Geraldina Colotti
In una densa seduta, l’Assemblea Nazionale ha ricordato il 23 febbraio del 2019, quando il Venezuela ha respinto un’incursione armata, mascherata da aiuto umanitario, proveniente sia dalla frontiera con la Colombia, sia da quella con il Brasile.
Il Parlamento ha stabilito perciò che il 23 febbraio sarà un’altra data da celebrare come festa nazionale, la Giornata della Vittoria Popolare. Una giornata passata alla storia come la Battaglia dei Ponti, poiché ha avuto principalmente luogo tra il ponte Internazionale Simón Bolívar, quello Paula Santander, il ponte Tienditas e Unión, che uniscono il Venezuela con la Colombia. Un attacco multiforme, ha ricordato il presidente del Parlamento Jorge Rodriguez, organizzato da Washington e i suoi vassalli per far cadere il governo Maduro dopo l’autoproclamazione di Juan Guaidó. Un attacco preparato in Colombia con la “supervisione” diretta di ex presidenti del Cile e del Paraguay, di alti funzionari del governo statunitense e dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA). Una forma “moderna” di guerra asimmetrica, messa in scena con il pretesto di un concerto internazionale multimilionario. Gli scenari di guerra previsti – ha ricordato Jesus Farias – erano diversi: non solamente quello del Tachira, ma anche a Falcón, Zulia, Bolívar e alla frontiera con il Brasile. Almeno quattro fronti di guerra erano preparati per la difesa e il contrattacco, e alla fine il teatro principale ha avuto luogo nel Tachira, dove pure il popolo bolivariano ha celebrato la vittoria insieme al protettore dello Stato Freddy Bernal, uno dei protagonisti principali di quella resistenza: la resistenza di un popolo capace di tenere testa all’imperialismo più potente e “difendere il sogno del Socialismo bolivariano del secolo XXI”, ha detto ancora Farias. Un progetto che come asse centrale l’unione civico-militare costruita da Chavez e alla quale ora Maduro ha voluto aggiungere anche quella “di polizia”. Forze militari al servizio del popolo, i cui vertici si sono pronunciati per ribadire l’orgoglio di respingere ogni tipo di ingerenza esterna contro la sovranità del paese: a cominciare dal ministro della Difesa Padrino Lopez, che ha denunciato l’arresto di un militare a riposo, comprato con “1.000 dollari a settimana affinché fornisse informazioni sulle installazioni strategiche” all’intelligence colombiana, dunque alla Cia. Ivan Duque – ha detto a sua volta Jorge Rodriguez – ha trasformato la Colombia in un “grande accampamento paramilitari, riempito di terroristi dal quale pianificano i più orrendi crimini contro il Venezuela”.
Attacchi coperti e avallati dagli alleati degli Stati Uniti che, come l’Unione Europea, anziché sanzionare le quotidiane violazioni ai diritti umani commessi dallo stato colombiano, si dedicano a perseguitare il Venezuela bolivariano. “Stiamo affrontando un’aggressione economica multidimensionale, che ha ignorato gli appelli delle Nazioni Unite e del popolo venezuelano a bloccare le sanzioni in tempo di pandemia”, ha detto il presidente Maduro intervenendo a un segmento di alto livello della seduta numero 46 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Quindi, ha respinto le oltre 450 misure coercitive unilaterali imposte dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea, che hanno provocato sofferenze spaventose e premeditate al popolo venezuelano, privando il paese di almeno 30.000 milioni di dollari, che avrebbero potuto essere usati per i progetti sociali, ai quali il governo bolivariano continua a dedicare oltre il 70% delle entrate. Il presidente ha poi ribadito che non accetterà nessuna ingerenza e nessun meccanismo inquisitore contro il Venezuela. Affermazioni reiterate dopo l’annuncio di ulteriori “sanzioni” decise dall’Unione Europea anche contro deputati dell’opposizione moderata, eletti nelle parlamentari del 6 di dicembre che la UE non ha “riconosciuto”. In uno dei quattro punti in discussione – gli altri due hanno riguardato la sovranità sull’Essequibo e il rifiuto delle aggressioni xenofobe ai cittadini e alle sedi diplomatiche venezuelane in Perù – il Parlamento ha infatti respinto in blocco le sanzioni UE e invitato il governo a espellere l’ambasciatrice della UE a Caracas, Isabel Brilhante. “La decisione della UE in questo momento rispecchia una visione filosofica monarchica e irrispettuosa delle nazioni libere del mondo”, ha detto la deputata Ilenia Medina, che ha presentato la proposta al presidente del parlamento. Per parte sua, a nome dell’intera AN, Jorge Rodriguez ha presentato la lista dei 277 deputati, chiedendo che vengano sanzionati tutti.
Il governo bolivariano ha fatto seguito alla richiesta del parlamento attraverso il Ministro degli Esteri, Jorge Arreaza, che ha presentato personalmente la lettera di espulsione, entro 72 ore, alla rappresentante di Bruxelles. E prima aveva consegnato note di protesta ai rappresentanti di Francia, Spagna, Paesi Bassi e Germania. Già lo scorso luglio, dopo l’altra tornata di sanzioni imposta dalla UE, Brilhante aveva avuto un ultimatum di 72 ore per lasciare il paese, ma poi la misura era rientrata dopo una telefonata tra Arreaza e il capo della diplomazia UE Josep Borrell.
La UE si aspetta che vada così anche questa volta. Maduro ha risposto che “se l’Unione europea non opererà una rettifica delle sanzioni imposte ai funzionari venezuelani, non vi sarà mai più una ripresa del dialogo” bilaterale. Un dialogo che il governo bolivariano ha sempre cercato di rilanciare, anche a partire dalle posizioni che, come l’Italia, all’interno del cosiddetto Gruppo di Contatto, hanno assunto una posizione cosiddetta “neutrale” (né con Maduro, né con Guaidó), soprattutto sostenuta dal Movimento 5 Stelle.
Ma ora, come ha scritto il quotidiano El Pais, si aspetta la posizione di Biden. “Mediante una nazione europea cercavamo di permettere un dialogo fra tutti i settori dell’opposizione e il chavismo. Ma, dopo questo, non si può fare più nulla”, ha affermato Maduro. E ha aggiunto: “La UE crede di essere la nuova potenza imperiale a livello mondiale, e di avere il diritto di trattare i paesi latinoamericani come sue colonie, ma il Venezuela ha la sua dignità e sa rispondere a qualsiasi aggressione da qualunque parte provenga”.
Anche il Controllore Generale della Repubblica, Elvis Amoroso, ha esortato l’Unione Europea e i paesi alleati degli Stati Uniti a non ergersi a difesa dell’estrema destra venezuelana, accusata di pesanti atti di corruzione. Molti di loro – ha annunciato Amoroso alla stampa – sono stati inabilitati all’esercizio di incarichi pubblici per essersi rifiutati di adempiere all’obbligo di dichiarazione giurata del proprio patrimonio davanti alla massima autorità del controllo fiscale. Tra questi 28, l’ex deputato Guaidó, inabilitato per 15 anni. L’autoproclamato, ringalluzzito dalle nuove sanzioni UE, ha risposto con arroganza.
Da giorni, infatti, l’estrema destra aveva anticipato, esultante, l’arrivo delle sanzioni UE, ben supportate dalle lobby presenti nell’europarlamento, e capitanate da Leopoldo Lopez Gil, padre del golpista venezuelano leader di Voluntad Popular. E anche ora, i ricercati in fuga nei paesi europei, hanno protestato per l’espulsione della rappresentante di Bruxelles e minacciato nuovamente il governo Maduro.
E, a fronte della gigantesca voragine di corruzione e ruberia costituita dall’estrema destra venezuelana, sono parse ancor di più grottesche le parole di Jon Piechowski, Sottosegretario aggiunto USA per l’Ufficio dell’Emisfero Occidentale: “La corruzione è un flagello per tutto il mondo. Sappiamo che avvelena i governi e fa imputridire la società intera”, ha dichiarato Piechowski celebrando le sanzioni imposte ai funzionari del governo venezuelano, ai quali – ha ribadito – dev’essere impedito che si comprino le case in Florida.
Si dà il caso, però, che a vivere in residenze lussuose, sia in Florida che in Europa, siano gli esponenti dell’opposizione golpista venezuelana. Quegli stessi che hanno risposto alla chiamata di Ivan Duque per recarsi a riunione a Bogotà e preparare nuovi assalti al Venezuela bolivariano, come quello del 23 febbraio del 2019. Assalti politici e mediatici, tesi a demolire la credibilità del governo bolivariano e a sostenere la politica di “sanzioni”, basata sull’accusa di corruzione, narcotraffico, terrorismo e violazione dei diritti umani.
In questo contesto si situa la vergognosa campagna di discredito scatenata contro gli esperti indipendenti dell’ONU, prima l’avvocato Alfred de Zayas, poi la professoressa Alena Douhan, di cui abbiamo parlato sull’Antidiplomatico. Entrambi gli esperti, infatti, hanno spiegato in dettaglio i danni inflitti al popolo venezuelano dalle “sanzioni”. “Il Venezuela è costretto a vivere con solo l’1% della proprie risorse”, ha scritto Douhan, chiamando in causa i paesi che tengono bloccati i fondi venezuelani, e esortando gli organi competenti a garantire la mobilità dei funzionari bolivariani affinché possano rappresentare lo stato negli organismi internazionali. Un appello evidentemente caduto nel vuoto.