C’è un piccolo settore tra coloro che sostengono la più stantia della “dissidenza” a Cuba che da giorni ci ha mostrato in rete alcuni argomenti terrificanti.
Abbiamo scoperto che paragonano l’assalto alla Caserma Moncada, a Radio Reloj e le azioni del Directorio Revolucionario durante la lotta clandestina, con gli appelli di oggi per assaltare le stazioni radio e la sede dei canali televisivi, rompere i negozi o promuovere la violenza nelle strade. Non sono sicuro se confrontare entrambi gli scenari sia una completa ignoranza della storia, un atroce opportunismo od una falsa ingenuità. Sono abbastanza convinto che sia quest’ultimo caso.
Di fronte ad uno scenario simile, si potrebbe parlare di contesti, di modi di organizzare ogni evento o dei protagonisti di ciascuna di queste azioni, e di una pratica basata sull’etica e sull’onestà. Tutti darebbero abbastanza argomenti per contrastare le sciocchezze. Tuttavia, è anche sufficiente guardare gli obiettivi.
Cosa cercava la generazione del Centenario? Cosa ha costruito quando è arrivata al potere? Contro quale progetto di paese stava combattendo? Ogni risposta implica arrivare alla storia di una vera lotta per la libertà, per la dignità della nazione e per l’inclusione sociale, tra le molte conquiste.
Nell’analisi consideriamo anche le conseguenze. Quanti giovani sono morti per mano della repressione dopo il 26 luglio 1953? Quante altre sono state le vittime di torture? Chi ha dimenticato lo sguardo di Josè Luis Tassende, la morte di Josè Antonio, la brutalità contro Lidia e Clodomira, i ragazzi di Humboldt 7, la vita di Frank, gli occhi di Abel? Davvero vogliamo confrontare una tale grandezza?
Coloro che giustificano il loro sostegno e difendono una nozione di legittimità che non hanno ottenuto, dovrebbero anche chiedersi dove sono adesso i torturati, i morti, gli scomparsi e coloro che sono stati processati fuori dalla legge. In quale strada appare un cadavere?
L’altro argomento comune di questi tempi è ancora più indegno: se coloro che ricevono denaro dagli USA per svolgere azioni politiche a Cuba sono mercenari, allora lo è anche Martì, perché ha raccolto fondi all’estero per finanziare la Guerra necessaria. Dichiarazioni di questo tipo sono una provocazione od una “dimostrazione di intelligenza”?
Meglio tornare alle domande: sono le abbondanti consegne di finanziamenti, attraverso canali ufficiali ed istituzioni che appartengono al governo degli Stati Uniti – le ultime di loro di un milione di dollari per progetti che promuovono il cambiamento del sistema – paragonabili al lavoro di Martì nell’emigrazione?
La perseveranza dell’Apostolo significa davvero la stessa cosa, cioè la vita austera per dare tutto ad un Paese, con l’attesa paziente dell’indennità per creare il loro spettacolo e rispondere agli interessi degli altri? L’interferenza è la stessa cosa della solidarietà? Un popolo ed un governo sono la stessa cosa?
Quanti si sono dimenticati dei club patriottici, degli incontri con i produttori di sigari di Tampa e Key West, dei discorsi, dei poveri lavoratori che davano ogni centesimo? L’irrequieto e patriottico Martì è lo stesso “attivista” che cerca di vendere un paese? Chi non ricorda Mariana in Giamaica, Gomez e Maceo in America Centrale, Flor, Maria Cabrales, Bernarda Toro?
Loro erano “mercenari” perché da un altro paese hanno contribuito ad una guerra che avrebbe portato la libertà in patria? È Máximo Gómez, l’uomo che nell’emigrazione ha dovuto affrontare le difficoltà, la morte della sua famiglia, malattie e fame, ma che non ha smesso di raccogliere ogni peso per la Rivoluzione?
È lo stesso uomo che ha rifiutato l’aiuto di un presidente per evitare “di compiere azioni che non mi sembrano del tutto degne della mia onesta miseria”. Si tratta dell’eroe che ha dovuto vendere i suoi occhiali, il suo revolver e il suo orologio – i suoi oggetti più preziosi – per sostenere la sua famiglia, mentre raccoglieva fondi per acquistare armi.
E María Cabrales è anche lei una mercenaria? La donna che fondò circoli patriottici in Giamaica e Costa Rica, la moglie del Titano che andava di casa in casa per raccogliere denaro e lo mise ai piedi della Nazione, quella che subì l’esilio, la morte dell’eroe e la disunione familiare, ma che non si è mai arresa.
Tentare di legittimare la criminalità, i doppi standard morali e la resa sulla base di confronti come quelli visti in questi giorni sui social implica, soprattutto, ignorare un Paese e la sua gente. Di fronte a loro prevalgono studio e analisi, senso critico e prontezza nei canti delle sirene e nelle false posizioni. Le chiavi di oggi stanno anche nel sostenere quell’altro dialogo con la storia ed i suoi insegnamenti.
di Yunier Javier Sifonte Díaz
da Cubadebate traduzione di Ida Garberi