È certo che quel pomeriggio d’ottobre cui ha rubato per sempre l’uomo, ma ci ha lasciato l’eroe e il suo ricordo indimenticabile che era già intagliato nelle essenze della Rivoluzione e al quale oggi diciamo: Cuba va bene, Camilo!
Mailenys Oliva Ferrales
C ‘è un uomo del popolo che la Patria non lascia mai morire perché è diventato un’impronta perenne in ogni pezzetto di suolo in cui è passato.
Un uomo che vive con il suo esempio eternamente tra i suoi.
In quest’uomo c’è la dignità di un paese che lo onora ogni giorno con la difesa della sua sovranità.
Questa è la maniera migliore di non far partire il Comandante del carisma immenso e dell’audacia, il compagno di cento battaglie, il Signore dell’Avanguardia , il guerrigliero leggendario… il nostro Camilo.
Nostro, perché si era guadagnato l’affetto di una nazione dal sacrificio personale, la semplicità, la trasparenza del suo sorriso franco, e una personalità limpida forgiata nei giorni di guerra e negli scarsi mesi in cui aveva accompagnato la Rivoluzione dopo il trionfo.
Nostro, perché Camilo era più di un ribelle e di un membro della spedizione dello yacht Granma, più dell’amico fraterno del Che e dell’uomo di fiducia di Fidel, più del leader della Colonna 2 Antonio Maceo, o dell’Eroe di Yaguajay; Camilo era, è e sarà «l’ immagine di un popolo» che incontrò, in questo giovane di 27 anni, la stirpe di un rivoluzionario vincolato all’onore, alla verità e a una sensibilità molto sua, gli aveva guadagnato l’ affetto collettivo.
Non solo il suo senso del dovere e dell’umorismo giunsero nel mezzo della lotta, ma anche il suo rispetto, essere compagno nella guerriglia dove condivise cibo e amaca e dove fu capace d’esigere che assistessero un ferito prima di lui, anche quando aveva delle pallottole nel corpo.
La sua storia ci parla del guerriero completo che non mitragliò una caserma batistiana perché dentro c’era una bambina; che diede il suo denaro a dei giovani ribelli perché non andassero a mani vuote a vedere le madri, e che amò la cultura come la stessa Patria, e fu il primo a far uscire il balletto dai teatri per portarlo in montagna e il promotore del primo documentario in Rivoluzione che con il titolo “Questa Terra Nostra”, rifletteva gli abusi della guardia rurale contro i contadini.
Maceista, martiano e fidelista sino all’ultimo giorno in cui ci regalò la sua presenza fisica, prima di prendere quell’aereo che lo trasportò verso l’eternità, quel fatidico 28 ottobre del 1959, Camilo non smise mai di sorprendere e se ne andò anche nella forma meno prevedibile, quando nessuno era pronto per il suo eterno commiato.
Quindici giorni d’intensa ma infruttuosa ricerca ci lasciarono l’amarezza di non dare l’ultimo addio al Comandante dal cappello con le gradi tese.
È certo che quel pomeriggio d’ottobre cui ha rubato per sempre l’uomo, ma ci ha lasciato l’eroe e il suo ricordo indimenticabile che era già intagliato nelle essenze della Rivoluzione e al quale oggi diciamo: Cuba va bene, Camilo!