(Le organizzazioni popolari insieme alla Forza Armata Nazionale Bolivariana sconfissero il colpo di Stato dell’aprile 2002, dopo il quale il movimento anti-Chávez ha eliminato il termine “società civile”. Foto: YVKE Mundial)
Il rapporto intitolato “Conclusioni dettagliate della missione internazionale indipendente d’inchiesta sui fatti riguardanti la Repubblica Bolivariana del Venezuela”, redatto da un gruppo di avvocati dipendenti dal Gruppo di Lima e dall’Unione Europea (UE), identifica i colectivos insieme a varie altre forme di lotta sociale come “gruppi armati non statali”.
La cosiddetta Missione d’inchiesta sui fatti è nata dal voto favorevole del 40% dei membri del Consiglio per i diritti umani dell’ONU (UNHRC). Diciannove Stati, che non hanno riconosciuto Nicolás Maduro come presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, hanno promosso la risoluzione 42/25 il 27 settembre 2019.
Con questa decisione hanno voluto proseguire nel tentativo di dare un tono formale alla guerra mediatica e legale che cerca di delegittimare il governo nazionale e facilitare il percorso per l’assalto finale alle istituzioni per via antidemocratica.
Allineamento con la narrazione dello “Stato parallelo”
La sezione che si riferisce ai collettivi sociali si trova all’interno del capitolo chiamato Quadro di Sicurezza e li contrappone alle istituzioni di sicurezza dello Stato. La spina dorsale argomentativa di quella sezione è una presunta indagine pubblicata dal sito InSight Crime, un centro studi con sede a Washington sponsorizzato dallo speculatore finanziario miliardario George Soros, in cui diversi gruppi organizzati in Venezuela vengono criminalizzati.
Sulla base delle informazioni specifiche e di parte pubblicate dal portale nel 2018, la Missione stabilisce che queste espressioni di potere popolare “hanno mantenuto un rapporto complesso con il Governo e le forze di sicurezza dello Stato”, aggiungendo che “in pratica operano sotto strutture di comando parallele” e arrivando a definirle come strutture criminali.
Nel più puro stile di altre narrazioni inventate dai governi degli Stati Uniti, la Missione fa ricorso alle versioni di “ex ufficiali del governo e dell’esercito”, tra cui l’ex direttore del Servizio Bolivariano di Informazioni (SEBIN), Cristopher Figuera, che ha partecipato al fallito tentativo di colpo di Stato del 30 aprile 2019.
(Dal 2017, collettivi come l’Esercito Produttivo dei Lavoratori viaggiano in tutto il paese mettendo in funzione fabbriche e altre infrastrutture che sono state completamente chiuse per anni. Foto: El Salto)
La serie di accuse con cui si cercano di demonizzare il rapporto tra il governo nazionale e i vari gruppi organizzati è accompagnata da una campagna tanto intensa quanto di lunga durata che proviene dall’offensiva golpista del 2002 e del 2003.
Intorno agli eventi dell’11 aprile 2002, la campagna mediatica ha messo in campo epiteti come “circoli del terrore” e “circoli violenti” per riferirsi ai Circoli Bolivariani, la prima struttura di organizzazione popolare creata nel 2001 dall’allora presidente Hugo Chávez.
Tanto i media che hanno organizzato quel colpo di Stato, quanto il rapporto della Missione dipendente dal Gruppo di Lima e dall’UE, chiamano “Stato parallelo” coloro i quali sono attori fondamentali dell’organizzazione popolare al fine di coinvolgere le comunità nella gestione governativa per risolvere i loro problemi locali.
Senza dubbio, parte della strategia mediatica che ha accompagnato il colpo di Stato di aprile è stata quella di incolpare i Circoli Bolivariani per gli eventi che hanno prodotto 19 morti e 37 feriti, utilizzando il falso positivo che li ha resi responsabili delle azioni violente commesse dai cecchini, imprigionati e poi rilasciati dal breve governo dell’allora presidente di Fedecámaras, organizzazione dell’élite imprenditoriale, Pedro Carmona Estanga.
Il popolo che salva il popolo
Durante le escalation di violenza organizzate dall’antichavismo tra il 2014 e il 2017, mentre accusavano i colectivos di tutti i delitti possibili, i media favorevoli al cambio di regime nascondevano l’azione dei gruppi della “società civile” che bloccavano strade, distruggevano servizi pubblici, uccidevano e ferivano cittadini a più non posso.
Il rapporto della Missione riporta che i colectivos hanno un ruolo nel “mantenimento del controllo sociale nei quartieri o come informatori del Governo”, ma in altri passaggi dello stesso rapporto si parla dell’impatto della violenza criminale nella società venezuelana.
Salta all’occhio il fatto che venga criticata l’interazione delle forze di sicurezza con la popolazione per migliorare i livelli di convivenza quando si tratta di una politica raccomandata dagli stessi organismi per i diritti umani.
D’altra parte, l’America Latina ha assistito al rovesciamento di governi popolari come quelli di Jacobo Árbenz (Guatemala, 1954) e Salvador Allende (Cile, 1973), ai quali fece seguito la persecuzione, e persino lo sterminio, delle organizzazioni sociali e delle loro rivendicazioni. Mentre le borghesie si sono servite dei gruppi paramilitari per ostacolare il progresso dei diritti sociali, i loro mezzi di comunicazione criminalizzano le comunità che hanno assunto in prima persona la difesa del proprio benessere.
(Collettivi sociali della parrocchia di San Agustín a Caracas organizzano direttamente la messa in vendita dei prodotti alimentari. Foto: Revista Pueblos)
In un reportage del 2014 sui colectivos, il giornalista francese Maurice Lemoine passa in rassegna le dichiarazioni dei membri dei colectivos in risposta alle violente manifestazioni con cui l’antichavismo voleva rovesciare il presidente Nicolás Maduro:
“Qui le guarimbas non sono tollerate (…). Non permetteremo che ci tengano sequestrati nel nostro quartiere. Tutti hanno il diritto di manifestare, di scendere in strada e di difendere i propri diritti. Ma non per decapitare i motociclisti (stendendo fili d’acciaio che attraversano la strada ad altezza d’uomo) o per sparare alla testa di un innocente (un destino che ha colpito diverse persone a partire dal 12 febbraio)”.
Tra il 2014 e il 2017 diversi gruppi di oppositori hanno generato violenze nelle aree popolari di Caracas e di altre città usando il diritto di protestare come scusa, saccheggiando e appiccando incendi in centri educativi, locali commerciali, strutture sanitarie e biblioteche.
In alcuni di questi eventi i colectivos e i movimenti erano presenti per respingere la violenza e difendere sia il proprio diritto alla libertà di movimento che il diritto alla tranquillità. Dove non è stato così, ci sono stati anche morti per mano dei cecchini, persone bruciate vive e persino folgorate in tentativi di saccheggio.
Da dov’è che vengono la violenza e la criminalità?
La democrazia partecipativa è un crimine?
Poiché è stata il frutto di molte lotte sociali che sono costate finanche il sangue di molti venezuelani, gruppi organizzati di persone cercano di preservare, applicare e potenziare la Costituzione del 1999 e i diritti in essa sanciti.
Si dedicano a finalità molto diverse sempre seguendo un principio di corresponsabilità: ecologiste, femministe, di rivendicazione della diversità sessuale, educative, culturali, sportive, di quartiere, ricreative, politiche o di difesa della Nazione, come espresso nel documento “La verità del Venezuela contro l’infamia. Dati e testimonianze di un paese sotto assedio” (o “La verità del Venezuela”).
Questi possono essere guidati dal governo, da uno dei partiti sostenitori o essere autonomi. Alcuni di essi sono emersi negli anni ’60 e ’70, provenienti sia dalla lotta armata che dall’attivismo sociale, e hanno mantenuto la loro linea di lavoro popolare. I progressi compiuti durante la Rivoluzione Bolivariana, soprattutto nella costruzione di un forte tessuto sociale, hanno portato ad approfondire la mobilitazione di lavoratori, contadini, indigeni, studenti e cittadini, moltiplicando la formazione di colectivos.
(Collettivi ecologisti marciarono pacificamente nel 2014 per ripudiare la violenza e i crimini contro la natura da parte di gruppi di estrema destra. Foto: Alba Ciudad)
Il nuovo rapporto dei cittadini con lo Stato ha moltiplicato anche le forme di espressione diretta della sovranità popolare, al di là del voto elettivo (referendum, assemblee, iniziative legislative). Sono stati fatti progressi anche nei meccanismi di partecipazione alla progettazione, esecuzione e controllo delle politiche pubbliche, e ciò è stato consegnato al potere legislativo attraverso la nozione di “popolo legislatore”.
La concezione dei diritti umani sviluppata dal chavismo stabilisce l’interdipendenza tra i cosiddetti “diritti civili” e i diritti socio-economici e ambientali, collocando il soggetto del diritto ben al di là delle élite. Ragion per cui la democrazia partecipativa e protagonista cerca di rafforzare il rapporto tra democrazia e giustizia socio-economica e culturale.
Soros dietro il linguaggio della farsa
L’antichavismo ha sfruttato il termine “società civile” fino a quando, sconfitti dalla mobilitazione civico-militare del 13 aprile, hanno smesso di usarlo per definirsi “l’alternativa democratica”, tra le altre cose.
Nel loro tentativo di modellare il linguaggio per i propri scopi hanno imposto che ciò che è collettivo e comunitario sia sinonimo di violenza criminale, caos, disordine, morte, terrore e illegalità. Hanno chiamato “bande armate” o “milizie socialiste” ogni gruppo chavista che si faccia vedere per le strade, non senza accusarli di seminare il terrore nella più totale impunità.
(La strategia nazionale di ricostruzione del leader dell’opposizione, Juan Guaidó, per il Venezuela richiederà di affrontare i gruppi collettivi che esistono nel paese e che seguono gli ordini del governo di Nicolás Maduro. Titolo articolo: La delegazione del potere statale: i “colectivos”)
La Open Society Fundations di Soros, che patrocina InSight Crime, è finanziata dai governi di Gran Bretagna, Germania e Svezia attraverso le loro ambasciate a Bogotá. Il giornalista Carlos Fazio afferma che il suo direttore esecutivo e co-fondatore è un ex ufficiale dell’esercito britannico veterano dei conflitti in Bosnia e Irlanda del Nord di nome Jeremy McDermott, che è stato corrispondente di guerra nei Balcani e in Medio Oriente, e poi corrispondente della BBC di Londra e del Daily Telegraph in Colombia, specializzandosi nel traffico di droga, nella criminalità organizzata e nel conflitto armato interno colombiano.
McDermott e il suo co-direttore, Steven Dudley, ex capo della redazione della regione andina del Miami Herald, hanno pubblicato lo scorso aprile una “inchiesta” chiamata “La Sinaloa venezuelana: il narcotraffico è venuto a stabilirsi al confine con la Colombia”, che non cita alcuna fonte specifica.
Fazio afferma che in tutto il testo, le “prove” che confermerebbero le loro affermazioni sono state ottenute da “allevatori intervistati nella zona, la cui identità sarà celata per sicurezza”; “fonti consultate da InSight Crime a Machiques de Perijá”; “abitanti di San Felipe” (oggi “Sinaloa”); “testimonianze ottenute da InSight Crime in territorio venezuelano” (sic). L’affidabilità della fonte utilizzata dalla Missione degli Avvocati del Gruppo di Lima si rivela quindi dubbia.
In un altro dei numerosi reportage contro i colectivos, InSight Crime ha pubblicato una notizia secondo cui i muri di 26 case e stabilimenti commerciali in 10 Stati del paese (Miranda, Anzoátegui, Táchira, Lara, Apure, Falcón, Yaracuy, Portuguesa, Trujillo e Mérida) sono stati contemporaneamente contrassegnati con messaggi minacciosi contro i membri dei partiti Voluntad Popular, Primero Justicia e Acción Democrática, la maggior parte sotto forma di scritte sui muri firmate dai “collettivi” armati. Contemporaneamente. Che coincidenza.
A chi fanno comodo le bande armate?
Lo scorso maggio c’è stato uno scontro armato, con armi lunghe, tra bande di criminali nel quartiere José Felix Ribas, parrocchia di Petare nel comune di Sucre nello Stato di Miranda, durato otto giorni. Si trattava di una presunta disputa territoriale tra la banda di “el Wilexis” e di “el Gusano”.
Le forze di intelligence hanno determinato che l’agente della DEA Orlando Laufer ha dato istruzioni al presunto trafficante di droga José Socorro, alias “Pépero”, per fare pressione sotto forma di minacce su Richard Cammarano, socio di “el Wilexis”, tra gli altri. L’obiettivo: che le bande armate orchestrassero falsi scontri.
Socorro è stato catturato nell’operazione Negro Primero, è il capo che gestisce il traffico di droga colombiana nel centro del paese e ha dichiarato attraverso un video che gli scontri erano una tattica per tenere distratte le forze di sicurezza.
El enfrentamiento entre bandas en Petare, sin bajas, formaba parte del plan de distracción acordado por la DEA con Wuileisys Alexander Acevedo Monasterios, "Wilexis" según lo confesó José Alberto Socorro Hernández, alias Pepero pic.twitter.com/9ZKIYJ2QDK
— Teresa Maniglia (@tmaniglia) May 6, 2020
(Lo scontro tra bande a Petare, senza vittime, fa parte del piano di distrazione messo in atto dalla DEA con Wuileisys Alexander Acevedo Monasterios, “Wilexis” secondo quanto ha confessato José Alberto Socorro Hernández, alias Pepero.)
Tutto questo avrebbe potuto essere funzionale ai piani di incursione dell’Operazione Gedeón diretti dall’ex marine statunitense Jordan Goudreau e dall’ex sergente della Guardia Nazionale Bolivariana Antonio José Sequea.
Non è questo l’unico legame che esiste tra l’antichavismo e le bande criminali, né è la prima volta che l’azione di queste ultime coincide con qualche manovra cospirativa di chi opera a favore di un cambio di regime lontano dalla partecipazione politica diretta o indiretta.
Nel frattempo la Missione d’inchiesta stigmatizza con le sue “conclusioni” un intero popolo organizzato sotto l’egida dei colectivos e che si limita a esercitare il diritto di associazione e di partecipazione dei cittadini, garantito dalla Costituzione venezuelana.