Addio Trump?

Ángel Guerra Cabrera  https://lapupilainsomne.wordpress.com

Tutto indicherebbe che Joseph Biden ha la certezza della vittoria nelle elezioni USA benché non si abbiano ancora risultati ufficiali mentre scrivo. L’alluvione di schede elettorali a favore del democratico è tale che il presidente Trump è rimasto senza risorse subdole per impedire la vittoria del suo rivale. Biden, come Hillary Clinton alle elezioni del 2016, riesce a superare di gran lunga Trump nel voto popolare, in cui ha ottenuto la cifra più alta di un candidato nella storia: 67,9 milioni di voti. Sono anche le elezioni più concorse dal 1908 con oltre il 65%, molto alta per la tradizionale apatia USA e che parla di un processo elettorale del tutto singolare in quel paese, probabilmente spinto dalla polarizzazione generata da Trump con il suo volgare razzismo e la sua disposizione autoritaria.

Per più singolarità, Biden non è un candidato con carisma, che suscita la passione di Trump nei suoi seguaci, né che attragga soprattutto per le sue proposte di politica economica e sociale, troppo moderate. È stato il voto anti-Trump che gli ha fornito una marea di voti e forse lo pone alla Casa Bianca, proveniente da un ampio settore della popolazione stufa della gestione criminale del tema del coronavirus, della crisi economica da esso aggravata, dalla politica pro milionaria del magnate e dagli abusi e dalla grossolanità con cui ha agito.

Sebbene alla fine di questo articolo si continuino a contare i voti, è altamente probabile che l’ex vicepresidente abbia in tasca stati chiave come Arizona, Michigan, Wisconsin e Nevada. Non dubito che alla fine si possa aggiungere la Pennsylvania, dove restano da contare circa due milioni di voti. Ma solo con i voti di Michigan, Wisconsin, Nevada ed Arizona, oltre ad aver mantenuto tutti gli stati che Hillary Clinton ha vinto nel 2016, raggiungerebbe il numero magico di 270 voti necessari per vincere il collegio elettorale. Questo, secondo l’arcaico sistema di voto indiretto USA, che risale al XIX secolo.

Vedendo arrivare la sconfitta, da settimane Trump ha intensificato i suoi attacchi alla presunta frode elettorale misteriosamente nascosta nel voto per posta ed ha affrettato che la giudice conservatrice Amy Coney Barret fosse approvato in Senato per integrare la Corte Suprema, come lui stesso ha spiegato per avere più rinforzi in quell’organo se l’elezione fosse decisa in essa.

Il risultato a favore del Democratico, ovviamente, non significherebbe che il nuovo presidente USA sia meno imperialista del suo predecessore. In effetti, l’accademica USA, Adrienne Pine, l’altro ieri mi faceva osservare che in uno studio della rivista Forbes, la maggior parte dei miliardari preferisce Biden. E mi ha commentato, alludendo al clima di rifiuto internazionale che Trump ha raggiunto, “loro non vogliono che gli USA continuino ad essere uno stato paria. Non va bene per gli affari”. Tuttavia, ci sarebbe più spazio politico per il nuovo e potente movimento progressista all’interno e all’esterno del Partito Democratico, di cui l’astro nascente è Alexandria Ocassio Cortez, e sicuramente diminuirebbero le tensioni razziali alimentate dal magnate immobiliare. Neppure Biden, se arriva alla Casa Bianca, può fare molto per mitigare la crisi di egemonia di Washington, che Trump ha accelerato, e ancor meno la profonda crisi multiforme associata alla precedente, che fa scricchiola le fondamenta stesse del sistema USA. Lungi dall’esaurire il tema di come potrebbe essere una politica estera di Biden, si può anticipare che il confronto con Cina e Russia continuerebbe, sicuramente con meno stridore, e cercherebbe di ristabilire le relazioni con gli alleati europei per cercare di imbarcarli nell’avventura anti-cinese. Ristabilirebbe il trattato nucleare con l’Iran, benché mantenendo le sanzioni, ed ha detto che rafforzerà le misure per allentare il blocco di Cuba al livello in cui le ha poste Obama. L’America Latina e i Caraibi potrebbero beneficiarsi di un atteggiamento più dialogante, il che non è poco, senza che l’impero, ovviamente, abbandoni le pretese, che porta nel suo DNA, di trattarlo come un cortile. Ma anche perché sta arrivando la seconda ondata progressista che fornirebbe alla nostra America molta più capacità di negoziazione ed unità di fronte al Nord scompigliato e brutale.


¿Adiós Trump?

Por Ángel Guerra Cabrera

Todo indicaría que Joseph Biden tiene asegurada la victoria en las elecciones de Estados Unidos aunque todavía no haya resultados oficiales cuando escribo. El aluvión de boletas electorales a favor del demócrata es tal que el presidente Trump se ha quedado sin recursos tramposos para impedir la victoria de su rival. Biden, al igual que Hillary Clinton en la elección de 2016, consigue superar ampliamente a Trump en el voto popular, en el que obtiene la cifra más alta de un candidato en la historia: 67.9 millones de sufragios. Se trata también de las elecciones más concurridas desde 1908 con más de un 65 por ciento, muy alto para la tradicional apatía estadounidense y que habla de un proceso electoral completamente singular en ese país, probablemente impulsado por la polarización generada por Trump con su racismo vulgar y su talante autoritario.

Para más singularidad, Biden no es un candidato con carisma, que despierte la pasión de Trump en sus seguidores, ni que atraiga especialmente por sus propuestas en política económica y social, demasiado moderadas. Ha sido el voto anti Trump lo que le ha proporcionado un aluvión de votos y posiblemente lo siente en la Casa Blanca, procedente de un amplio sector de población harto del manejo criminal del tema del coronavirus, de la crisis económica agravada por este, por la política pro millonarios del magnate y el abuso y la grosería con que se ha desempeñado.

Aunque al cierre de esta nota se siguen contando los votos, ya es altamente probable que el ex vicepresidente tenga en la bolsa estados clave como Arizona, Michigan, Winsconsin y Nevada. No dudo que al final pueda añadir Pensilvania, donde faltaban por contar unos dos millones de votos. Pero solo con los sufragios de Michigan, Winsconsin, Nevada y Arizona, además de haber conservado todos los estados que ganó Hillary Clinton en 2016, alcanzaría el número mágico de 270 votos necesario para ganar el colegio electoral. Esto, según el arcaico sistema de voto indirecto estadounidense, que data del siglo XIX.

Al ver venir la derrota, desde hace semanas, Trump arreció sus ataques al supuesto fraude electoral misteriosamente oculto en el voto por correo y apresuró que fuera aprobada en el Senado la jueza conservadora Amy Coney Barret para integrar la Corte Suprema, según explicó él mismo para tener más refuerzos en esa instancia si la elección se decidía en ella.

El desenlace a favor del demócrata, desde luego, no significaría que el nuevo presidente de Estados Unidos sea menos imperialista que su antecesor. De hecho, la académica estadounidense Adrienne Pine me hacía antier la observación de que en un estudio de la revista Forbes, la mayor parte de los multimillonarios prefiere a Biden. Y me comentaba, en alusión al clima de rechazo internacional que ha conseguido Trump, “ellos no quieren que Estados Unidos continúe siendo un estado paria. No es bueno para los negocios”. Sin embargo, quedaría un mayor espacio político para el nuevo y pujante movimiento progresista dentro y fuera del Partido Demócrata, del que la estrella ascendente es Alexandria Ocassio Cortez y seguramente disminuirían las tensiones raciales alimentadas por el magnate inmobiliario. Tampoco Biden, si llega a la Casa Blanca, puede hacer mucho para atenuar la crisis de hegemonía de Washington, que Trump ha acelerado, y menos la profunda crisis multifacética, asociada a la anterior, que hace crujir los cimientos mismos del sistema estadounidense. Lejos de agotar el tema de cómo podría ser una política exterior de Biden, puede adelantarse que continuaría el enfrentamiento a China y Rusia, seguramente con menos estridencia, y buscaría restaurar las relaciones con los aliados europeos para tratar de embarcarlos en la aventura antichina. Restablecería el tratado nuclear con Irán, aunque manteniendo las sanciones, y ha dicho que pondrá en vigor de nuevo las medidas de relajamiento del bloqueo a Cuba al nivel que las puso Obama. América Latina y el Caribe podrían beneficiarse de una actitud más dialogante, que no es poco, sin que el imperio, claro, abandone las pretensiones, que lleva en su ADN de tratarla como patio trasero. Pero también porque se ve venir la segunda ola progresista que proporcionaría a nuestra América mucha más capacidad de negociación y unidad ante el norte revuelto y brutal.

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