di Geraldina Colotti
Un video, proveniente dalla Bolivia, sta facendo il giro del mondo, diffuso dai media alternativi. Mostra un ufficiale di basso rango dell’esercito, che afferma di prestare servizio nella polizia militare, denunciare il piano del ministro dell’Interno, Arturo Murillo, per impedire la vittoria del Movimento al Socialismo alle elezioni del 18 ottobre.
L’ufficiale sostiene che sarebbero state importate armi di grosso calibro dagli Stati Uniti per distribuirle clandestinamente alla polizia militare e a gruppi paramilitari. “Siamo indignati – dice – perché ci hanno dato ordine di sparare contro i contadini indigeni, qualora decidano di protestare contro la frode che si sta organizzando. Molti di noi vengono dalla campagna, sarebbe come sparare contro i nostri padri”.
Il video fa seguito a un altro allarme, che annuncia “un bagno di sangue, lutto e dolore”. Ne ha dato conto il portale britannico Morning Star, riprendendo fonti dell’intelligence dell’ex governo Morales circa un’applicazione per cellulari che permetterebbe di intorpidire il voto, rivelando le preferenze dei cittadini.
L’articolo chiama in causa un cittadino boliviano di nome Edgar Villegas, accusato dal MAS di essere uno degli autori intellettuali del golpe militare del novembre 2019, in quanto ideatore della tecnologia usata per manipolare le informazioni elettorali, e fornire la base per una truffa inesistente da parte di Morales.
Una truffa orchestrata a Washington e gestita dall’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), imprudentemente invitata nel paese dallo stesso Morales, forte della trasparenza del processo elettorale e delle inchieste che lo davano vincente al primo turno.
Una vittoria effettivamente ottenuta, ma immediatamente contestata dalla destra, che ha scatenato violente proteste contro le presunte frodi. Numerose inchieste internazionali hanno poi verificato la trasparenza del risultato ottenuto da Morales, ma ormai la destra aveva raggiunto il suo scopo, obbligando il presidente ad andarsene, sotto la minaccia dell’esercito favorevole ai golpisti.
Dal suo esilio in Argentina, appoggiato da tutte le forze progressiste dell’America Latina, Evo Morales ha respinto gli innumerevoli attacchi per demolirne la figura, spiegando le vere ragioni del golpe in Bolivia: ragioni prima di tutto economiche, che attengono al controllo del prezioso litio, risorsa strategica per i grandi conglomerati internazionali.
Il più leggero di tutti i metalli, usato a livello medico nelle terapie psichiatriche per la stabilizzazione dell’umore, si presenta come un grande affare di portata mondiale: il carbonato di litio, da cui è ricavato, costa 13.000 dollari a tonnellata. Diversi componenti del litio vengono impiegati a livello industriale non solo per le batterie dei cellulari (e si prevede di produrne otto miliardi entro il 2025), ma anche per la produzione di auto elettriche.
Sotto il deserto di sale, il Salar de Ujuni, che si estende per 10.000 chilometri quadrati, si stima vi siano fino a 21 milioni di tonnellate del cosiddetto “oro bianco”: il più grande giacimento del pianeta. “Il litio della Bolivia appartiene al popolo”, aveva detto Morale ai dirigenti della multinazionale tedesca ACISA, con la quale aveva firmato un contratto per lo sfruttamento della risorsa dal 2018.
La “colpa” di Morales è stata quella di aver voluto dotare il suo paese di tecnologia autonoma per la lavorazione del litio, particolarmente avanzata e costosa, e di essersi per questo rivolto alla Cina. Da presidente benvoluto e lodato per aver consentito il “miracolo economico” boliviano nei tre mandati consecutivi della sua presidenza, Morales è così tornato a essere “l’odiato indio”, autoritario e addirittura molestatore di minorenni.
Un attacco violento e razzista, già evidenziato durante i 21 giorni di sciopero generale che hanno preceduto il golpe. Un ruolo cruciale lo ha svolto il Comitato civico pro-Santa Cruz, presieduto da Fernando Camacho, ora candidato alle elezioni, che si attribuisce il “rovesciamento dell’indio” per l’80%, sia dal punto di vista economico che da quello organizzativo.
L’influenza nefasta dell’oligarchia cruceña manovrata dagli USA, intenzionata a riportare il paese sotto il pieno dominio neocoloniale, è già evidente a un anno dal golpe dell’autoproclamata presidente Janine Añez. Gli investimenti pubblici sono immediatamente scesi del 15% per raggiungere il 40% nei tre mesi precedenti la pandemia. Il Pil, che vantava una crescita media annuale superiore al 5%, è sceso di 8 punti, mentre la disoccupazione è arrivata al 12%.
La corruzione e l’uso privato delle risorse pubbliche, che coinvolge diversi ministri di governo, a cominciare da Murillo, è conclamata, resa ancora più evidente dalla sovrafatturazione nell’acquisto di respiratori inservibili e di altre apparecchiature per far fronte alla pandemia.
E mentre il binomio candidato per il Mas, composto da Luis Arce e David Choquehuanca, ha concluso la campagna elettorale con un partecipatissimo comizio a El Alto, il candidato della destra, Carlos Mesa, che si presenta per Comunidad Ciudadana, ha scelto Santa Cruz.
I sondaggi lo danno al 33,1% contro il 42,2% di Arce, a cui mancherebbe solo lo 0,9% per vincere al primo turno. In base alla legge elettorale, infatti, per vincere occorre ottenere più del 50% dei voti o almeno il 40% a condizione di avere 10 punti di vantaggio sul secondo classificato.
Dopo aver registrato la totale assenza di gradimento, Añez si è ritirata dalla competizione, e anche Camacho figura assai in basso rispetto ai primi due candidati. Tuttavia, il suo ruolo negli scenari che si preparano non sarà affatto secondario. Murillo e compagnia hanno già ricevuto precise istruzioni da Washington, e l’OSA di Almagro è pronta a fare di nuovo il lavoro sporco.
In prima battuta, si cercherà di riproporre la trappola dei presunti brogli, com’è avvenuto con Morales. Se la vittoria dovesse essere schiacciante, vi sarà uno scontro aperto, nel quale i gruppi paramilitari, che si sono già resi protagonisti di numerosi atti di violenza contro il MAS durante la campagna elettorale – Resistencia Juvenil Cochale, Resistencia KM Cero e Unión Juvenil Cruceñista – avranno completamente carta bianca. Se invece si andrà al secondo turno, previsto entro un mese, la destra avrà la possibilità di unirsi contro il MAS.
Chi ha davvero il polso del paese, dice che il MAS avrà il voto “rurale”, quello all’estero, quello “occulto”, ovvero il voto di quanti non si manifestano apertamente per paura della dittatura, ma poi esprimono la propria opinione nelle urne, e il voto degli “indecisi” che Arce starebbe guadagnando. E che potrebbe vincere al primo turno. Ma, dopo i fiumi di denaro investiti dall’ambasciata Usa per sostenere l’oligarchia, manipolare le inchieste e “ungere” gli osservatori elettorali, glielo lasceranno fare? A decidere, sarà allora la lotta di classe.