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La simultaneità di diversi eventi con il Venezuela come epicentro illustra il livello di rilevanza del paese petrolifero nell’approccio strategico USA su più fronti.
Recentemente, il Segretario di Stato Mike Pompeo ha visitato diversi paesi della regione, tre dei quali confinanti con il Venezuela.
Il suo passaggio per Suriname, Guyana, Brasile e Colombia ha avuto il Venezuela al centro del tavolo, attraverso arringhe del funzionario su questioni di sicurezza e crisi interna. Le sue frasi mirando allo smantellamento del chavismo al potere non si sono fatte aspettare.
Dopo il tour, Pompeo ha annunciato un nuovo pacchetto di quasi 348 milioni di dollari di “aiuti umanitari” che in teoria sarebbero destinati al popolo venezuelano.
D’altra parte, Mike Pence, il secondo uomo dell’esecutivo USA, ha recentemente tenuto una conversazione telefonica con la sua figura chiave nella destabilizzazione del Venezuela, il deputato Juan Guaidó.
“Eccellente telefonata oggi con il presidente del Venezuela Juan Guaidó”, ha scritto Pence.
“Sotto il presidente Donald Trump, gli USA sostengono il presidente @jguaido ed il popolo venezuelano amante della libertà. Gli USA continueranno a sostenerli fino a che si ripristini la sua #libertà”, segnala testuale il sostegno tramite Twitter.
In un’altra area, il Dipartimento del Tesoro USA ha emesso sanzioni contro diversi politici dell’opposizione venezuelana che accusa di aver “facilitato gli sforzi” per “manipolare” le elezioni parlamentari convocate per il prossimo 6 dicembre.
In un comunicato, l’ufficio di Steve Mnuchin ha spiegato che i sanzionati sono “figure chiave” nel piano per “porre il controllo dei partiti di opposizione nelle mani di politici affiliati al regime di Nicolás Maduro, minando ogni sfida credibile dell’opposizione a tale regime”.
I sanzionati sono Miguel Antonio José Ponente (PJ), Guillermo Antonio Luces (VP), José Bernabé Gutiérrez (AD) e Chaim Jose Bucaran (UNT). Fondamentalmente, le misure di pressione contro questi anti-chavisti ricadono, per estensione, sulla possibilità che questi settori possano aggiungersi tardivamente, ma in fin dei conti aggiungersi, alle prossime elezioni.
Il fatto è che diversi dirigenti dei partiti appartenenti al G4 (VP, AD, PJ e UNT), si siano candidati alle cariche tramite tessere di altri partiti minori, non avendo avuto il supporto formale delle loro organizzazioni di origine per essere, queste, piegate, in mezzo a chiare pressioni, ad un boicottaggio elettorale.
Si è anche avuta, alcuni giorni fa, la pubblicazione e l’alta diffusione del rapporto di “verifica dei fatti” che diversi paesi del Gruppo di Lima hanno sollevato in seno al Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU, vale a dire, in maniera non presenziale in Venezuela e parallelamente ai rapporti raccolti in Venezuela dall’Ufficio dell’Alta Commissaria per i Diritti Umani del principale ente multilaterale. (La-verdad-de-Venezuela-contra-la-infamia.-Datos-y-testimonios-de-un-pais-bajo-asedio)
Questo rapporto, pieno di falsità, è stato un input di nuove pressioni che provenivano dall’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), dai paesi del Gruppo di Lima e dai membri del Gruppo di Contatto dell’Unione Europea (UE) con Caracas, che hanno intensificato la loro retorica contro le istituzioni venezuelane e le imminenti elezioni parlamentari.
Simultaneamente, Juan Guaidó ha diffuso un video parallelo all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in cui, dalla sua figura “presidenziale” parallela, ha chiesto, in modo sfumato ma aperto, un intervento di forze straniere nel paese.
Sebbene la richiesta di Guaidó non avrebbe potuto procedere davanti all’ONU ed al suo Consiglio di Sicurezza per non essere stato riconosciuto come presidente davanti a queste istanze, il suo appello consiste in un requisito indispensabile per legittimare nuovi attacchi contro il Venezuela, il che implica che questa azione giace nell’orchestrazione degli statunitensi che, chiaramente, controllano il deputato venezuelano.
I fattori in gioco
Alla luce di questi eventi, che non devono essere compresi isolatamente, gli USA mantengono una chiara pressione contro il Venezuela e questo è spiegato dal legame tra gli eventi nella nazione caraibica ed il risultato elettorale nello stato della Florida, uno stato chiave per la rielezione di Trump a novembre.
La Florida è uno stato chiamato “pendolo” per passare da un candidato democratico ad un repubblicano da un’elezione all’altra. Ma è fondamentale per il suo importante numero di collegi elettorali, circa 27 in totale.
Trump ha vinto in Florida, nel 2016, con il 45,3%, avvantaggiato su Clinton dell’1,2%. Quest’anno intende consolidare il suo vantaggio in questo stato, mantenendo la sua leadership nell’ala dura di democratici e repubblicani che compongono le diaspore cubane e venezuelane.
Il 66% dei venezuelani americani in Florida voterebbe per la rielezione di Trump rispetto al 34% che voterebbe per il candidato democratico Joe Biden, secondo un sondaggio pubblicato questo venerdì. I risultati del sondaggio d’opinione condotto dal Public Opinion Research Lab della University of North Florida (UNF).
La rilevanza del voto venezuelano, insieme al voto cubano, sta nel fatto che potrebbero collocare la bilancia a favore di Trump ed espandere le sue possibilità in quello stato.
La conquista di questo segmento del voto latino negli USA è vitale per Trump per avanzare nel sostegno generale della comunità latina, o almeno in una parte di essa. Questo comprendendo che, proprio ora, Trump ha alle calcagna politici democratici e diverse ONG che hanno scatenato uno scandalo che punta alle carceri federali per migranti negli USA, nelle quali si starebbero applicando sterilizzazioni, in maniera non volontaria, alle donne detenute.
Questo tema è il principale riferito alla comunità latina e che si incorpora nel tratto finale della campagna.
Nel bel mezzo della sua campagna politica, Trump si è fermato, il 15 settembre, per dirigersi ai latini in Florida, affermando che in Venezuela “accadranno cose interessanti”. La nazione caraibica è stata in un posto privilegiato di quel discorso, dove è arrivato a comparare un ipotetico USA “socialista” nelle mani di Biden con il Venezuela governato dal chavismo.
Per molti, non è irragionevole presumere che gli USA premeranno il grilletto contro il Venezuela, cercando la cosiddetta “sorpresa di ottobre”, che sono i tipici shock fabbricati dagli USA per far inclinare le bilance elettorali.
I venezuelani negli USA seguono da vicino ciò che sta accadendo in Venezuela e gli allentamenti o incrementi delle pressioni USA contro il governo venezuelano. Se questi considerassero che gli USA hanno claudicato contro Caracas, potrebbero ritirare il loro sostegno a Trump.
Queste percezioni giacciono nel tema elettorale in Venezuela.
Dal suo sviluppo ed esito dipende, in gran misura, il ciclo di dilemmi e pressioni sui destini venezuelani, ma anche lo stesso destino di Trump, poiché il suo consolidamento in Florida sta, in gran parte, da quanto diligente sia stato nelle sue azioni sfrenate contro il chavismo ed il popolo venezuelano sotto blocco.
In Venezuela, il presidente Nicolás Maduro mira alla realizzazione di elezioni osservate e monitorate, che possano essere appoggiate a livello internazionale.
Mentre per l’opposizione, Juan Guaidó guida il boicottaggio elettorale sostenuto dagli USA.
L’agenda USA suppone l’ “invalidazione” delle elezioni venezuelane e la continuità dell’inesistente mandato di Guaidó. In questa convergenza sta la continuità o meno del blocco economico e di altre gravi operazioni di soffocamento che si stanno eseguendo, oggi, contro il Venezuela.
Tuttavia, ci sono anche nuovi movimenti e nuove possibilità, anche dalla mano di altri attori. I media spagnoli hanno affermato che il diplomatico Josep Borrell, a nome della UE, avrebbe inviato una missione a Caracas per, ancora una volta, concertare possibilità che portassero ad un’osservazione europea delle prossime elezioni.
In questo scenario, la UE starebbe proponendo nuove condizioni e garanzie elettorali, e persino una modifica dei periodi elettorali. Tuttavia, per Caracas, l’unica data prevista per le elezioni è il 6 dicembre, e sono insondabili le possibilità che ciò vari, ancora meno, con gli sgambetti che sono stati evidenti in tutti i tratti dell’interlocuzione e dopo le posizioni ambigue degli europei.
Ciò implica che le pressioni USA non vanno solo contro Caracas, ma anche contro Bruxelles.
Recentemente la UE ha fatto sapere che non avrebbe osservato le elezioni, dichiarandosi incompetente ad organizzare una missione per “mancanza di tempo”, anche se mancano tre mesi alle parlamentari.
Dopo il rapporto parallelo al Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU e mediante la posizione del Gruppo di Contatto, gli europei avrebbero consolidato la loro posizione di non partecipazione.
Tuttavia, questo potrebbe cambiare.
Movimientos en el tablero geopolítico y elecciones parlamentarias en Venezuela
La simultaneidad de varios eventos con Venezuela en el epicentro, ilustran el nivel de relevancia del país petrolero en el planteamiento estratégico estadounidense en varios frentes.
Hace poco ocurrió la visita del secretario de Estado, Mike Pompeo, por varios países de la región, tres de ellos fronterizos con Venezuela.
Su paso por Surinam, Guyana, Brasil y Colombia tuvo a Venezuela en el centro de mesa, mediante arengas del funcionario en materia de seguridad y la crisis interna. Sus frases apuntando al desmantelamiento del chavismo en el poder no se hicieron esperar.
Seguidamente a la gira, Pompeo hizo el anuncio de un nuevo paquete de casi 348 millones de dólares de “ayuda humanitaria” que en teoría tendría como destino al gentilicio venezolano.
Por otro lado, Mike Pence, el segundo hombre del Ejecutivo estadounidense, sostuvo recientemente una conversación telefónica con su figura clave en la desestabilización a Venezuela, el diputado Juan Guaidó.
“Excelente llamada telefónica hoy con el presidente de Venezuela Juan Guaidó”, escribió Pence.
“Bajo el presidente Donald Trump, Estados Unidos apoya al presidente @jguaido y al pueblo venezolano amante de la libertad. ¡Estados Unidos seguirá apoyándolos hasta que se restaure su #libertad!”, señala textual el espaldarazo a través de Twitter.
En otro ámbito, el Departamento del Tesoro estadounidense emitió sanciones contra varios políticos opositores venezolanos a los que acusa de haber “facilitado los esfuerzos” para “manipular” las elecciones parlamentarias convocadas para el próximo 6 de diciembre.
En un comunicado, el despacho de Steve Mnuchin explicó que los sancionados son “figuras clave” en el plan para “poner el control de partidos de oposición en manos de políticos afiliados al régimen de Nicolás Maduro, socavando cualquier desafío creíble de la oposición a dicho régimen”.
Los sancionados fueron Miguel Antonio José Ponente (PJ), Guillermo Antonio Luces (VP), José Bernabé Gutiérrez (AD) y Chaim Jose Bucaran (UNT). Básicamente, las medidas de presión contra estos antichavistas recaen por extensión a la posibilidad de que estos sectores puedan sumarse tardíamente, pero sumarse a fin de cuentas, a las venideras elecciones.
El hecho es que varios dirigentes de los partidos pertenecientes al G4 (VP, AD, PJ y UNT), se han postulado a cargos mediante tarjetas de otros pequeños partidos, una vez que no han contado con el apoyo formal de sus organizaciones de origen al estar plegados, en medio de claras presiones, a un boicot electoral.
También tuvo lugar hace días la publicación y alta difusión del informe de “verificación de hechos” que varios países del Grupo de Lima levantaron dentro del Consejo de Derechos Humanos de la ONU, vale decirlo, de manera no presencial en Venezuela y en paralelo a los informes que ha levantado en Venezuela la Oficina de la Alta Comisionada para los Derechos Humanos del principal ente multilateral.
Este informe, plagado de falsedades, fue un insumo de nuevas presiones que vinieron desde la Organización de Estados Americanos (OEA), países del Grupo de Lima y los miembros del Grupo de Contacto de la Unión Europea (UE) con Caracas, quienes recrudecieron su retórica contra las instituciones venezolanas y las elecciones parlamentarias por venir.
En simultáneo, Juan Guaidó emitió un video paralelo a la Asamblea General de la ONU, en el que, desde su figura “presidencial” paralela, llamó de manera matizada pero abierta a una intervención de fuerzas extranjeras en el país.
Aunque la solicitud de Guaidó no podría proceder ante la ONU y ante su Consejo de Seguridad por no ser reconocido como presidente ante estas instancias, su llamado consiste en un requisito indispensable para legitimar nuevas arremetidas contra Venezuela, lo cual implica que esta acción yace en la orquestación de los estadounidenses, quienes claramente controlan al diputado venezolano.
Los factores en juego
A la luz de estos eventos, que no deben entenderse de manera aislada, EEUU mantiene una clara presión contra Venezuela y esta se explica por el vínculo de los eventos en la nación caribeña con el resultado electoral en el estado de Florida, un estado clave para la reelección de Trump en noviembre.
Florida es un estado llamado “péndulo” por ir de un candidato demócrata a un republicano de una elección a la otra. Pero es clave por su importante número de colegios electorales, unos 27 en total.
Trump ganó en Florida en 2016 con 45,3%, aventajando a Clinton por 1,2%. Este año pretende afianzar su ventaja en este estado, sosteniendo su liderazgo en el ala dura de demócratas y republicanos que integran las diásporas cubanas y venezolanas.
El 66% de los venezolanoamericanos de Florida votaría por la reelección de Trump frente al 34% que sufragaría por el candidato demócrata Joe Biden, según una encuesta divulgada este viernes. Los resultados del sondeo de opinión realizado por Public Opinion Research Lab de la University of North Florida (UNF).
La relevancia del voto venezolano, aunado al voto cubano, yace en que podrían colocar la balanza a favor de Trump y ampliar sus posibilidades en ese estado.
La conquista de este segmento del voto latino en EEUU es vital para Trump para avanzar en el respaldo general de la comunidad latina, o al menos en una parte de ella. Esto entendiendo que, justo ahora, Trump tiene a cuestas a políticos demócratas y varias ONG que han hecho estallar un escándalo que apunta a las cárceles federales para migrantes en EEUU, en las que se estarían aplicando esterilizaciones de manera involuntaria a las mujeres retenidas.
Este tema es el principal referido a la comunidad latina y que se incorpora a la recta final de la campaña.
En medio de su campaña política Trump se detuvo este 15 de septiembre para dirigirse a los latinos en Florida, afirmando que en Venezuela “pasarán cosas interesantes”. La nación caribeña estuvo en un lugar privilegiado de ese discurso, donde llegó a comparar a un hipotético EEUU “socialista” en manos de Biden con la Venezuela gobernada por el chavismo.
Para muchos, no es descabellado asumir que los estadounidenses aprieten el gatillo contra Venezuela, buscando la llamada “sorpresa de octubre”, que son las típicas conmociones fabricadas en EEUU para inclinar las balanzas electorales.
Los venezolanos en EEUU siguen de cerca lo que ocurre en Venezuela y los aflojamientos o incrementos de las presiones estadounidenses contra el gobierno venezolano. Si estos consideran que EEUU ha claudicado contra Caracas, podrían retirar el apoyo a Trump.
Estas percepciones yacen en el tema electoral en Venezuela.
De su desarrollo y desenlace depende en gran medida el ciclo de encrucijadas y presiones sobre los destinos venezolanos, pero también el propio destino de Trump, pues su afianzamiento en Florida yace en gran medida por lo diligente que ha sido en sus acciones destempladas contra el chavismo y el pueblo venezolano bajo bloqueo.
En Venezuela, el presidente Nicolás Maduro apunta a la realización de unas elecciones observadas y acompañadas, que puedan ser respaldadas internacionalmente.
Mientras que por la oposición, Juan Guaidó lidera el boicot electoral apoyado por EEUU.
La agenda estadounidense supone la “invalidación” de las elecciones venezolanas y la continuidad del inexistente mandato de Guaidó. En esta convergencia, yace la continuidad o no del bloqueo económico y otras operaciones de asfixia severa que hoy se ejecutan contra Venezuela.
Sin embargo, también hay nuevos movimientos y nuevas posibilidades, también de la mano de otros actores. Medios españoles han dicho que el diplomático Josep Borrell a nombre de la UE habría enviado una misión a Caracas para, nuevamente, concertar posibilidades que deriven en una observación europea de las próximas elecciones.
En ese escenario, la UE estaría proponiendo nuevas condiciones y garantías electorales, e incluso una modificación de los lapsos electorales. Sin embargo para Caracas, la única fecha electoral prevista es el 6 de diciembre y son insondables las posibilidades de que eso varíe, menos aún, con los traspiés que han sido evidentes en todos los tramos de la interlocución y luego de las posiciones ambiguas de los europeos.
Esto implica que las presiones estadounidenses no van sólo contra Caracas, pues también apuntan a Bruselas.
Hace poco la UE señaló que no observaría las elecciones, declarándose incompetentes para organizar una misión por “falta de tiempo”, aun cuando faltan tres meses para las parlamentarias.
Luego del informe paralelo en el Consejo de Derechos Humanos de la ONU y mediante la posición del Grupo de Contacto, los europeos habrían afianzado su posición de no participar.
Sin embargo, esto podría cambiar.