Poche settimane dopo lo scoppio rivoluzionario del 10 ottobre 1868, Carlos Manuel de Céspedes emanò il decreto sulle armi per la fine della schiavitù.
La proclamazione per la concessione dell’emancipazione degli schiavi nei territori della libera Cuba segnò un momento cruciale per l’abolizione definitiva di quel sistema nel paese, evento oggi commemorato nel suo 152° anniversario.
Poche settimane dopo lo scoppio rivoluzionario del 10 ottobre 1868, Carlos Manuel de Céspedes emanò il Decreto in Armi per la fine della schiavitù, un documento pionieristico per chiedere l’uguaglianza dei cubani come cittadini.
Il documento sostiene il rispetto di tutte le libertà e sottolinea che la rivoluzione non poteva accettare la grande incoerenza di limitare tali libertà a una sola parte della popolazione del paese, dice PL.
Una Cuba libera è incompatibile con una Cuba schiavista; e l’abolizione delle istituzioni spagnole deve comprendere e comprende, per necessità e in ragione della massima giustizia, quella della schiavitù come la più iniqua di tutte, aggiunge. Allo stesso modo, riconosce l’utilità che i liberati si unissero alla forza insurrezionalista all’inizio della cosiddetta Guerra dei Dieci anni.
Cespedes, noto come il Padre del Patria, capì l’inconveniente di confrontarsi con i ricchi proprietari terrieri che possedevano le dotazioni e, quindi, lasciò la decisione nelle loro mani.
Tuttavia, qualche settimana dopo, il 26 febbraio 1869, l’Assemblea dei Rappresentanti del Centro, costituita a Sibanicú, Camagüey, dagli insorti di questa regione, ordinò la totale abolizione della schiavitù. Anni dopo, il patriota Manuel Sanguily descrisse il decreto come la conquista più decisiva di quel decennio olimpico.
Fonte: juventud rebelde
Traduzione: italiacuba.it