Questa Rivoluzione di titani non è stata creata per partorire codardi

Negli USA è peccato politico inaccettabile menzionare la lotta di classe, da qui l’eresia di Warren Buffet, ma la lotta di classe è ciò che vediamo ogni giorno nelle strade e nei campi di quel paese, il resto è uno spettacolo per le gradinate

Ernesto Estévez Rams  www.granma.cu

Le società non si polarizzano sul piano politico, la polarizzazione è solo un riflesso delle cause sottostanti. Trump non ha polarizzato gli USA, quella polarizzazione è andata avanti da quando si è resa manifesta, come risultato dell’oligofrenia dell’ambizione, l’incapacità di quel sistema di continuare a sostenere lo stato di benessere che aveva. Incubandosi da prima, si è affacciato nella crisi che ha fatto naufragare Carter. La risposta reaganiana fu lanciare il neoliberalismo nel suo paese per rompere gli argini che contenevano le voglie sfrenate del capitalismo.

La polarizzazione che vediamo è il risultato dell’incapacità di quella società di sostenersi come impero, e quindi riprodurre le sue dinamiche di profitti aziendali, pur mantenendo un livello accettabile di soddisfazione per la sua popolazione. Quando tale incapacità diventa irreversibile, gli imperi portano a casa il fascismo che, per decenni, hanno praticato come esercizio imperiale nei territori del mondo.

Dal momento che non risolveranno quelle cause sottostanti, la polarizzazione, nella migliore delle ipotesi, si reindirizzerà, per quanto sia possibile, in varie forme, eludendo l’estremo fascistoide. È che in realtà si tratta del vecchio ed inconciliabile dilemma della civiltà contro la barbarie. Il capitalismo non è più capace di soddisfare neppure nella sua stessa cattedrale. Per quanto repubblicani e democratici lo gridino, i problemi degli USA non derivano da aggressioni esterne, non è la Cina, né la Russia l’origine del suo decadente e pericoloso spettacolo, non è il Venezuela, né Cuba.

I tirapiedi della borghesia in tutte le geografie, espliciti e impliciti, si lamentano sempre delle polarizzazioni quando la classe che difendono si sente in pericolo o vedono perdere i loro privilegi nella sconfitta. Quel persistente trucco di portare esclusivamente sul piano politico ciò che sanno determinato nella sfera dei rapporti di produzione. La polarizzazione è inevitabile finché ci siano sfruttati e sfruttatori, perché non c’è riconciliazione tra loro. Questo non viene detto solo dai comunisti, la borghesia in occasionali sfoghi di onestà non esita ad ammetterlo. Nel novembre 2006, in un’intervista, ormai celebre, al New York Times, Warren Buffet, uno dei borghesi più ricchi del pianeta, lo confessava: «certo che c’è una guerra di classe, ma è la mia classe, quella dei ricchi, quella che fa la guerra e la sta vincendo». Buffet doveva non rendere così difficile il lavoro degli scriba in ginocchio. Loro insistono nel dimostrare, dietro montagne di eufemismi, che la polarizzazione è una questione di individui estremisti e dogmatici, che è il loro modo di nominare gli incorruttibili giacobini. Dietro le soluzioni che ci propongono c’è sempre un trattato del Zanjón. Noi, i rivoluzionari della parte che affonda radici, abbiamo una proposta più radicale: finirla con gli sfruttatori e spariscano gli sfruttati. In altre parole, proponiamo un Baraguá.

La professione di scriba seduto è vecchia quanto la società in cui pochi si sostengono sul lavoro degli altri. Giustificare un tale stato di cose è il meccanismo di potere più efficace. Omero, ammettiamolo, era uno di loro. Veniamo da quei secoli in cui l’aggressione contro Troia ci fu venduta come eroica ed il suo sicario più efficace come eroe da leggenda. Da quei tempi fino ad oggi, l’esercizio pubblico dell’opinione si agita tra tanti picchi. Di tutti ne osservo due, il traduttore del potere di pochi per rendere potabile l’arbitrarietà di quell’egemonia, e quelli che preferiscono farsi portavoce degli oppressi, con il costo che ciò comporta. Errare è possibile ed, infatti, si verifica frequentemente in entrambi, ma nel primo è consustanziale all’immoralità del suo esercizio.

Negli USA è peccato politico inaccettabile menzionare la lotta di classe, da qui l’eresia di Warren, ma la lotta di classe è ciò che vediamo ogni giorno nelle strade e nei campi di quel paese, il resto è spettacolo per le gradinate. La borghesia è la classe che non ama farsi nominare dagli altri, perché, come la Chiesa cattolica nel medioevo, riconosce il carattere sovversivo di nominare al di fuori di essi. Poiché già riconoscono che nominare è inevitabile, i loro scribi seduti hanno il compito di seppellire le verità abusando, che è l’unico modo in cui sanno esercitare il loro potere, in un esercizio continuo di falsa antropologia dell’immagine, cercando inutilmente di coprire i geyser sociali che, in modo incontrollabile, esplodono. Trump è la continuità estrema di un tentativo di canalizzare quel vapore, risultato del sistema stesso, attraverso canali di xenofobia, razzismo, sciovinismo, tutti ingredienti del fascismo, ora in chiave di spettacolo postmoderno. Cercheranno di calmare quello stesso vapore con altri mezzi, senza alterare le cause che risiedono nell’incrollabile rapporto tra sfruttatori su sfruttati. È in questa essenza di intenti che democratici e repubblicani sono la stessa cosa.

Quando, a Cuba, i cospiratori dell’indipendenza iniziarono a sostenere l’insurrezione armata, non mancò chi esclamò che tale scopo era quello di provocare una polarizzazione criminale della società sull’isola. Ancora oggi, ci sono scribi seduti che riciclano l’autonomismo, accusando i radicali e l’estrema opzione indipendentista come causa originale delle nostre attuali polarizzazioni. Non ci stupisce, se l’esercizio di scrivere in ginocchio già lo abbiamo visto che era tanto vecchio come Omero ed, ancora oggi, c’è chi celebra, nei film, Achille come eroe, per tracciare parallelismi con i sicari di oggi: l’originalità degli infilzatori di parole si riduce a cercare nuovi modi di superare l’inganno.

A Cuba ci sarà polarizzazione finché esisterà l’impero nordamericano, perché non si tratta dell’artificiale esacerbazione dell’amarezza da parte dei malvagi radicali, ma piuttosto dell’inevitabile riflesso di una lotta che risale al tempo quando Martí dichiarò Cuba fedele all’America e diga della moderna Roma. Nella polarizzazione USA, nessuno dalla Rivoluzione ha fatto campagna, negli USA, per votare per Biden, nessuno dopo la Rivoluzione ha fatto campagna per un voto contro Trump. Nessun rivoluzionario dell’isola si è proposto come volontario per la campagna elettorale di nessuno dei due candidati. I figli dei mambise non saranno mai volontari di poteri imperiali.

Coloro che indicano, siamo onesti, in un esercizio mediocre, il dito di chi punta a quelle verità come pugni, ci vuole ingannare volendo vendere l’idea che le conciliazioni siano possibili tra impero e Rivoluzione. Non lo sono. Ciò che sì è possibile è una rispettosa convivenza di antagonisti, ed ogni opportunità che la realizzi sarà la benvenuta, sia Obama o Biden o chiunque altro. La Rivoluzione non si definisce dai suoi nemici, si definisce dalla sua vocazione alla giustizia. Benvenuto qualsiasi presidente USA che voglia incanalare i nostri antagonismi sulla via civilizzata del rispetto, a partire dal riconoscimento del nostro diritto all’esistenza.

Ma quella possibilità del rispetto della repubblica imperiale che ci aggredisce, avverrà nella misura in cui noi cubani patrioti non arretreremo di un centimetro in difesa della sovranità nazionale, perché contro i moderni achei è possibile vincere solo grazie ad una Rivoluzione degli sfruttati. Attenzione Cuba non far entrare il nemico nascosto in cavalli di legno, spinto dai suoi servi nazionali, annunciando tributi sibillini.

Determinati ad avanzare con decisione nelle trasformazioni che ci facciano rompere dalla continuità, non abbiamo posto il nostro futuro in attesa delle sorti del governo del Nord. Non l’abbiamo fatto quando abbiamo approvato una Costituzione con la stragrande maggioranza che decide ogni giorno di proseguire dalla e con la Rivoluzione. Non lo abbiamo fatto quando, con velocità crescente e senza fermarci a pensare a chi governa nella capitale imperiale, approviamo misure, elaboriamo piani, lottiamo per l’economia del paese, costruiamo consensi. E davanti a tale verità, si schiantano gli scribi seduti, cercando di nascondere, dietro l’assenza di un prima ed un dopo, la vitalità della Rivoluzione che manca loro.

Qualche giorno fa, quando non si conosceva ancora il destino delle elezioni USA, il nostro Presidente ha detto che avremmo sconfitto il blocco da Cuba, per garantire il nostro sviluppo. Questa Rivoluzione di titani non è stata creata per partorire codardi. Borghesi e scagnozzi, chiaro che c’è la lotta di classe e noi, gli oppressi, la vinceremo, non ci sia il minimo dubbio al riguardo.


Esta Revolución de titanes no se hizo para parir ratones

En EE. UU. es pecado político inaceptable mencionar la lucha de clases, de ahí la herejía de Warren Buffet, pero lucha de clases es lo que vemos todos los días en las calles y campos de ese país, lo demás es espectáculo para las graderías

Autor: Ernesto Estévez Rams

Las sociedades no se polarizan por el plano político, la polarización solo es reflejo de las causas subyacentes. Trump no polarizó a Estados Unidos, esa polarización viene andando desde que se hizo manifiesto, como resultado de la oligofrenia de la ambición, la incapacidad de ese sistema de seguir sosteniendo lo que de estado de bienestar tenía. Incubándose desde antes, asomó su oreja en la crisis que naufragó a Carter. La respuesta reaganiana fue estrenar el neoliberalismo en su país para romper los diques que contenían las ansias desenfrenadas del capitalismo.

La polarización que vemos es resultado de la incapacidad de esa sociedad de sostenerse como imperio, y por tanto reproducir sus dinámicas de ganancias corporativas, mientras mantiene un nivel aceptable de satisfacción para su población. Cuando esa incapacidad se hace irreversible, los imperios traen a casa el fascismo que, por décadas, practicaron como ejercicio imperial en los territorios de ultramar y de ultratierra.

Como no resolverán esas causas subyacentes, la polarización, a lo sumo, se reencauzará, mientras sea posible, de diversas formas, eludiendo el extremo fascistoide. Es que en realidad se trata del viejo e irreconciliable dilema de civilización contra barbarie. El capitalismo no es capaz ya de satisfacer ni en su propia catedral. Por más que republicanos y demócratas lo chillen, los problemas de Estados Unidos no vienen de agresiones externas, no es China, ni es Rusia el origen de su decadente y peligroso espectáculo, no lo es Venezuela, ni Cuba.

Los adláteres de la burguesía en todas las geografías, explícitos e implícitos, siempre se quejan de las polarizaciones cuando la clase que defienden se siente en peligro o ven perder sus privilegios en la derrota. Esa persistente artimaña de llevar exclusivamente al plano político lo que saben determinado en la esfera de las relaciones de producción. La polarización es inevitable mientras haya explotados y explotadores, porque entre ellos no hay reconciliación. Eso no lo dicen solo los comunistas, los burgueses en arrebatos ocasionales de honestidad no ponen remilgos en reconocerlo. En noviembre de 2006, en una entrevista, ahora famosa, para The New York Times, Warren Buffet, uno de los burgueses más ricos del planeta, lo confesaba: «claro que hay una guerra de clases, pero es mi clase, la de los ricos, la que está haciendo la guerra y la está ganando». Buffet debía no hacerle tan difícil el trabajo a los escribas de rodilla. Mira que ellos se empeñan en demostrar, tras montañas de eufemismos, que la polarización es cosa de individuos extremistas y dogmáticos, que es su manera de nombrar a los incorruptibles jacobinos. Detrás de las soluciones que nos proponen se esconde siempre un tratado del Zanjón. Nosotros, los revolucionarios del extremo que hurga raíces, tenemos una propuesta más radical: que se acaben los explotadores y desaparecerán los explotados. Es decir, proponemos un Baraguá.

La profesión de escriba sentado es tan vieja como la sociedad donde unos pocos se sostienen sobre el trabajo de los otros. Justificar tal estado de cosas es el mecanismo más efectivo de poder. Homero, reconozcámoslo, fue uno de ellos. Venimos andando de aquellos siglos en que se nos vendió como heroica la agresión contra Ilión, y su sicario más efectivo como un héroe de leyenda. Desde aquellos tiempos hasta hoy, el ejercicio público de la opinión se agita entre muchas crestas. De todas ellas me fijo en dos, el traductor del poder de los pocos para hacer potable la arbitrariedad de esa hegemonía, y los que prefieren tornarse en voceros de los oprimidos, con el costo que ello conlleva. Errar es posible y, de hecho, ocurre con frecuencia en ambos, pero en el primero es consustancial a la inmoralidad de su ejercicio.

En EE. UU. es pecado político inaceptable mencionar la lucha de clases, de ahí la herejía de Warren, pero lucha de clases es lo que vemos todos los días en las calles y campos de ese país, lo demás es espectáculo para las graderías. La burguesía es la clase que no le gusta ser nombrada por los demás, porque, como la Iglesia Católica en el medioevo, reconoce el carácter subversivo de nombrar al margen de ellos. Como ya reconocen que nombrar es inevitable, sus escribas sentados se encargan de enterrar las verdades abusando, que es la única manera que saben de ejercer su poder, en un ejercicio continuo de falsa antropología de la imagen, intentando inútilmente tapar los geisers sociales que, incontrolablemente, estallan. Trump es la continuidad extrema de un intento de canalizar ese vapor, resultado del sistema mismo, por cauces de la xenofobia, el racismo, el chovinismo, todos ingredientes del fascismo, ahora en clave de espectáculo posmoderno. Tratarán de calmar ese mismo vapor por otros medios, sin alterar las causas que descansan en la incólume relación entre explotadores sobre explotados. Es en esa esencia de propósitos, que demócratas y republicanos son la misma cosa.

Cuando en Cuba los conspiradores de la independencia comenzaron a abogar por la insurrección armada, no faltó quien exclamara que tal propósito era provocar una polarización criminal de la sociedad en la Isla. Aún hoy, hay escribas sentados que reciclan el autonomismo acusando a la radical y extrema opción independentista como causa original de nuestras actuales polarizaciones. No nos asombre, si el ejercicio de escribir arrodillado ya vimos que era tan viejo como Homero y, aun hoy, están los que celebran en filmes a Aquiles como héroe, para hacer paralelos con los sicarios actuales: la originalidad del ensartador de palabras se reduce a buscar noveles formas de pasar el engaño.

En Cuba habrá polarización mientras exista imperio norteamericano, porque no se trata de la artificial exacerbación de enconos por radicales malvados, sino del reflejo inevitable de una lucha que se remonta en el tiempo, cuando Martí declaraba a Cuba fiel de América y dique de la Roma moderna. En la polarización estadounidense, nadie desde la Revolución hizo campaña en EE. UU. para que se votara por Biden, nadie hizo campaña desde la Revolución para que se votara contra Trump. Ningún revolucionario en la Isla se propuso a sí mismo como voluntario de la campaña electoral de ninguno de los dos candidatos. Los hijos de mambises nunca seremos voluntarios de poderes imperiales.

Los que señalan, seamos honestos, en un ejercicio mediocre, el dedo de quien apunta a esas verdades como puños, nos quieren pasar gato por liebre queriendo vender la idea de que las conciliaciones son posibles entre imperio y Revolución. No lo son. Lo que sí es posible es una convivencia respetuosa de antagonistas, y toda oportunidad que la avance será bienvenida, sea Obama o sea Biden, o cualquier otro. La Revolución no se define por sus enemigos, se define por su vocación de justicia. Bienvenido todo presidente de Estados Unidos que quiera encauzar nuestros antagonismos por el camino civilizado del respeto, partiendo de reconocer nuestro derecho a la existencia.

Pero esa posibilidad del respeto de la república imperial que nos agrede, se dará en la medida en que los cubanos patriotas no nos movamos una pulgada en la defensa de la soberanía nacional, porque frente a los aqueos modernos solo es posible vencer desde una Revolución de los explotados. Cuidado Cuba con dejar entrar al enemigo escondido en caballos de madera, empujados por sus siervos domésticos, anunciando homenajes sibilinos.

Empeñados en avanzar decisivamente en las transformaciones que nos hagan ruptura desde la continuidad, no hemos puesto nuestro futuro en espera por la suerte del Gobierno del Norte. No lo hicimos cuando aprobamos una Constitución por la abrumadora mayoría que decide cada día seguir desde y con la Revolución. No lo hemos hecho cuando, con velocidad creciente y sin detenernos a pensar quién gobierna en la capital imperial, aprobamos medidas, trazamos planes, damos batallas por la economía del país, construimos consensos. Y frente a esa verdad se estrellan los escribas sentados que intentan escamotear, detrás de la ausencia de portal y de terraza, la vitalidad de la Revolución que ellos carecen.

Hace unos días, cuando aún no se sabía el destino de las elecciones norteamericanas, nuestro Presidente decía que derrotaríamos el bloqueo desde Cuba, para garantizar nuestro desarrollo. Esta Revolución de titanes no se hizo para parir ratones. Burgueses y adláteres, claro que hay lucha de clases y nosotros, los oprimidos, la ganaremos, que no les quepa la menor duda.

Share Button

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.