Il Perù s’infiamma contro il sistema “corrotto e assassino”

di Geraldina Colotti

“Nuova costituzione subito. Assemblea costituente adesso. Abbasso il capitalismo. Viva il socialismo”. “No al massacro in Perù. Né Vizcarra né Merino”. I cartelli esposti al Colosseo dalla comunità peruviana di Roma sintetizzano i termini della protesta di piazza, che da cinque giorni si svolge nel paese. Il neo-eletto presidente a interim, Manuel Merino è stato obbligato a dimettersi al grido di “Fuori Merino corrotto assassino”.


Il Parlamento gli ha ritirato la fiducia meno di una settimana dopo aver destituito il precedente capo di Stato, Martin Vizcarra, accusato di corruzione. A Lima, le proteste sono aumentate a seguito della violenta repressione che ha portato alla morte di due giovani manifestanti (di 22 e 25 anni), al ferimento di 80 persone e a centinaia di arresti.

Il modo con cui il Congresso aveva estromesso Vizcarra mediante l’uso controverso di un articolo della Costituzione aveva dato inizio alle proteste. Merino era riuscito ad assumere la presidenza con l’appoggio di 9 partiti, che però si sono tirati indietro di fronte al precipitare della situazione, durante la quale si sono dimessi 13 ministri, tra cui quello degli Interni e della Difesa.

Una piazza eminentemente politica, quella che si vede in questi giorni nelle principali città peruviane, proiettata su obiettivi di lotta generali a un sistema nel quale le diverse fazioni della grande borghesia usano la “lotta contro la corruzione” come arma politica per difendere i propri interessi di classe e di gruppo. Lo ha fatto Vizcarra per cacciare il predecessore Pedro Pablo Kuczynski e chiudere il Congresso, lo ha fatto il Congresso per estrometterlo. Sia l’Esecutivo che il Legislativo – dice però la piazza – sono a loro volta corrotti e costituiscono l’espressione della lotta interna alla borghesia.

Per questo – si legge in molte analisi della sinistra radicale – il popolo non intende farsi utilizzare per sostenere il Congresso o l’Esecutivo. Il suo compito – scrive l’Associazione Acepp, che si batte per l’amnistia e la riconciliazione – è quello di “continuare a smascherare il carattere di classe di queste scaramucce fra corrotti, ai quali non interessano i nostri morti per la pandemia, i milioni di disoccupati, gli oltre 80% di lavoratori informali, e un popolo che chiede soluzioni urgenti per i propri diritti fondamentali negati, quali salute, alimentazione, abitazione, educazione…”.

Come in Ecuador e in altre parti dell’America latina dove i governi neoliberisti hanno dato mano libera ai profitti del privato, la pandemia costituisce infatti un lucroso affare sulla pelle delle persone. Dopo decenni di capitalismo neoliberista, la crisi investe tutti i settori della società peruviana e la protesta popolare cresce di fronte all’indolenza di chi dovrebbe rappresentarla, ma poi “finisce per andare a braccetto con i padroni del paese”.

Per questo, l’obiettivo di una nuova costituzione “del popolo e per il popolo”, a cui arrivare mediante un’assemblea nazionale costituente, sta guadagnando sempre più consensi. Una rivendicazione che risuona in diverse parti dell’America Latina dove il vento del socialismo non è ancora arrivato.

Il Perù – i cui governi riescono a tenere in carcere, da quarant’anni, prigionieri politici di oltre 85 anni – è purtroppo anche la sede del famigerato Gruppo di Lima, leggasi uno dei centri più attivi della sovversione delle classi dominanti contro il socialismo bolivariano e cubano. Un gruppo messo su direttamente dall’amministrazione USA attraverso la sua lunga mano all’Organizzazione degli Stati Americani, Luis Almagro: colui che ha innescato il colpo di stato in Bolivia contro Morales e tutte le aggressioni internazionali contro il Venezuela e Cuba. Un gruppo mefitico, quello di Lima, che ha nella Colombia – che sta all’America Latina come Israele sta al Medioriente – il suo maggior puntello, e che è ben appoggiato dall’Unione Europea.

Se la protesta popolare riuscisse ad aprirsi un varco, determinando un cambio di marcia, le ricadute positive si avvertirebbero in tutto il continente, ridando linfa al progetto di una nuova indipendenza basato sui rapporti sud-sud.


Empasse totale in Perù

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Come pena del contrappasso più beffarda, il paese, la cui capitale ha dato il nome a quel Gruppo di regimi di estrema destra neo-liberale che hanno attentato alla sovranità e all’indipendenza del Venezuela, si ritrova in una crisi istituzionale totale.

Dopo le dimissioni dell’ex presidente Vizcarra in seguito ad un contestato impeachment per gravi accuse di corruzione, sono scoppiate nel paese – già tramortito per la pessima gestione della pandemia Covid – rivolte che hanno già determinato la morte di almeno due persone. Il vice-presidente Manuel Merino, che aveva assunto l’incarico, si è dimesso domenica e i parlamentari peruviani hanno respinto l’unica lista di candidati che avevano chiesto la fiducia, guidata da Rocío Silva Santisteban, del Fronte Ampio, che sarebbe stata la prima donna ad assumere la presidenza del paese. Vice-presidente sarebbe stato Francisco Sagasti, rapresentante del Partido Morado; Luis Roel Alva, di Acción Popular, secondo vicepresidente e Yessica Apaza, di Unión por el Perú, come terza per il periodo 2020-2021 che avrebbe dovuto traghettare il paese a nuove elezioni. I parlamentari hanno bocciato il nuovo esecutivo con 42 voti a favore, 52 contro e 25 astensioni.

Empasse totale istituzionale quindi e violenza incontrollata delle forze dell’ordine con la Defensoría del Pueblo che ha chiesto “al ministro all’Interno del Perù spiegazioni pubbliche sull’uso indiscriminato di bombe lacrimogeni e spari contro i manifestanti che marciavano pacificamente”.
In un momento in cui nella cosiddetta “patria della democrazia” il presidente ancora in carica Trump grida ai brogli e alle frodi del sistema elettorale del suo paese che si vorrebbe esportare in tutto il mondo. In un momento in cui il Cartello di Lima – che più di tutti ha attentato alla sovranità del Venezuela, Nicaragua, Cuba e gli altri paesi della regione che cercano una via indipendente e sovrana da Washington – perde di fatto la sua capitale. Ecco in un momento del genere il silenzio imbarazzato e imbarazzante di Unione Europea e del “ministero delle colonie” Osa del povero Almagro vi offre la portata della parzialità di questi organismi vassalli degli Stati Uniti.
Ben ha fatto, per questo, il presidente del Venezuela Nicolas Maduro, dunque, ad infierire sulla crisi istituzionale in Perù e sulla settimana di continue manifestazioni represse violentemente a Lima. “Quello che osserviamo è che il popolo peruviano si sta svegliando nella ribellione, nel coraggio. Sono scesi in piazza per opporsi all’ultima manovra dell’oligarchia”, dando la sua solidarietà contro il governo Merino che è poi stato costretto alle dimissioni. “Da qui mando il nostro saluto in solidarietà con il popolo del Perù, con i giovani del Perù che nelle strade lottano per la vera democrazia. Per i loro diritti sociali, per i diritti economici, per i loro diritti umani. Tutto il nostro sostegno al fratello popolo del Perù.”, ha proseguito.

Criticando la mancanza di azione del Gruppo di Lima sulla crisi in Perù, il presidente ha concluso il suo messaggio con una battuta sul futuro politico del Paese. “Sembra che nessuno voglia assumere la presidenza lì. Possiamo inviare Guaidó ad assumere la presidenza e auto-proclamarsi presidente del Perù. Cosa ne pensate? Per realizzare il suo sogno ed entrare in un palazzo presidenziale, perché qui non ha possibilità”, ha detto Maduro

 

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