Romania e Venezuela: elezioni lo scorso 6 dicembre

Sergio Rodríguez Gelfenstein  https://misionverdad.com

Il 6 dicembre scorso si sono svolte le elezioni parlamentari in Venezuela ed in Romania. I risultati non hanno lo stesso impatto perché stiamo parlando di regimi politici dissimili, presidenziale il sudamericano e parlamentare l’europeo; tuttavia una semplice revisione di come sono stati gestiti entrambi gli eventi dalle grandi agenzie internazionali di stampa mostra chiaramente che “l’obiettività” che inalberano è falsa e che alla fine dicono ciò che gli viene ordinato da Washington e Bruxelles.

La Romania ha vissuto una strana giornata elettorale in cui l’opposizione socialdemocratica “si è alzata con la vittoria in modo sorprendente”, ma ha perso secondo la legge, come sottolineano quasi tutti i media “proprietari della verità universale”. Il Partito Socialdemocratico (PSD) ha ottenuto il 30% dei voti ed il Partito Nazionale Liberale (PNL), al governo, di destra ha ottenuto il 25% di sostegno.

La sconfitta del PNL ha comportato le dimissioni del primo ministro Ludovic Orban. La tradizione dei sistemi parlamentari è che al gruppo più votato corrisponde formare un governo. Tuttavia, ciò che non è risultato sorprendente è stato che i vincitori sono risultati perdenti grazie alla decisione del presidente rumeno, Klaus Iohannis, che ha nominato come primo ministro il titolare della Difesa, generale Nicolae Ciuca, giunto all’Esecutivo nel novembre 2019 dopo aver rovesciato il precedente governo socialdemocratico con una mozione di sfiducia.

Il presidente Iohannis ha annunciato che, nonostante la vittoria del PSD alle elezioni, non lo incaricherà di formare un governo -come aveva precedentemente avvertito- quando ha detto che non avrebbe permesso ai socialdemocratici di ritornare al potere, optando così per un primo ministro di centro- destra che cerca una coalizione tra il PNL, al potere, l’alleanza centrista USR-Plus (che ha ottenuto il 16% dei voti) e altri partiti della stessa ideologia. Cioè per decisione del presidente, i vincitori delle elezioni non potranno formare un governo, incitando, in maniera vergognosa, a costruire un’alleanza di destra ed ultra-destra per consegnar loro il governo del paese.

La decisione del presidente Ioannis è illegale o illegittima? No non lo è. Ha agito in assoluta conformità con la costituzione politica del paese, che non lo obbliga a rispettare i risultati se il partito vincitore non raggiunge la maggioranza assoluta. Se questo punto di vista soddisfa i criteri etici è un altro tema da discutere.

Ciò che è ripudiabile politicamente è che si ‘insabbi’ la presunta tradizione dei sistemi parlamentari della tanto pubblicizzata democrazia rappresentativa a cui si fa ricorso solo quando è conveniente, di chiamare a formare un governo il partito che ha ottenuto il maggior numero di voti e se questo non è in grado di farlo, dare possibilità ad altri raggruppamenti. Molto più deplorevole è che Ioannis abbia voluto -in modo spudorato- negare a priori tale possibilità alla socialdemocrazia solo per incaricare del governo al suo partito, il PNL.

Il canale televisivo, in abbonamento, France 24 opina senza alcuna analisi: “Più di 18 milioni di elettori erano chiamati alle urne, ma solo il 30% circa ha finito per partecipare ad una giornata più che sorprendente. E’ la cifra più alta di astensioni ad elezioni parlamentari dal 1989, dopo la caduta del comunismo che ha lasciato il posto alla democrazia”, ed aggiunge:” Gli esperti attribuiscono l’apatia dei votanti alla paura di contagiarsi con il Covid-19, nel bel mezzo della seconda ondata di contagi che colpisce la Romania. Ma, aggiungono, che il disinteresse fa anche parte di una disillusione contro la classe politica rumena”.

Nel caso del Venezuela, benché sia stato annunciato che il chavismo ha ripreso il controllo dell’Assemblea Nazionale, la prima menzione risaltata da quasi tutte le agenzie è l’astensione di circa il 70% degli elettori. La stessa quantità che in Romania!

Ma i media non informano che in Venezuela si è votato nel mezzo dell’angustia, delle aggressioni, delle minacce, delle “sanzioni” e del blocco che impedisce il normale rifornimento di prodotti per la vita della popolazione. Nessun accenno al covid-19, come se il Venezuela fosse su un altro pianeta che non è stato colpito dalla pandemia. L’unica cosa su cui si potrebbe concordare è nell’apatia dei cittadini per le elezioni per un’istanza che non ha fatto nulla per risolvere i loro problemi e che negli ultimi anni, al contrario, è stata una parte fondamentale del problema.

Successivamente, l’asse “informativo” si orienta a segnalare le opinioni dell’opposizione sui risultati, ponendo l’enfasi sulla presunta frode stabilita da Washington e obbedita da Bruxelles e dal Cartello di Lima, non come nel caso della Romania in cui sottolineano come idea di forza gli argomenti del presidente per giustificare la sua decisione.

Le storie e le interviste ruotano attorno alla scarsa partecipazione, citando in forma tangenziale e quasi senza voler dire che il processo si è svolto in modo pacifico come avallato dal Consiglio Nazionale Elettorale eletto da un accordo tra opposizione e governo, il “Piano República” operazione speciale delle Forze Armate che si struttura nelle date elettorali, che ha riferito che non c’è stata, si ascolti bene, nessuna denuncia di alterazione dell’ordine nelle elezioni, contrariamente a quanto è già usuale in quasi tutta l’America Latina, ma poiché la notizia attesa dai media transnazionali dell’informazione era che ci fosse violenza e disordini, sono rimasti muti di fronte a questo fatto. Infine, i risultati sono stati garantiti dalle centinaia di osservatori internazionali convocati, a tal fine, dal governo e dall’opposizione.

La principale preoccupazione dei media salariati è stata non poter sbrogliare la confusione causata dal non sapere come informare: se come vuole Trump o come vuole Biden (che ha taciuto). Questi risultati elettorali mostrano il fallimento del progetto Guaidó, che è stato caldamente sostenuto, con uguale entusiasmo, da Repubblicani e Democratici a partire dal quale il campo “era stato delimitato per la stampa” mercenaria che ora non sa come informare su un governo che hanno sempre saputo inesistente.

Così come quello avvenuto in Romania non è criticabile perché il presidente ha agito nei termini della costituzione e delle leggi, quello successo in Venezuela neppure lo può essere perché qui c’è uno stato di diritto, nessuno ha potuto provare il contrario. L’amministrazione USA ed i suoi governi subordinati dovrebbero misurare le conseguenze giuridiche che significano avallare come nuovo metodo elettorale l’autoproclamazione in una piazza e si devono attenere alle conseguenze.

Per la stabilità dell’Unione Europea, mi auguro che il dirigente del PSD rumeno, Marcel Ciolacu, non vada al Parco Floreasca di Bucarest per autoproclamarsi presidente, perché è molto probabile che, dando continuità alla loro pratica “democratica”, Donald Trump e Josep Borrell lo dichiarino presidente della Romania.


RUMANIA Y VENEZUELA: ELECCIONES EL PASADO 6 DE DICIEMBRE

Sergio Rodríguez Gelfenstein

El pasado 6 de diciembre hubo elecciones parlamentarias en Venezuela y en Rumania. Los resultados no tienen el mismo impacto porque estamos hablando de disímiles regímenes políticos, presidencial el sudamericano y parlamentario el europeo; sin embargo, una simple revisión de cómo fueron manejados ambos eventos por las grandes agencias internacionales de prensa muestra claramente que la “objetividad” que enarbolan es falsa y que finalmente dicen lo que se les ordena desde Washington y Bruselas.

Rumania vivió una extraña jornada electoral en la que la oposición social demócrata se “alzó con la victoria de manera sorpresiva”, pero perdió según la ley, como lo señalan casi todos los medios de prensa “dueños de la verdad universal”. El Partido Socialdemócrata (PSD) obtuvo 30% de los votos y el gobernante Partido Nacional Liberal (PNL) de derecha logró un 25% de apoyo.

La derrota del PNL significó que el primer ministro Ludovic Orban dimitiera del cargo. La tradición de los sistemas parlamentarios es que a la agrupación más votada le corresponda formar gobierno. Sin embargo, lo que no resultó sorpresivo fue que los ganadores resultaran perdedores por obra y gracia de la decisión del presidente rumano, Klaus Iohannis, quien designó como primer ministro al titular de Defensa, general Nicolae Ciuca, quien llegó al Ejecutivo en noviembre de 2019 tras derrocar al anterior gabinete socialdemócrata en una moción de censura.

El presidente Iohannis comunicó que pese a la victoria del PSD en los comicios, no le encargará formar gobierno —tal como lo había advertido previamente— cuando dijera que no permitiría a los social demócratas regresar al poder, optando entonces por un primer ministro de centro-derecha que busque una coalición entre el PNL gobernante, la alianza centrista USR-Plus (que obtuvo un 16% de los votos) y otros partidos de la misma ideología. Es decir por decisión del presidente, los ganadores en las elecciones no podrán formar gobierno, instando de manera desvergonzada a construir una alianza de derecha y ultra derecha para entregarle el gobierno del país.

¿Es ilegal o ilegítima la decisión del presidente Ioannis? No, no lo es. Actuó en absoluta consonancia con la constitución política del país que no lo obliga a respetar los resultados si el partido vencedor no logra una mayoría absoluta. Si este punto de vista se atiene a criterios éticos es otro tema a discutir.

Lo que es repudiable políticamente es que se le “eche tierra” a la supuesta tradición de los sistemas parlamentarios de la tan publicitada democracia representativa a la que se acude solo cuando es conveniente, de llamar a formar gobierno al partido que más votos haya logrado y si este no es capaz de hacerlo, dar oportunidad a otras agrupaciones. Mucho más deplorable es que Ioannis haya querido —de forma descarada— negar a priori esa posibilidad a la socialdemocracia solo para encargar gobierno a su partido, el PNL.

El canal de televisión por suscripción France 24 opina sin ningún análisis: “Más de 18 millones de electores estuvieron llamados a las urnas, pero solo alrededor del 30% de ellos terminó participando de una jornada más que sorpresiva. Se trata de la cifra más alta de abstención en unas elecciones parlamentarias desde 1989, tras la caída del comunismo que dio paso a la democracia”, y agrega: “Los expertos atribuyen la apatía de los votantes al temor a contagiarse de covid-19, en medio de la segunda ola de contagios que afecta a Rumania. Pero, añaden, que el desinterés hace parte también de una desilusión contra la clase política rumana”.

En el caso de Venezuela, aunque se da a conocer que el chavismo recuperó el control de la Asamblea Nacional, la primera mención resaltada de casi todas las agencias es la abstención de alrededor del 70% de los electores. ¡La misma cantidad que en Rumania!

Pero los medios no informan que en Venezuela se votó en medio del acoso, las agresiones, las amenazas, las “sanciones” y el bloqueo que impide el abastecimiento normal de insumos para la vida de la población. Ninguna mención al covid-19, como si Venezuela quedara en otro planeta que no ha sido afectado por la pandemia. En lo único que se podría coincidir es en la apatía de los ciudadanos por las elecciones para una instancia que nada ha hecho por solucionar sus problemas y que en los últimos años, al contrario, ha sido parte fundamental del problema.

A continuación, el eje “informativo” se orienta a señalar las opiniones de la oposición en torno a los resultados, poniendo el énfasis en el supuesto fraude dictaminado por Washington y acatado por Bruselas y el Cartel de Lima, no como en el caso de Rumania en la que señalan como idea fuerza los argumentos del presidente para justificar su decisión.

Los relatos y entrevistas giran alrededor de la escasa participación, mencionando de forma tangencial y casi sin querer decir que el proceso se desarrolló de forma pacífica como lo avaló el Consejo Nacional Electoral elegido por un acuerdo entre oposición y gobierno, el “Plan República”, operativo especial de las Fuerzas Armadas que se estructura en las fechas electorales, el cual informó que no hubo ninguna, óigase bien, ninguna denuncia de alteración del orden en los comicios, al contrario de lo que ya es habitual en casi toda América Latina, pero como la noticia esperada por los medios trasnacionales de la información era que hubiese violencia y desorden, hicieron mutis frente a este hecho. Finalmente, los resultados fueron garantizados por los cientos de observadores internacionales convocados por gobierno y oposición a tal efecto.

La principal preocupación de los medios asalariados fue no poder desentrañar la confusión que le produce no saber cómo informar: si cómo lo quiere Trump o cómo lo desea Biden (quien guardó silencio). Estos resultados electorales evidencian el fracaso del proyecto Guaidó que fue calurosamente apoyado con igual entusiasmo por republicanos y demócratas a partir de lo cual la cancha “había quedado rayada para la prensa” cipaya que ahora no sabe cómo informar acerca de un gobierno que siempre han sabido inexistente.

Así como lo ocurrido en Rumania no es cuestionable porque el presidente actuó en términos de la constitución y las leyes, lo de Venezuela tampoco lo puede ser porque aquí hay un estado de derecho, nadie ha podido demostrar lo contrario. La administración de Estados Unidos y sus gobiernos subordinados deberían medir las consecuencias jurídicas que significan avalar como nuevo método electoral la autoproclamación en una plaza y se deben atener a las consecuencias.

A favor de la estabilidad de la Unión Europea, espero que el líder del PSD de Rumania Marcel Ciolacu no vaya al Parque Floreasca de Bucarest a autoproclamarse presidente, porque lo más probable es que dando continuidad a su práctica “democrática”, Donald Trump y Josep Borrell lo declaren presidente de Rumania.

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