Il 9 ottobre del 1967, il comandante Ernesto Che Guevara, uno degli artefici della Rivoluzione cubana, fu fucilato in una scuola a la Higuera, in Bolivia, dopo essere stato catturato da un reparto delle forze speciali assistite da agenti della CIA.
La vita del Che era sostenuta dalla coerenza tra il suo pensiero e le sue azioni. Questa è la più grande eredità e l’eterno impegno di ciascuna delle generazioni che vedono nella sua figura il paradigma del rivoluzionario.
di Liudmila Peña Herrera – Juventud Rebelde
Non riesco a trovare un’immagine più tremendamente rappresentativa di trasparenza ed esempio, di cavalleria e coraggio, di quella in cui appare con il petto esposto e lo sguardo fisso sul suo obiettivo, come se nulla fosse in grado di tenerlo fuori strada, mentre spinge una carriola nel mezzo del primo lavoro di volontariato dove contadini, operai, giovani … si unirono a lui per costruire il futuro dei ragazzi della Sierra Maestra sotto forma di scuola.
Questa è, per me, la definizione più esatta di ciò che dovrebbe essere un leader rivoluzionario: fango fino alle ginocchia se necessario per seminare; con la suola dipinta di terra rossa se la fabbrica ha bisogno di produrre più nichel; pranzare in una sala con gli operai se si vuole davvero sapere di cosa ha bisogno il minatore, cosa pensa la sarta, cosa manca al dottore, l’angoscia e i sogni del contadino … insomma la vita che quella massa pensante che sono le persone, e chi ha bisogno di sapere che chi le chiede e le promette, è prima capace di sentire e di fare.
Perché, come ha detto lui stesso nel suo intervento in occasione della premiazione degli operai eccezionali del Ministero delle Industrie, il 30 aprile 1962, “chi fa la storia, chi la fa giorno per giorno attraverso il lavoro e la lotta quotidiana , che la firma e la fa diventare realtà nei grandi momenti, è la classe operaia, sono gli operai, sono i contadini, siete voi, compagni, gli artefici di questa Rivoluzione, i creatori e i sostenitori di tutto ciò che c’è di buono in essa» .
L’uomo che ha parlato così ai suoi pari è il faro che cerco quando la notte non è abbastanza luminosa e sono necessarie decisioni, quando appare un bivio e si deve scegliere tra comodità, piacere, comodità e dovere; ma è anche il metro con cui misuro chi convoca, chi esige e chiede sacrifici. Questo è, per me, l’esempio del Che: un misuratore della forza morale, un rivelatore di un rivoluzionario completo, una guida all’onestà.
Dobbiamo stare attenti a non idealizzare il Che, perché situato su piedistalli irraggiungibili dove il suo esempio ci rende piccoli davanti alla grandezza della sua impavidità, dove non ci mobilita per ripensare le cose, dove non è la forza trainante delle nostre lotte o l’interrogante delle nostre realtà.
Ci sarà una guerriglia di marmo o di bronzo, ma non l’eroe quotidiano che ha portato su se stesso – e coscienziosamente – il peso della propria etica, consistente nel fatto che la sua azione è il riflesso della sua parola, e la sua guerra, la difesa del giustizia e il perdente.
Per seguire la strada tracciata dal Che non basta mostrare la sua immagine su una maglietta o recitare due o tre delle sue frasi popolari, ma “considerare tutto ciò che non si comprende; discutere e chiedere chiarimenti su ciò che non è chiaro; dichiarare guerra al formalismo, a tutti i tipi di formalità. Sii sempre aperto a ricevere nuove esperienze. Questo è stato il suggerimento che ha fatto ai giovani comunisti del suo tempo e che, in fondo, sembra che ce lo ripetesse ogni giorno, come se ci chiamasse alla sincerità di fronte a ciò che non capiamo o non condividiamo.
Il Che è il conquistatore delle moltitudini, l’unificatore per eccellenza, indipendentemente da credi, lingue, nazionalità e persino posizioni politiche. Ci sono scettici in tutto il mondo che non hanno altra religione che l’esempio del Che, e il segreto potrebbe risiedere proprio nella coerenza con cui ha vissuto da quando ha iniziato a predicare con la voce del rivoluzionario.
Non mentì quando disse che non aveva lasciato nulla di materiale ai suoi figli ed a sua moglie, prima di lasciare Cuba; Non lo ha fatto neanche quando ha affermato, “a rischio di apparire ridicolo, che il vero rivoluzionario è guidato da grandi sentimenti d’amore. È impossibile pensare a un vero rivoluzionario senza questa qualità.
Era quell’amore per l’umanità e per i diseredati che non le permetteva di restare e godere di affetti filiale, al riparo da casa; È stata quella coerenza con il proprio pensiero che lo ha spinto a dimettersi dalle sue posizioni e responsabilità per partire per un futuro incerto, con lo scopo di eliminare le ingiustizie, come un Chisciotte di Guevarian. E se non fosse morto per mano di agenti assassini nel pieno della sua esistenza, se la CIA non fosse intervenuta per paura della sua guida e del suo esempio, il Che avrebbe comunque “commesso degli errori”.
Sua figlia Aleida Guevara ha mantenuto tale certezza, in un’intervista rilasciata al quotidiano Vanguardia, quando ha dichiarato:“Penso che abbia adempiuto a quello che diceva sempre, perché giovanissimo affermava che quando sentiva odore di polvere da sparo e sangue, sarebbe stato accanto agli operai, agli umili, e lo ha fatto. In qualche modo, il Che continuerebbe oggi a fianco dei nostri popoli. Partecipare e attirare la nostra attenzione. Correggere i nostri errori ».
È per questo motivo impegnativo e inappellabile che non dobbiamo permetterci il sacrilegio di rimuovere l’essenza di Guevara dal nostro percorso quotidiano, perché se c’è qualcuno che non ci ha mai chiesto più di quello che potremmo dare, anche a suo vantaggio ed a rischio della propria vita, quello era il Che.