A San Lorenzo entrò nell’immortalità «quell’uomo di marmo» che, 147 anni dopo ci guida ancora con la sua massima di vita
Il ricordo della tragica giornata del 27 febbraio del 1874, a San Lorenzo, è sempre doloroso, distrugge.
Carlos Manuel de Céspedes era arrivato sino a questi paraggi della Sierra Maestra cercando un rifugio dopo la sua deposizione come Presidente della Repubblica in armi, nell’ottobre del 1873 dopo aver tollerato con stoica dignità, non pochi oltraggi e manipolazioni di coloro che non seppero valutare la grandezza dell’iniziatore delle nostre lotte per l’indipendenza.
Spogliato dalla scorta e dagli aiutanti, gli negarono la richiesta di un passaporto per partire legalmente da Cuba – mai come fuggitivo – evitando maggiori separazioni con la sua presenza nell’Isola, Céspedes visse i suoi ultimi giorni in totale umiltà, anche se circondato dagli abitanti che in segno di rispetto lo chiamavano tanti «vecchio Presidente».
In quel ritiro, il patrizio insegnava a due bambini a leggere e scrivere con una lavagna di legno che aveva confezionato. Giocava a scacchi e gli piaceva il caffè fatto in montagna e aveva una relazione amorosa con Francisca (Panchita) Rodríguez, una giovane del villaggio con la quale ebbe un figlio che non riuscì a conoscere.
Proprio nella casa della ragazza s’incontrava El Iniciador, quel fatidico 27 febbraio, quando una bambina avvisò della presenza degli spagnoli vicino a luogo. La sua sorte era segnata.
Forse, come un presagio del suo destino, Céspedes indossava il suo abito migliore e aveva rifiutato un invito a pranzo a una lega da San Lorenzo, dove mandò a chiedere scusa per la sua assenza a José Lacret, che lo accompagnava; mentre suo figlio Carlos Manuel era un po’ lontano.
Lì sferrò l’ultimo combattimento. Nonostante fosse quasi cieco, non ebbe dubbi ad usare il suo revolver, mentre correva tra gli arbusti per scappare.
Al bordo di un faraglione sparò due volte, l’ultima al sergente Gonzalo Ferrer, che gli rispose con uno sparo «molto ravvicinato».
Aveva 55 anni il Padre della Patria, quando «cadde nel burrone come un sole di fuoco che scende nel precipizio».
A San Lorenzo entrò nell’immortalità «quell’uomo di marmo» che, 147 anni dopo ci guida ancora con la sua massima di vita scritta in una lettera alla moglie Ana de Quesada: «Ho fatto quello che dovevo fare. Mi sono immolato davanti all’altare della mia Patria nel tempio della legge. Per me non si spargerà sangue a Cuba. La mia coscienza è molto tranquilla e aspettiamo il giudizio della storia».