Se fosse solo un ritratto non varrebbe la pena, le foto le consuma il tempo e a quelli che non abbiamo vissuto il momento non dicono il sufficiente; per questo ha ascoltato e letto varie volte quell’intervento di Fidel nel giugno del 1961, nella Biblioteca Nazionale che è diventato famoso come le sue Parole agli intellettuali
Rey Montalvo
Si deve lottare e vincere, si deve vivere e amare,
si deve ridere e ballare, si deve morire e creare
— Sara González
Se fosse solo un ritratto non varrebbe la pena, le foto le consuma il tempo e a quelli che non abbiamo vissuto il momento non dicono il sufficiente; per questo ha ascoltato e letto varie volte quell’intervento di Fidel nel giugno del 1961, nella Biblioteca Nazionale che è diventato famoso come le sue Parole agli intellettuali.
Sessant’anni dopo immagino qual giovane senza i protocolli imposti dalla diplomazia borghese, parlando liberamente a un auditorio ampio, pieno di giovani come lui e altri artisti e intellettuali che il trionfo della Rivoluzione ha legato con un’opera consolidata dagli anni.
Quello che è trionfato a Cuba nel 1959 è stata prima di tutto una rivoluzione culturale.
Sappiamo già che cultura non è solo la creazione artístico-lettararia e nemmeno è solo la sua dimensione cognitiva.
Una cultura è il DNA di una società, sono le sue rappresentazioni, le sue pratiche, sono le motivazioni dei soggetti, le loro aspirazioni.
La cultura è l’etica di un processo.
Quando la Rivoluzione giunse al governo, a Cuba si scatenò una lotta di poteri tra passato e presente per costruire una realtà distinta, una cultura per arrancare gli stili pre-concepiti della vita, i modi d’intendere e manifestarsi in società: per eliminare i miti dei costumi e delle presunte buone pratiche, basate in leggi dominatrici, che fiscalizzano un soggetto funzionale che intende quanto stabilito come unica realtà possibile.
Per questo la Rivoluzione è diventata sinonimo di sovranità, perché l’etica di un’Isola sotto sviluppata senza industrializzazione desarrollada, dipendente economicamente e culturalmente da un altro governo, termina sottomessa dalla globalizzazione delle sue pratiche, con un’identità mista in franco cammino all’annessione.
Dentro la Patria tutto, contro la Patria niente; e questo, a sua volta, è sinonimo di popolo.
Immerso in questo piano sociologico dell’epoca, senza uscire dal contesto, ascolto la voce di Fidel, anche se non rinuncio alla mia soggettività d’artista, perché nessuno vive spoglio da passioni,
nemmeno quell’interlocutore che nelle sue proprie Parole lo riconosce.
Il mio cumulo di letture del suo discorso è molto personale, le esperienze e i saperi influiscono nei modi di ricevere un messaggio.
Nonostante, ci sono principi chiari in quell’intervento di Fidel per i suoi contemporanei, il primo di questi è riconoscere che una rivoluzione, così come l’opera di qualsiasi artista non si fa per le generazioni del futuro, una rivoluzione passa alla posterità quando si fa per gli uomini e le donne del presente.
La generazione del presente necessita della sua epica naturale, delle sue parole, necessita rifondare quello che già appare obsoleto, per continuare leali a quel senso del momento storico che ha un flusso in ogni frase di Fidel nel giugno del 196.
Parole agli intellettuali diede forma allo scenario del dover essere della politica culturale cubana, non impose con questo ricette per i metodi.
Proclamò il diritto di una rivoluzione di difendersi quando questo è opera della necessità e della volontà di un popolo, anche se questo non significa che il governo, operando nel suo nome e nel diritto che gli corrisponde, sia infallibile.
La pratica della Rivoluzione negli anni successivi alle Parole confermò la sua volontà di difendere le libertà, di facilitare l’esercizio libero della creazione per gli artisti e i media e inoltre per difenderlo.
L’Unione degli Scrittori e degli Artisti di Cuba, fondata nell’agosto dello stesso 1961, era già in se stessa un risultato delle discussioni tra gli artisti e i massimi responsabili dello Stato.
Le dava corpo l’associazione naturale del gruppo, li concentrava per analizzare i problemi sui modi di fare arte.
La UNEAC è divenuta uno strumento per il dialogo permanente con le istituzioni incaricate di dirigere la cultura nel paese.
Quando il fanatismo politico e la cattiva interpretazione delle idee provocarono sequele nella vita personale di alcuni artisti, il fantasma della parametrazione mutilò la loro opera, e dal grigio quinquennio giunsero apprendistati.
In primo luogo confermò quanto danno fa il potere nelle mani di un burocrata, ma spinse anche la nascita della lealtà in quegli artisti
che intesero che la censura, la persecuzione e il discredito immorale non sono propri di un rivoluzionario, ma di opportunisti e vigliacchi.
La Rivoluzione non è mai restata statica, ha creato il Ministero di Cultura per sostituire un’entità senza efficacia di fronte alla nuova realtà dell’arte e delle intellettualità cubane e, progressivamente, avanzò nel suo interesse che gli artisti avessero spazi per il dibattito, per la critica costruttiva e la partecipazione reale nelle decisioni e nei processi che vi si riferiscono.
In questo XXI secolo ammiro, più di tutto la conseguenza tra le Parole … e le azioni seguenti di Fidel e della Rivoluzione, gli spazi e le possibilità che offre Cuba per lo sviluppo dei suoi artisti e intellettuali, le organizzazioni dove ci riuniamo e l’appoggio del Presidente della Repubblica all’arte libera e emancipatrice.