Venezuela, la UE può andare

di Fabrizio Casari. www.altrenotizie.org

Settantadue ore. Questo il tempo che il governo venezuelano ha concesso a Isabel Brilhante, Capo della delegazione dell’Unione Europea a Caracas, per lasciare il Paese. Finisce con una espulsione roboante la pazienza degli eredi di Bolivar e Chavez verso una Unione Europea incapace di far politica e riluttante ad apprendere le leggi della diplomazia. La misura venezuelana si è resa necessaria a seguito delle sanzioni comminate in modo illegittimo ed illegale da Bruxelles nei confronti di 19 alti funzionari del governo di Caracas.

Secondo Bruxelles i destinatari dei provvedimenti sanzionatori avrebbero “collaborato ad atti e decisioni che scuotono dalle fondamenta lo Stato di Diritto e come risultato di Violazioni dei diritti umani). La questione dei diritti umani è ormai divenuta la farsa con la quale l’impero in decadenza, figlio di Abu Ghraid e di Guantanamo, motiva la sua ansia di colpire gli avversari politici. Per quanto attiene alla UE, che non esprime una posizione ma solo un atteggiamento, la motivazione – come la decisione – è ad alto tasso di ipocrisia colonialista.

Le fondamenta dello Stato di Diritto, in Venezuela come in ogni altro Paese del mondo, vengono consolidate dall’accesso dei cittadini alle urne e dalla libera espressione del voto. In Venezuela governa il partito che ha vinto le elezioni. La UE rifiutò l’osservazione elettorale del 2020 in Venezuela, dicendo sin da prima del voto che si trattava di elezioni “poco credibili e trasparenti”, come se fosse la UE a poter decidere quali elezioni sono libere e quali no, a stabilire i parametri adatti alla democrazia. Magari mentre si inginocchia davanti ai monarchi europei ed omaggia i regimi fascisti di Ungheria e Polonia.

Ma il piano USA e UE non filò liscio. Nelle elezioni del 2020, i partiti dell’opposizione – AD, Copei, CMC, Avanzada Progresista e El cambio – disobbedirono alle indicazioni di Washingron e Bruxelles che non volevano la partecipazione al voto per poi poter definirlo “una farsa” e si presentarono, rivendicando la loro autonomia nel decidere il loro ruolo politico ed istituzionale. Ottennero circa il 20% dei voti, il che complicò parecchio i piani coloniali.

Perché nonostante le minacce e pure in presenza di una forte astensione, risultato della stanchezza di un paese assediato, le elezioni si erano tenute ed avevano segnato diversi punti a favore dei bolivariani: la partecipazione al voto, pur non la più elevata storicamente, era stata sufficiente in ossequio alla Costituzione; la percentuale guadagnata dall’opposizione assicurava legittimità elettorale e credibilità politica al voto; la nuova Assemblea esautorava Juan Guaidò dall’unica carica mai ottenuta (illegittimamente, peraltro) di Presidente dell’Assemblea e lasciava USA e UE con un nulla di fatto nelle mani. Guaidò era stato defenestrato dalla stessa opposizione che ha ora un suo rappresentante alla guida del Parlamento.

Se dunque il suo riconoscerlo come presidente ad interim si era rivelato un fiasco totale (57 Paesi su 193 rappresentati alle Nazioni Unite), adesso quegli stessi 57 avrebbero abbandonato il finto presidente al suo destino. Ed infatti diversi paesi, tra cui la Germania e persino Panama, hanno già dato il benservito a Guaidò. Il fracasso statunitense ed europeo è così giunto al capolinea ed è qui che l’irritazione coloniale guidata dai monarchici spagnoli, che possono contare con il sostegno di quei campioni di democrazia di Ungheria e Polonia, ha perso ogni ragione.

Le fantasie tardo-coloniali di Bruxelles

L’escalation dell’aggressività europea verso il Venezuela viene dai primi anni 2000 ma la punta massima di ostilità è stata raggiunta nel Febbraio del 2019, quando la UE decise di non riconoscere Maduro come legittimo presidente del Venezuela. Con una operazione farsa, violando le regole fondamentali del Diritto internazionale, un paese straniero decideva qual era il presidente legittimo, nominato non dai venezuelani ma via Twitter dall’allora vicepresidente USA, Mike Pence, che propose una versione moderna di William Walker. Venne scelto, per il ridicolo incarico, Juan Guaidò, politicante di mezza tacca di un partito minuscolo che si vide proiettare nel teatro della politica internazionale oltre ogni sua immaginazione ed ambizione. Guaidò, oltre ad aver rappresentato una delle cadute più basse della storia del Diritto Internazionale dalla prima metà del ‘900 ad oggi, risultò essere ladro di fondi e amico di narcos colombiani. A questo campione la UE pensò di riconoscere come Presidente e, se non vi riuscì formalmente fu solo per l’opposizione del governo italiano (per esclusivo merito del 5 stelle) che impedì il voto unanime e quindi l’ignominia europea del riconoscimento di un presidente mai candidato e mai eletto da nessuno oltre che da un twuitt di un cittadino USA.

Guaidò è divenuto in ogni luogo del mondo l’emblema del ridicolo ma la UE continua ad sostenerlo pur con crescente imbarazzo. Non perché ritiene che possa giocare un ruolo politico (visto che la stessa opposizione al chavismo lo disprezza) ma perché ha bisogno di utilizzarlo come giustificazione per aumentare progressivamente le pressioni su Caracas.

L’idiozia europea verso il Venezuela si nutre di quella spagnola, non importa quale sia la sfumatura di colore del governo. Chi imputasse alla Spagna un ruolo politico commetterebbe un errore. Popolari o Psoe, Vox o Podemos poco cambia: il governo spagnolo è una miscela di nostalgie coloniali ed esigenze energetiche. Nessuna tentazione di esercitare un ruolo politico degno di tal nome, solo il convincimento di poter disporre del suo ruolo di colonia fuori tempo massimo con tutta l’arroganza possibile e, nel contempo, obbedire alle esigenze di vendetta della Repsol, cacciata dal Venezuela anni orsono per essersi rifiutata di aggiornare le royalties sulle esportazioni di greggio. Peraltro il governo spagnolo non dimentica come il Comandante Chavez rese la presenza della Spagna nel continente poco più che residuo post coloniale, avendo di fatto svuotato di senso il ruolo di Madrid nel Mercosur.

C’è poi un aspetto che riferisce del disprezzo di Madrid verso leggi, norme ed istituzioni dei paesi latinoamericani. Madrid ha infatti eletto la parte fascistoide dell’opposizione venezuelana come interlocutore privilegiato. Il golpista Leopoldo Lopez è stato prima fatto riparare nell’ambasciata spagnola a Caracas, dove il nazi-coniglio si era rifugiato dopo il fallimento del golpe, e poi portato come un pacchetto a Madrid dove è stato ricevuto con tutti gli onori. Il che pone inquietanti interrogativi circa l’uso quantomeno disinvolto che l’Europa in generale e la Spagna in particolare assegnano alle loro ambasciate, ormai sempre più parte attiva nei processi di destabilizzazione dei paesi progressisti latinoamericani.

Ci permettiamo di domandare: cosa sarebbe successo se Caracas avesse aiutato a fuggire, e poi espatriato un dirigente Eta? O se finanziasse apertamente e sostenesse le rivendicazioni basche e catalane? Siamo certi che si parlerebbe di “complicità col terrorismo” o di “indebita ingerenza negli affari interni della Spagna”, giusto? E dunque a che titolo quello che vale per la Spagna non vale per chiunque altro? Per caso la più putrida delle monarchie esistenti sul pianeta avanza crediti con il Diritto Internazionale?

Come ha sottolineato Jorge Arreaza, Ministro degli Esteri venezuelano, sono ormai 55 i provvedimenti sanzionatori che l’Unione Europea attua verso il Venezuela e ciò senza nemmeno lo straccio di una procedura credibile. Credibilissima, invece, è la cacciata dell’ambasciatrice europea. Una decisione grave e dolorosa per Caracas, esito di una ostilità maniacale ed arrogante europea che se non viene tollerata nemmeno di fronte ad una potenza, meno che mai davanti ad un conglomerato di impotenza.

 

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