Il 7 febbraio avranno luogo le elezioni presidenziali in Ecuador, paese che esce gravemente fiaccato dai quattro anni di presidenza di Lenín Moreno. Presentatosi come erede di Rafael Correa e prosecutore del processo di Revolución Ciudadana, Moreno si è presto rivelato un traditore al soldo di Washington, disonorando il proprio nome e quello della sua famiglia, comunista da generazioni.
Da candidato progressista, Moreno si è trasformato in uno dei leader del neoliberismo sudamericano, divenendo impopolare al punto da dover rinunciare alla candidatura per un secondo mandato. La sua scellerata gestione della crisi pandemica, inoltre, ha trasformato la città di Guayaquil e l’intero paese in un lazzaretto a cielo aperto, arrivando oggi a quota 246.000 contagi e 14.766 decessi.
In assenza del presidente in carica e dell’ex presidente Rafael Correa, la cui ricandidatura è stata impedita dalla destra reazionaria con tutti i mezzi leciti e illeciti, la battaglia per la presidenza del paese sudamericano vedrà probabilmente una sfida tra il candidato progressista Andrés Arauz e quello liberal-conservatore Guillermo Lasso. Secondo i sondaggi noti fino ad ora, Arauz, ex ministro di Correa tra il 2015 ed il 2017, sarebbe in testa alle intenzioni di voto.
Secondo i dati pubblicati, la coppia formata da Arauz e dal candidato vicepresidente Carlos Rabascall si troverebbe al comando dei sondaggi con il 37,4% delle preferenze. Tuttavia, la speranza di Arauz è quella di superare il muro del 40%, che, secondo la costituzione ecuadoregna, permette ad un candidato di aggiudicarsi la vittoria senza bisogno di ricorrere al secondo turno. In caso contrario, le forze reazionarie e conservatrici potrebbero coalizzarsi contro Arauz ed in favore della candidatura di Lasso, leader e fondatore del partito Creando Oportunidades (CREO), già secondo classificato alle elezioni di quattro anni fa, ed attualmente accreditato del 19,15%. Al terzo posto potrebbe invece classificarsi il leader indigeno Yaku Pérez, del partito Pachakutik (nome completo: Movimiento de Unidad Plurinacional Pachakutik – Nuevo País), con il 13,59%.
Arauz può soprattutto contare sull’appoggio dell’ex presidente Rafael Correa e del suo partito, Movimiento Revolución Ciudadana, che guida la coalizione denominata Unión por la Esperanza (UNES). Sin da ottobre, dopo aver incassato l’ostracismo delle autorità nei confronti delle sua candidatura, Correa ha dichiarato il proprio sostegno per la coppia Arauz-Rabascall. “Se non vinciamo in maniera netta, ci ruberanno le elezioni e non solo a livello presidenziale, ma anche per le legislative“, ha commentato Correa. “Vogliono evitare con tutti i mezzi l’ottenimento di una maggioranza da parte nostra nell’Assemblea, perché questa è la chiave per annullare tutte le atrocità che hanno commesso“, ha aggiunto l’ex presidente.
Correa ha puntato il dito contro il governo uscente, che non ha fatto altro che acuire la crisi sanitaria ed economica causata dalla pandemia: “L’Ecuador sta vivendo la peggiore crisi della sua storia. Nel 1999 abbiamo vissuto la crisi bancaria ed abbiamo subito un calo 5,4% del Pil, ma quest’anno è diminuito dell’11%, più del doppio“. Per questi motivi, il leader della Revolución Ciudadana ha affermato che il binomio Arauz-Rabascall è “il più appropriato nelle circostanze attuali. Se non abbiamo un governo per la stragrande maggioranza, continueremo a vedere le politiche attuali che acuiscono le crisi per la maggioranza, mentre altri recuperano grossi profitti“.
Le classi popolari ecuadoregne possono guardare con grande fiducia alle elezioni del 7 febbraio soprattutto in seguito al ritorno dei progressisti al governo in Bolivia, dove la vittoria di Luis Arce ha posto fine al governo golpista di Jeanine Áñez. I popoli dell’America Latina “non si lasciano ingannare e stanno riprendendo la marcia verso la giustizia e la prosperità“, ha commentato Correa al riguardo. Il successo di Arce in Bolivia ed ancor prima quello di Alberto Fernández in Argentina hanno rilanciato il progressismo latinoamericano dopo che, negli ultimi anni, le forze reazionarie e filostatunitensi avevano fatto di tutto per rovesciare i governi legittimi: “In Brasile c’è stato un colpo di stato parlamentare, in Bolivia un colpo di stato; in Ecuador il patto sociale chiamato democrazia è stato infranto e il programma che ha vinto alle urne è stato gettato via, sostituito dal neoliberismo. […] La risposta dei popoli con López Obrador in Messico, in Argentina con Alberto Fernández e in Bolivia con Luis Arce pone molta speranza per il ritorno dell’integrazione regionale“.
Tuttavia, in Ecuador come nel resto del continente latinoamericano, i nemici del progressismo non si arrenderanno tanto facilmente. Andrés Arauz ha pertanto lanciato un messaggio chiedendo la massima attenzione da parte degli osservatori internazionali, per prevenire eventuali brogli in favore dei candidati di destra: “Chiediamo agli osservatori internazionali e all’intera comunità internazionale di vigilare affinché i diritti di partecipazione politica dei nostri migranti all’estero non siano esclusi. Inoltre, solleviamo preoccupazioni circa l’eventualità che il Parlamento andino non possa essere eletto il 7 febbraio, che porterebbe al rischio di un annullamento delle elezioni“, ha detto Arauz. Le elezioni per il parlamento andino dovrebbero tenersi infatti l’11 aprile, data prevista per l’eventuale ballottaggio delle presidenziali in Ecuador.
Solamente una vittoria di Arauz potrà rilanciare l’economia dell’Ecuador dopo quattro anni di disastri sotto la presidenza Moreno. Il candidato progressista ha infatti proposto di prelevare 1.000 milioni di dollari dalle riserve del paese depositate in Svizzera (pari ad 8,08 miliardi di dollari) al fine di distribuirli ad 1 milione di famiglie in difficoltà, per un ammontare pari a 1.000 dollari a famiglia. Arauz propone anche la promozione dell’occupazione giovanile attraverso una convenzione tra Governo e settore privato per il reinserimento dei giovani, dove lo Stato pagherà il 50% dello stipendio e il datore di lavoro il restante 50%, un incremento degli investimenti in infrastrutture pubbliche e il reintegro dei professionisti del settore pubblico che sono stati licenziati arbitrariamente, tra le altre misure formulate