbe voluto farlo, attraverso una delega data alla sorella, anche l’ex presidente Rafael Correa, candidato alla vicepresidenza di Andrés Arauz per il partito Centro Democratico.

Pierina Correa, insieme a Arauz e a un notaio, si è presentata alla sede del Consiglio Nazionale Elettorale (CNE) provvista dei documenti necessari e anche di un iPad con il quale era in collegamento diretto con l’ex presidente. Viste le condizioni di emergenza dovute al coronavirus, che impongono di limitare gli spostamenti – hanno sostenuto i correisti – i documenti avrebbero potuto essere accettati.

Il funzionario ha però evitato di consegnare il modulo a Pierina Correa, dicendo che il candidato avrebbe dovuto recarsi sul posto di persona: cosa impossibile per l’ex presidente, data la persecuzione giudiziaria di cui è vittima. Il CNE – ha denunciato Correa – ha inasprito per l’occasione un regolamento del 2012, sotto la pressione dell’attuale presidente Lenin Moreno, un tempo suo alleato nella revolución ciudadana, ora suo acerrimo nemico.

Il Centro Democratico ha candidato Rafael Correa anche come parlamentare per la circoscrizione d’Europa, Asia e Oceania. L’ex presidente, che vive in Belgio, avrebbe potuto svolgere le pratiche di iscrizione presentandosi al consolato, ma ha comunicato di non poterlo fare in quanto è obbligato a restare in quarantena per due settimane, dopo essere ritornato da un viaggio di lavoro a Parigi.

Due altri esponenti del passato governo, Guillaume Long e Esther Cuesta, hanno invece potuto candidarsi per la circoscrizione all’estero, con i relativi supplenti. Intanto, Correa ha annunciato che presenterà ricorso, mentre si prospetta la possibilità di una candidatura alternativa alla vicepresidenza, quella del giornalista Carlos Rabascall, anch’egli scelto nelle primarie.

Il correismo ha costruito un’alleanza di sinistra che, vista la frammentazione del quadro elettorale e lo svuotamento del partito di governo Alianza País, potrebbe anche vincere al primo turno. Deve però vedersela con l’azione dei tribunali, impegnati in quello che è ormai noto come lawfare, l’uso della magistratura a fini politici. Una tendenza evidente in tutta l’America Latina, attraverso la quale le classi dominanti, dirette dai grandi poteri sovranazionali, cercano di togliere di mezzo leader carismatici della passata ondata progressista latinoamericana. Così è andata con Lula in Brasile, così si è cercato di fare con Cristina Fernandez in Argentina, così si continua a fare contro l’ex presidente boliviano Evo Morales e con Rafael Correa, che ha diretto l’Ecuador per un decennio.

Adesso, il destino politico di Correa è appeso a una sentenza di cassazione che deve decidere sul ricorso presentato dagli avvocati a seguito di una condanna a 8 anni per corruzione.  Se il CNE avesse accettato la candidatura dell’ex presidente, questo gli avrebbe consentito di godere di un’immunità temporanea. In ogni caso, una sentenza positiva della cassazione potrebbe pesare anche sul ricorso presentato da Correa all’autorità elettorale, i cui termini scadono il 17 settembre. Diversamente, se la condanna venisse confermata, Correa sarebbe inabilitato per otto anni.

Con il voltafaccia di Lenin Moreno, che ha riportato il paese nell’orbita di Washington e del Fondo Monetario Internazionale, si è aperta una fase di grande instabilità, testimoniata anche dal fatto che Moreno ha cambiato 4 vicepresidente nel giro di poco tempo, uno dei quali, Jorge Glas, è stato messo in galera con l’accusa di corruzione.

Le misure neoliberiste messe in atto da Moreno nel 2019, hanno portato a migliaia di licenziamenti, moltiplicando gli effetti della crisi da coronavirus attualmente in corso. Una crisi sociale e sanitaria che ha già portato alla morte di oltre 6.000 persone e che ha accentuato ancor di più il rifiuto della popolazione nei confronti di Moreno, la cui gestione, secondo una recente inchiesta della Celag, è disapprovata da oltre l’83% per cento degli ecuadoriani.

Il presidente non si ricandida ma, evidentemente, cerca di approfittare della congiuntura di crisi per portare a termine il lavoro sporco per conto delle grandi istituzioni internazionali, che gli era stato impedito dalla forte mobilitazione popolare. A fine luglio ha annunciato che l’FMI prevede che l’Ecuador firmi un nuovo accordo economico che sostituirà quello sospeso nel 2019 a causa delle proteste popolari.

Le condizioni si stanno concretizzando in questi giorni. Moreno ha trionfalmente annunciato in twitter il prestito concesso dal Fondo Monetario e l’abbassamento del tasso di rischio da parte delle agenzie di rating. Decisioni che peseranno sulla campagna elettorale e che rafforzeranno l’appoggio degli USA per le prossime elezioni per la presidenza della Banca Interamericana di Sviluppo.

Un altro passo avanti nel consolidamento degli interessi nordamericani nell’area. In cambio, Moreno deve pacificare il paese, continuando la persecuzione politica a chi potrebbe ripresentarsi come un’opzione alternativa.

 

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