In campo nazionale ed internazionale
Negli ultimi tempi si sono venute sommando voci di rifiuto del blocco USA contro il Venezuela da un’ampia gamma di attori politici ed istituzionali. Questa situazione implica una svolta rispetto agli anni precedenti, quando il blocco contava su un’ampia trazione di personalità e portavoce internazionali.
La combinazione di effetti devastanti sull’economia nazionale prodotto delle misure coercitive unilaterali e la assertiva politica di denuncia internazionale del Governo Bolivariano, ha prodotto questo cambio di scenario.
Il quadro giustificativo del blocco, la sua narrativa rivestita da strumento per “recuperare la democrazia”, si è eroso, lasciando il posto ad un rifiuto frontale delle “sanzioni” che continua ad espandersi.
Questa svolta risponde anche ad un calcolo politico di base: il blocco ha infranto la soglia della violazione di massa dei diritti umani del popolo venezuelano, che rende i suoi complici e promotori, diretti o indiretti, in responsabili di crimini contro l’umanità.
In questo quadro, molti attori politici nazionali ed internazionali hanno deciso di fare due passi indietro per smarcarsi dell’area dell’accusa. La resistenza venezuelana lo ha reso possibile.
COLORO CHE HANNO ALZATO LA LORO VOCE ALL’ESTERO
L’agosto dello scorso anno è stato un mese molto attivo in cui è stata sviluppata una campagna mondiale di rifiuto del blocco, in cui organizzazioni di oltre 50 paesi hanno espresso il loro rifiuto dell’uso delle “sanzioni” per accelerare un cambio forzato di governo in Venezuela.
L’ALBA-TCP ha condannato il blocco USA, rispondendo rapidamente alla campagna venezuelana: “I paesi dell’ALBA-TCP condannano l’embargo economico annunciato da Washington contro il popolo venezuelano e chiedono che, come parte del rispetto del Diritto Internazionale e della Carta ONU, si abroghi ogni sanzione unilaterale stabilita”.
Va notato che in precedenza, nel luglio 2019, il Consiglio dei Diritti Umani ONU aveva emesso una risoluzione di condanna del blocco contro il Venezuela, che ha ottenuto 28 voti a favore.
Nell’agosto 2019, l’Alta Commissaria ONU per i Diritti Umani, Michelle Bachelet, ha preso posizione contro le sanzioni USA: “Le sanzioni unilaterali con ampi effetti possono finire per influire negativamente sui diritti fondamentali delle persone, compresi i loro diritti economici (…) Temo che abbiano importanti implicazioni per i diritti alla salute e all’alimentazione”.
Nello stesso mese, la segretaria esecutiva della Commissione Economica per l’America Latina ed i Caraibi (ECLAC-ONU) dell’ONU, Alicia Bárcena, ha anche messo in dubbio l’uso di misure coercitive unilaterali contro il Venezuela, a causa del suo grave impatto umanitario ed allo sviluppo economico della nazione.
Nel marzo di quest’anno, 11 senatori del Partito Democratico degli USA hanno emesso una lettera indirizzata al Segretario del Tesoro, Steven Mnuchin, e al Segretario di Stato, Mike Pompeo, per chiedere la sospensione delle “sanzioni” contro Venezuela ed Iran: “Mentre questi paesi lottano per rispondere alle loro crisi sanitarie interne, le sanzioni USA stanno ostacolando il libero flusso di forniture mediche ed umanitarie disperatamente necessarie”.
Già nel luglio di quest’anno, il ministro degli Esteri argentino, Felipe Solá, ha affermato che “gli USA vogliono che approviamo sanzioni e blocchi (…) Siamo contro blocchi e sanzioni”.
Nel dicembre 2019, il senatore repubblicano dello stato della Virginia, Richard Black, ha affermato che il blocco doveva essere sospeso a causa degli effetti negativi che stava avendo sull’economia e sulla popolazione venezuelana: “Non è il mio Governo e non spetta a me o ad alcun statunitense determinare come i venezuelani debbano gestire i loro affari (…) «Abbiamo demonetizzato la loro valuta ed, attraverso il sistema bancario internazionale, abbiamo fatto sì che la valuta venezuelana manchi di valore e diciamo: “Guarda quanto è cattivo questo Governo, la sua moneta non vale niente”. Beh, non siamo stati loro, siamo stati noi a rendere inutile la loro moneta (…) non possono nutrire la loro gente” (…) non possono nutrire la loro gente perché gli abbiamo tagliato tutte le fonti di ingresso. Pertanto tutto è stato fatto molto male”.
È così dimostrato che una campagna di denuncia su larga scala come quella condotta dal Governo bolivariano in rifiuto del blocco ha avuto risposte positive a sostegno della sua richiesta. In ogni caso, è stato importante posizionare la questione sulla scena internazionale, proponendo la discussione sui crimini contro l’umanità che Washington commette ogni giorno contro la popolazione venezuelana nelle diverse istanze dell’ONU. Una visibilità che ha portato risultati per raggiungere gli stessi consensi anche a livello nazionale.
LA COMPARSA DI UN’OPPOSIZIONE POLITICA
Si sta riorganizzando il concerto politico in Venezuela, dopo quattro anni di caos e controversia istituzionale in cui l’opposizione venezuelana è stata presa dai settori più antinazionali per applicare una strategia di “cambio di regime” che ha portato al blocco. e minacce di intervento militare nel paese.
Quei settori hanno relegato dall’agenda dei media altri che, essendo anch’essi anti-chavisti, desiderano partecipare all’arena politica e non a cospirazioni aperte o segrete per rovesciare il governo costituzionale del presidente Nicolás Maduro.
In effetti, il clamoroso fallimento del “piano Guaidó” ha indotto settori moderati, tra altri, all’opposizione a dissociarsi dalla strategia USA ed hanno cominciato a posizionarsi come un’altra opzione politica non chavista o di sinistra in Venezuela.
Ciò porterebbe ad una destagnazione dello scenario attuale con l’avvicinarsi delle elezioni parlamentari al fine di regolarizzare gli sforzi istituzionali del potere legislativo.
Tra i settori dell’opposizione che hanno deciso di fare politica all’interno del quadro costituzionale venezuelano ci sono alcuni vecchi nomi così come nuovi attori che hanno approfittato per riempire il vuoto lasciato da coloro che a un certo punto hanno guidato la defunta Tavola d’Unità Democratica (MUD).
VECCHI VOLTI
Henrique Capriles Radonski è uno dei principali politici anti-chavisti che si sono posizionati contro il blocco e l’intervento straniero. Questa posizione sembra non essere una casualità, ma un fatto che si è andato costruendo nel tempo.
Nel 2013, Capriles ha deciso di non riconoscere i risultati delle elezioni che hanno dato la vittoria a Nicolás Maduro ed ha convocato proteste violente per le strade del Venezuela, con un bilancio di nove morti, sedi del PSUV vandalizzate e bruciate, intimidazioni di militanti e dirigenti chavisti e vari atti di violenza.
Tuttavia, Capriles si è mostrato critico nei confronti della strategia di Leopoldo López, María Corina Machado e Antonio Ledezma chiamata “La Salida”, che consisteva in una violenta rivoluzione di colore con poca efficacia. Questa strategia è stata ripetuta nel 2017 e nuovamente criticata dall’ex governatore di Miranda.
Capriles è stato inabilitato dall’esercizio di qualsiasi carica pubblica per un periodo di 15 anni dall’Ufficio del Controllore Generale della Repubblica nel 2017, dopo che sono state dimostrate irregolarità nelle voci di bilancio per l’anno 2011, 2012 e 2013.
Benché con poca popolarità, Capriles si è allontanato dalla coalizione apertamente sostenuta dagli USA per presentarsi come una figura di dirigenza politica, anche se questo divide irrimediabilmente l’opposizione venezuelana (in pratica, poiché l’unità dell’anti-chavismo è un feticcio del linguaggio, non altro).
Si potrebbe affermare che Capriles sta promuovendo una “terza via”, per coloro che non si piegano ai dettami di Guaidó e della sua intera struttura “politica” di sostegno. Vede l’opportunità di entrare nella scena politica venezuelana come un’opzione più moderata, meno pro-violenza, meno antipolitica e aggiunta al “gioco della democrazia”.
La storia di Henri Falcón non è simile a quella di Capriles, dal momento che è sempre stato dalla parte della politica, anche essendo un ferreo oppositore del governo di Nicolás Maduro, e prima di Hugo Chávez.
Da quando è passato da un campo politico all’altro, dal Partito Socialista Unito del Venezuela e Patria Para Todos alla cosiddetta MUD, per poi allontanarsi da quella coalizione e guidare Avanzada Progresista, fondata nel 2012, è stata una delle principali alternative per la base. anti-chavista che non camminava con i partiti di opposizione più votati.
Governatore dello stato di Lara per due volte di seguito (2008-2017), tuttavia, è stato sempre in contatto con altri dirigenti anti-chavisti come Henrique Capriles, della cui campagna presidenziale, nel 2013, è stato il capo e gli uomini d’affari di Fedecámaras, con i quali ha collaborato per alimentare la sua politica. economico nello stato che ha governato.
Ha perso le elezioni regionali nel 2017 contro Carmen Meléndez (oggi Ministra degli Interni, Giustizia e Pace) ed è stato il principale candidato dell’opposizione contro il presidente Nicolás Maduro nelle elezioni presidenziali del 2018, che ha vinto la rielezione, vittoria riconosciuta dallo stesso Falcón.
Inoltre, ha sostenuto il tentativo di consolidare una soluzione elettorale di fronte ai programmi di violenza che i settori antinazionali finanziano e spingono per le strade del Venezuela, insistendo in tutte le sue partecipazioni mediatiche che “la soluzione è nelle urne”.
Stalin González è forse uno dei profili più sfuggenti della dirigenza dell’opposizione. È emerso dal branco di dirigenti studenteschi che hanno cercato di fare una rivoluzione colorata nel 2007 (fine della concessione a RCTV) senza il minimo successo ed ha ottenuto un seggio a Caracas dal 2010 ad oggi.
Infatti, è stato il secondo vicepresidente dell’Assemblea Nazionale in ribellione, nel 2019 fino al 2020, accompagnando Juan Guaidó & Cía nei suoi piani di golpe e caos istituzionale.
Ma ha sorpreso molti sul campo dell’opposizione quando è apparso insieme a Henrique Capriles per respingere la strategia del blocco e dell’intervento dei settori antinazionali dell’opposizione venezuelana, difendere i tavoli di dialogo e negoziazione con il governo del presidente Nicolás Maduro, e valutare positivamente l’agenda elettorale come via democratica.
Sembra che González voglia intraprendere una carriera politica in Venezuela con un altro partito, forse uno che serva ai suoi scopi ed interessi, dal momento che lui stesso si è dissociato da Un Nuevo Tiempo, affermando in una lettera resa pubblica che rispettava la posizione di quel partito sulle elezioni (alle quali ha deciso di non partecipare per seguire la routine del fallito “piano Guaidó”), ma dove ha chiarito di non condividerla.
Sebbene manchi di popolarità, il suo pubblico smarcamento dalla strategia USA sembra essere accompagnata insieme a Capriles.
Dopo che il Tribunale Supremo di Giustizia (TSJ) sventasse le cause legali fatte da militanti di alcuni partiti “tradizionali” di opposizione affinché fossero intervenuti, sono stati formati consigli ad hoc che hanno dato potere ad altri settori di quegli stessi partiti che sì desideravano. andare alle elezioni.
“La ribellione dei sostituti”, alla fine del 2019, all’Assemblea Nazionale in ribellione, che ha posto José Brito (Primero Justicia) alla presidenza del Parlamento, nel gennaio 2020, è stato l’incentivo affinché questi settori prendessero il potere dai loro partiti e quindi partecipare alla vita politica ed elettorale del paese.
Successivamente, un gruppo di partiti politici uniti nell’Alleanza Democratica ha registrato i propri candidati per le elezioni legislative del prossimo 6 dicembre. È il Comitato di Organizzazione Politica Elettorale Indipendente (COPEI), Avanzada Progresista, Cambiemos, Esperanza por el Cambio y Acción Democrática (AD).
I nuovi vertici di questi partiti saranno i prossimi a mettere la faccia non solo nella campagna, ma a lungo termine nella scena politica venezuelana. È molto probabile che non rivedremo più Henry Ramos Allup seduto in un seggio dell’emiclico legislativo.
D’altra parte, va ricordato che la Conferenza Episcopale Venezuelana ha invitato a partecipare alle prossime elezioni legislative, un cambio di posizione tenendo conto che la Chiesa in Venezuela si è, storicamente, schierata con i programmi golpisti in ogni momento da quando Hugo Chávez, e successivamente Nicolás Maduro, hanno preso il potere dello Stato.
CONCLUSIONI DI DUE ROVESCI
Il blocco è un’arma economica contro il Venezuela, che è stata usata indiscriminatamente contro la popolazione. Non si ferma alle affinità politiche ed ideologiche. Ci danneggia tutti allo stesso modo. Questo è chiaro sotto gli effetti delle cosiddette “sanzioni”.
La battaglia per la sconfitta definitiva del blocco economico USA segna, quindi, il nostro destino di nazione. È la principale battaglia che i venezuelani devono affrontare per conquistare un futuro di pace, riconciliazione e benessere collettivo.
Indubbiamente, la vittoria nell’ Assemblea Nazionale è strategica per accompagnare la causa intentata alla Corte Penale Internazionale da parte dello Stato venezuelano contro i responsabili del blocco economico, residenti a Washington.
La vittoria nell’Assemblea Nazionale sarà anche strategica per rafforzare gli accordi di cooperazione per affrontare il blocco, un aspetto chiave di questa battaglia e che è uno dei compiti titanici del nuovo ciclo parlamentare. La vittoria nell’Assemblea Nazionale è un passo strategico nella controffensiva nazionale ed istituzionale contro il blocco.
Ciò si aggiunge al rifiuto mondiale contro le “sanzioni” da parte di importanti istituzioni e figure internazionali. Questa è stata una conquista del popolo venezuelano che, con la sua eroica resistenza, ha rivelato i veri interessi del blocco USA sulla scena globale.
Una clamorosa vittoria alle elezioni parlamentari del 6 dicembre consentirebbe alle forze patriottiche e nazionaliste del Blocco Storico di promuovere la pressione internazionale contro il blocco USA.
La resistenza del popolo venezuelano ha permesso conquistare spazi di influenza nell’ONU e anche negli USA contro il blocco.
La voce del paese che resiste ha un’importante risonanza fuori dai confini, e rafforzarla ancora più dipende dal trionfo degli attori nazionalisti nell’Assemblea Nazionale.
DOS REVESES ESTRATÉGICOS CONTRA EL BLOQUEO SOBRE VENEZUELA
EN LO NACIONAL Y LO INTERNACIONAL
En el último tiempo se han venido sumando voces de rechazo al bloqueo estadounidense contra Venezuela desde una variada gama de actores políticos e institucionales. Esta situación implica un giro con respecto a años anteriores, cuando el bloqueo contaba con una amplia tracción de figuras y vocerías internacionales.
La combinación de efectos devastadores sobre la economía nacional producto de las medidas coercitivas unilaterales y la asertiva política de denuncia internacional del Gobierno Bolivariano, ha producido este cambio de escenario.
El marco de justificación del bloqueo, su narrativa revestida como un instrumento para “recuperar la democracia”, se ha erosionado, abriendo paso a un rechazo frontal a las “sanciones” que continúa expandiéndose.
Este giro también responde a un cálculo político básico: el bloqueo ha roto el umbral de la violación masiva de los derechos humanos del pueblo venezolano, lo que convierte a sus cómplices y promotores en responsables directos o indirectos de crímenes de lesa humanidad.
En este marco, muchos actores políticos nacionales e internacionales han decidido dar dos pasos hacia atrás para enmarcarse fuera del área de acusación. La resistencia venezolana lo ha hecho posible.
QUIÉNES HAN ALZADO SU VOZ EN EL EXTERIOR
Agosto del año pasado fue un mes muy activo en el que se desarrolló una campaña mundial de rechazo al bloqueo, donde organizaciones de más de 50 países expresaron su rechazo al uso de las “sanciones” para precipitar un cambio forzado de gobierno en Venezuela.
El ALBA-TCP condenó el bloqueo estadounidense, respondiendo rápidamente a la campaña venezolana: “Los países de la ALBA-TCP condenan el embargo económico anunciado por Washington contra el pueblo venezolano y exigen que, como parte del respeto del Derecho Internacional y de la Carta de la ONU, se derogue toda sanción unilateral establecida”.
Cabe resaltar que anteriormente, en julio de 2019, el Consejo de Derechos Humanos de la ONU había emitido una resolución de condena al bloqueo contra Venezuela, la cual tuvo 28 votos a favor.
En agosto de 2019, la Alta Comisionada de Naciones Unidas para los Derechos Humanos, Michelle Bachelet, se posicionó contra las sanciones estadounidenses: “Las sanciones unilaterales con efectos amplios pueden terminar afectando negativamente los derechos fundamentales de las personas, incluyendo sus derechos económicos (…) Temo que tengan implicaciones mayores en los derechos a la salud y a la alimentación”.
Ese mismo mes la secretaria ejecutiva de la Comisión Económica para América Latina y el Caribe de la Organización de las Naciones Unidas (Cepal-ONU), Alicia Bárcena, también cuestionó el uso de medidas coercitivas unilaterales contra Venezuela, debido a su grave impacto humanitario y al desarrollo económico de la nación.
En marzo de este año, 11 senadores del Partido Demócrata de Estados Unidos emitieron una carta dirigida al secretario del Tesoro, Steven Mnuchin, y al de Estado, Mike Pompeo, para exigir la suspensión de las “sanciones” contra Venezuela e Irán: “A medida que estos países luchan por responder a sus crisis de salud doméstica, las sanciones de los Estados Unidos están obstaculizando el flujo libre de suministros médicos y humanitarios que se necesitan desesperadamente”.
Ya en julio de este año, el canciller argentino Felipe Solá expresó que “Estados Unidos quiere que aprobemos las sanciones y los bloqueos (…) Estamos en contra de los bloqueos y las sanciones”.
En diciembre de 2019, el senador republicano del estado de Virginia, Richard Black, aseveró que el bloqueo debía ser suspendido por los efectos negativos que estaba produciendo sobre la economía y población venezolanas: “No es mi Gobierno y no me corresponde a mí ni a ningún estadounidense determinar cómo los venezolanos deben manejar sus asuntos (…) «Desmonetizamos su moneda y, a través del sistema bancario internacional, hicimos que la moneda venezolana careciera de valor y luego vamos y decimos: ‘Miren lo malo que es este Gobierno, su moneda no vale nada’. Bueno, no fueron ellos, fuimos nosotros quienes hicimos inútil su moneda (…) no pueden alimentar a su gente’ (…) no pueden alimentar a su gente porque les hemos cortado todo fuente de ingresos. Por lo tanto, todo se ha hecho muy mal”.
Queda así demostrado que una campaña de denuncia a gran escala como la hecha por el Gobierno Bolivariano en rechazo al bloqueo tuvo respuestas positivas en el apoyo a su reclamo. De todas maneras, era importante posicionar el tema en la arena internacional, proponiendo la discusión sobre los crímenes de lesa humanidad que comete Washington todos los días contra la población venezolana en las diferentes instancias de la ONU. Una visibilización que ha traído frutos para lograr asimismo consensos en el plano nacional.
LA APARICIÓN DE UNA OPOSICIÓN POLÍTICA
El concierto político se está reorganizando en Venezuela, luego de cuatro años de caos y disputa institucional en el que la oposición venezolana fue tomada por los sectores más antinacionales con el fin de aplicar una estrategia de “cambio de régimen” que ha desembocado en el bloqueo y las amenazas de intervención militar sobre el país.
Aquellos sectores relegaron de la agenda mediática a otros que, siendo antichavistas, también desean participar de la arena política y no en conspiraciones abiertas o secretas para derrocar al gobierno constitucional del presidente Nicolás Maduro.
De hecho, el fracaso estrepitoso del “plan Guaidó” provocó que sectores moderados, entre otros, en la oposición se deslindaran de la estrategia estadounidense y comenzaran a posicionarse como otra opción política no chavista o de izquierda en Venezuela.
Esto conllevaría a un desesestancamiento del escenario actual mientras las elecciones parlamentarias se acercan con el fin de regularizar las gestiones institucionales del poder legislativo.
Entre los sectores de oposición que decidieron hacer política en el marco constitucional de Venezuela se encuentran algunos viejos nombres así como nuevos actores que aprovecharon llenar el vacío dejado por quienes en algún momento lideraron la extinta Mesa de Unidad Democrática (MUD).
CARAS VIEJAS
Henrique Capriles Radonski es uno de los principales políticos antichavistas que se han posicionado en contra del bloqueo y la intervención extranjera. Esta postura parece no ser una casualidad, sino un hecho que se ha venido construyendo con el tiempo.
En 2013, Capriles decidió no reconocer los resultados de las elecciones que dieron el triunfo a Nicolás Maduro y convocó a protestas violentas en las calles de Venezuela, con un saldo de nueve muertos, sedes del PSUV vandalizadas y quemadas, amedrentamiento a militantes y dirigentes chavistas y diversos actos de violencia.
Sin embargo, Capriles se mostró crítico de la estrategia de Leopoldo López, María Corina Machado y Antonio Ledezma llamada “La Salida”, que consistía en una revolución de color violenta con poca efectividad. Dicha estrategia fue repetida en 2017, y vuelta a criticar por el ex gobernador de Miranda.
Capriles fue inhabilitado para ejercer cualquier cargo público por un período de 15 años por parte de la Contraloría General de la República en 2017, luego de que se demostraran irregularidades en partidas presupuestarias del año 2011, 2012 y 2013.
Aunque con poca popularidad, Capriles se ha apartado de la coalición apoyada de manera abierta por Estados Unidos para presentarse como una figura de liderazgo político, aunque ello divida sin remedio a la oposición venezolana (en la práctica, ya que la unidad del antichavismo es un fetiche del discurso, no más).
Podría afirmarse que Capriles está promoviendo una “tercera vía”, para aquellos que no se pliegan a los dictámenes de Guaidó y toda su estructura “política” de apoyo. Está viendo la oportunidad de entrar en la escena política venezolana como una opción más moderada, menos pro-violencia, menos anti-política y sumada al “juego de la democracia”.
La historia de Henri Falcón no se parece a la de Capriles, ya que siempre estuvo en el lado de la política, aun siendo un férreo opositor al gobierno de Nicolás Maduro, y antes de Hugo Chávez.
Desde que pasara de un bando político a otro, del Partido Socialista Unido de Venezuela y Patria Para Todos a la llamada MUD, para luego apartarse de esa coalición y liderar Avanzada Progresista, fundado en 2012, ha sido una de las principales alternativas para la base antichavista que no caminaba con los partidos opositores más votados.
Gobernador del estado Lara en dos oportunidades seguidas (2008-2017), sin embargo siempre estuvo en contacto con otros líderes antichavistas como Henrique Capriles, de cuya campaña presidencial en 2013 fue jefe, y los empresarios de Fedecámaras, con quienes coludía para alimentar su política económica en el estado que gobernó.
Perdió las elecciones regionales en 2017 contra Carmen Meléndez (hoy ministra de Interior, Justicia y Paz) y fue el principal candidato opositor contra el presidente Nicolás Maduro en los comicios presidenciales de 2018, quien ganó la reelección, victoria reconocida por el mismo Falcón.
También, ha abogado por intentar consolidar una salida electoral frente a las agendas de violencia que los sectores antinacionales financian y empujan en las calles de Venezuela, insistiendo en todas sus participaciones mediáticas que “la solución está en las urnas”.
Stalin González es quizás uno de los perfiles más escurridizos del liderazgo opositor. Surgió de la camada de líderes estudiantiles que intentaron dar con una revolución de color en 2007 (fin de la concesión a RCTV) sin el menor éxito y logró una curul por Caracas en 2010 hasta la actualidad.
De hecho, fue el Segundo Vicepresidente de la Asamblea Nacional en desacato en 2019 hasta 2020, acompañando a Juan Guaidó & Cía en sus planes de golpe y caos institucional.
Pero dio una sorpresa a muchos en el bando opositor cuando apareció junto a Henrique Capriles para rechazar la estrategia del bloqueo y la intervención de los sectores antinacionales de la oposición venezolana, defender las mesas de diálogo y negociación con el gobierno del presidente Nicolás Maduro y valorar positivamente la agenda electoral como vía democrática.
Pareciera que González quiere hacer carrera política en Venezuela con otro partido, quizás uno que le sirva a sus fines e intereses, ya que él mismo se deslindó de Un Nuevo Tiempo, afirmando en una carta que se hizo pública que respetaba la posición de esa tolda sobre los comicios (a los que decidió no participar para seguir la rutina del fracasado “plan Guaidó”), pero donde dejó claro que no la comparte.
Aunque carece de popularidad, su deslinde público de la estrategia de Estados Unidos parece que será caminado junto a Capriles.
Luego de que el Tribunal Supremo de Justicia (TSJ) destrabara las demandas jurídicas hechas por militantes de algunos partidos “tradicionales” de oposición para que fueran intervenidos, se conformaron juntas ad hoc que dieron el poder a otros sectores de esos mismos partidos que sí querían ir a elecciones.
“La rebelión de los suplentes” de finales del 2019 en la Asamblea Nacional en desacato, que puso en la presidencia del parlamento a José Brito (Primero Justicia) en enero de 2020, fue el aliciente para que estos sectores tomaran el poder de sus partidos y así participar de la vida política y electoral del país.
Posteriormente un grupo de partidos políticos unidos en la Alianza Democrática inscribieron sus candidatos para las elecciones legislativas del 6 de diciembre próximo. Se trata del Comité de Organización Política Electoral Independiente (Copei), Avanzada Progresista, Cambiemos, Esperanza por el Cambio y Acción Democrática (AD).
Los nuevos liderazgos de esos partidos serán los próximos en dar la cara no solo en la campaña, sino a largo plazo en el escenario político venezolano. Es muy probable que ya no volvamos a ver a Henry Ramos Allup sentado en una curul del hemiciclo legislativo.
Por otro lado, se debe mencionar que la Conferencia Episcopal Venezolana llamó a participar en las próximas elecciones legislativas, un cambio de posición tomando en cuenta que la Iglesia en Venezuela históricamente ha tomado partido por agendas golpistas en todo momento desde que Hugo Chávez y luego Nicolás Maduro tomaran el poder del Estado.
CONCLUSIONES DE DOS REVESES
El bloqueo es un arma económica contra Venezuela, la cual se ha usado de manera indiscriminada contra la población. No se detiene en afinidades políticas e ideológicas. Nos afecta a todos por igual. Esto queda claro bajo los efectos de las llamadas “sanciones”.
La batalla por la derrota definitiva del bloqueo económico de Estados Unidos marca, entonces, nuestro destino como nación. Es la principal batalla que tenemos los venezolanos para conquistar un futuro de paz, reconciliación y bienestar colectivo.
Sin duda, la victoria en la Asamblea Nacional es estratégica para acompañar la demanda introducida en la Corte Penal Internacional por parte del Estado venezolano contra los responsables del bloqueo económico, residenciados en Washington.
La victoria en la Asamblea Nacional será también estratégica para fortalecer los acuerdos de cooperación para enfrentar al bloqueo, un aspecto clave de esta batalla y que es una de las tareas titánicas del nuevo ciclo parlamentario. La victoria en la Asamblea Nacional es un paso estratégico en la confraofensiva nacional e institucional contra el bloqueo.
Esto suma al rechazo mundial contra las “sanciones” proveniente de importantes instituciones y figuras internacionales. Esto ha sido una conquista del pueblo venezolano que, con su resistencia heroica, ha desvelado los verdaderos intereses del bloqueo estadounidense ante el escenario global.
Un triunfo contundente en las elecciones parlamentarias del 6 de diciembre, le permitiría a las fuerzas patrióticas y nacionalistas del Bloque Histórico impulsar la presión internacional contra el bloqueo de Estados Unidos.
La resistencia del pueblo venezolano ha permitido conquistar espacios de influencia en la ONU y también en Estados Unidos en contra del bloqueo.
La voz del país que resiste tiene una importante resonancia fronteras afuera, y potenciarla todavía más depende de un triunfo de los actores nacionalistas en la Asamblea Nacional.