Il destino dell’opposizione venezuelana è sul tavolo dello Studio Ovale

Franco Vielma  https://misionverdad.com

Il prossimo scenario politico, programmato quest’anno nell’ambito delle elezioni per governatori e sindaci in Venezuela, suppone una serie di possibilità al di là delle elezioni a questi incarichi.

Per il quadro politico nel paese caraibico è controversa la possibilità di una distensione che potrebbe portare con sé importanti ripercussioni. Essa consiste nel ritorno, parziale o totale, all’arena elettorale di partiti e dirigenti dell’opposizione venezuelana che si sono esclusi dalle passate elezioni parlamentari.

Ma al di là di loro, la possibilità di un’elezione con questi partecipanti potrebbe minare enormemente la dichiarazione che in Venezuela “non ci sono elezioni libere”, che è uno dei nodi critici su cui si originano le misure coercitive e unilaterali che vengono applicate contro il paese.

Benché dagli USA e Unione Europea (UE) si sia proposto contestare la carica presidenziale in maniera estemporanea, le prossime elezioni saranno fondamentali per discernere l’evoluzione degli scenari politici.

L’OPPOSIZIONE ASTENSIONISTA, IN DISCUSSIONE

Recentemente Andrés Velásquez, dirigente del partito Causa R, ha riferito che il “presidente ad interim” Juan Guaidó ha chiesto a settori dell’opposizione di incontrarsi al fine di discutere se partecipare o meno alle elezioni regionali e municipali. Velásquez ha sottolineato che la partecipazione è già in discussione nell’Unità, ma non hanno raggiunto una decisione.

“Su impostazione dello stesso presidente Guaidó, avvieremo un dibattito relativo a questo tema e per il quale, personalmente, spero che avremo il prima possibile una decisione definitiva”, ha detto in conferenza stampa, da Caracas , accompagnato da Delsa Solórzano, Freddy Guevara e Biagio Pilieri.

Da parte sua, la dirigente del partito Encuentro Ciudadano, Delsa Solórzano, ha assicurato che l’obiettivo è ottenere libere elezioni, con condizioni e che si ristabilisca la legalità ai partiti politici “che si restituiscano i loro colori, simboli e carte alle loro legittime autorità”.

Prima di questi annunci, che erano stati preceduti da continui rifiuti da parte dello stesso Guaidó a partecipare a elezioni “indette dal chavismo”, aveva avuto luogo una visita di una delegazione del Regno di Norvegia che, ricordiamo, aveva mediato tra chavismo e l’opposizione affiliata a Guaidò, nel 2019.

All’inizio di febbraio, il presidente Nicolás Maduro ha reso pubblico l’approccio con la suddetta delegazione per discutere “questioni di natura politico-diplomatica”, senza fornire ulteriori dettagli.

D’altra parte, l’ex deputato Juan Guaidó ha confermato di aver incontrato la suddetta delegazione per ragioni “di routine”, senza offrire ulteriori indizi.

Successivamente, il chavismo, dalla sua attuale posizione di assoluta leadership nel parlamento nazionale, ha indotto con oppositori nell’Emiciclo e con fattori di opposizione fuori dal parlamento in posizione dietro le quinte, un nuovo ciclo di candidature per una nuova elezione delle autorità elettorali del paese.

Indubbiamente ci sono, dietro le quinte dell’opposizione, movimenti che puntano con sempre maggiore consistenza che gli astensionisti di questo settore politico possano lanciarsi, parzialmente o totalmente, nell’arena elettorale.

Si può considerare che di fatto sono le nuove realtà e le gravitazioni politiche sul Venezuela quelle che stanno spingendo gli oppositori astensionisti ad avvicinarsi all’arena elettorale.

Considerando che, in assenza di alcuni partiti e dirigenti, alle elezioni del 6 dicembre, è un dato di fatto che sia emersa una nuova opposizione che ha attirato alcuni seguaci dell’estinta Mesa de Unidad Democrática e del 4G (Voluntad Popular, Primero Justicia, Acción Democrática y Un Nuevo Tiempo) aprendosi il passo con denominazione e identità politica propria.

L’astensione che ha segnato, in gran parte, i seguaci dell’anti-chavismo, ha esposto un capitale politico che resta prigioniero e che potrebbe partecipare favorevolmente per i partiti del 4G se questi andassero alla ricerca di incarichi regionali e comunali.

Va aggiunto che insieme al logorio economico che ha sofferto il paese a seguito del blocco che si è espresso elettoralmente nell’apatia e nell’astensione registrate lo scorso dicembre, è evidente che gli oppositori vedono ora un quadro di possibile fertilità politica in una massa critica che resta apatica, delusa e relegata a partecipare alle elezioni per molteplici ragioni, tra cui quella di non trovare una rappresentatività elettorale.

Ma l’elemento che più li spinge ad andare alle elezioni e con esso, contribuire benché non intendono sbloccare il quadro politico interno, è stata la persistenza del chavismo al potere e la fallita agenda del  governo fake di Guaidó e del blocco. Queste strategie, evidenziate e criticate, oggi, nel loro evidente fallimento, hanno evidenti tratti nell’indebolimento del consenso che li hanno promossi.

Ora la UE non riconosce Guaidó come “presidente ad interim”, inoltre il cambio di comando a Washington potrebbe ricalibrare la sua strategia privandola della cosiddetta “cessazione dell’usurpazione” per andare a “elezioni libere”, ma con il presidente Maduro in carica, disabilitando, di fatto, lo scopo politico dell’esistenza della “carica” di Guaidó.

È anche evidente che la fine del ciclo parlamentare su cui si sosteneva la “presidenza” di Guaidó, ha finito per relegarlo, ancora di più, dalla scena internazionale e questo è stato chiaramente dimostrato dal ritiro del sostegno alla struttura diplomatica parallela in diversi paesi.

Sebbene recentemente il segretario di Stato USA Antony Blinken abbia avuto una telefonata con Guaidó e lo abbia chiamato “presidente ad interim”, il cambio di passo dell’amministrazione Biden è stato evidente rispetto al Venezuela. Fino ad ora e almeno nella scena narrativa e comunicativa, non ha lo stesso impulso che ha avuto l’amministrazione Trump e  sicuramente armeranno l’assedio al chavismo da una posizione più discreta e intelligente, poiché tutte queste possibilità sono attraversate da una perdita d’interesse per il Venezuela vista la momentanea assenza di una disputa elettorale sul suolo USA che includa lo stato della Florida come pezzo chiave.

CI SARÀ LA “BENEDIZIONE” DI WASHINGTON?

È evidente che gli anti-chavisti venezuelani sono sempre più costretti dalle circostanze ad abortire l’agenda dell’auto-esclusione dall’arena elettorale venezuelana.

Sta ai suoi dirigenti che sono determinati a partecipare, resistere alle pressioni interne ed esterne che cercano di costringerli a rimanere nell’agenda del naufragio astensionista, ma ancor più importante è per loro dare corso e viabilità a un ritorno alle urne senza la cosiddetta “cessazione dell’usurpazione”, consolidatasi come mantra politico e scommessa narrativa difficilissima da manovrare ora che è fallita.

Ma il denominatore e fattore chiave affinché il suo ritorno elettorale sia credibile è la possibilità di avere o meno l’appoggio USA per la sua presenza alle elezioni; scenario oggi estremamente difficile da prevedere.

S’intenda con tutto ciò che le forze di opposizione venezuelane stanno ora affrontando pressioni multidirezionali perché si assumano come operatori di secondo livello in politica dopo che l’amministrazione Trump ha assunto la leadership e il compito, nelle sue mani, di detronizzare il chavismo, senza riuscirci. Questione questa che lascia un enorme costo pagato dagli oppositori venezuelani, vale la pena dirlo.

Per loro, le pressioni ora arrivano persino dalla UE, visto che questa istanza ha recentemente emesso una batteria di misure coercitive contro funzionari e dirigenti chavisti e dell’opposizione, classificando gli oppositori come “funzionari del regime di Maduro”, per solo aver partecipato alle elezioni parlamentari. Sebbene questa misura sia intesa come esclusiva ai citati nella lista di sanzionati, la verità è che è chiaramente ampia e intimidatoria per coloro, che nell’anti-chavismo, stanno considerando di partecipare alle elezioni quest’anno, imponendo loro nuove pressioni e bloccando il quadro politico interno.

Gli scenari previsti quest’anno non sembrano affatto lineari. Sono intricati e complessi a causa della molteplicità di attori e interessi impegnati e coinvolti.

Uno scenario possibile è che la mancanza di unanimità o le pressioni sugli anti-chavisti, oggi sul lato dell’astensione, ricadano approfondendo, ulteriormente, le divisioni in quelle forze. Ciò significa che una parte degli astensionisti ritornino nell’arena e altri restino fuori. In questo scenario, che potrebbe essere uno dei peggiori, implica che gli USA e i loro alleati non riconosceranno neppure quelle elezioni e continuerebbe intatto il blocco del paese.

Implica anche che i settori astensionisti saranno sempre più piccoli, lontani dalla politica interna e saranno operatori esclusivi del fronte esterno, rendendo irrealizzabile la lotta contro il chavismo attraverso canali politici.

Il destino degli oppositori astensionisti, e con esso una parte fondamentale dello stallo politico in Venezuela, non hanno definizione a Caracas ma a Washington. Il nuovo governo USA non ha ancora lasciato segnali chiari e definitivi, a scena aperta, del suo approccio al Venezuela.

È necessario chiarire, il riferimento al fatto che i destini dell’opposizione sono nelle mani dello Studio Ovale è puramente simbolico. L’attuale presidente USA, forse, neppure è nelle  facoltà fisiche e mentali per decidere questi corsi (ma questa è un’altra questione), quindi, questo sicuramente non è letteralmente sulla sua scrivania. In realtà si starebbe definendo dietro le quinte della burocrazia, del lobbismo e dell’analisi strategiche, tratti distintivi dei Democratici al potere e delle loro sinuose strategie.


EL DESTINO DE LA OPOSICIÓN VENEZOLANA ESTÁ SOBRE LA MESA EN LA OFICINA OVAL

Franco Vielma

El escenario político próximo, programado este año dentro de las elecciones para gobernaciones y alcaldías en Venezuela, supone un conjunto de posibilidades más allá de la elección a estos cargos.

Para el cuadro político en el país caribeño está en disputa la posibilidad de una distención que podría traer consigo importantes repercusiones. Ella consiste en el regreso parcial o total al ruedo electoral de partidos y dirigentes de la oposición venezolana que se han excluido de las pasadas elecciones parlamentarias.

Pero más allá de ellos, la posibilidad de una elección con estos participantes podría quebrar enormemente la declaración de que en Venezuela “no hay elecciones libres”, que es uno de los nudos críticos sobre los cuales se erigen las medidas coercitivas y unilaterales que se aplican contra el país.

Aunque desde Estados Unidos y la Unión Europea (UE) se ha propuesto llevar a disputa el cargo presidencial de manera extemporánea, las elecciones en ciernes serán claves para discernir la evolución de los escenarios políticos.

LA OPOSICIÓN ABSTENCIONISTA, A DISCUSIÓN

Recientemente Andrés Velásquez, líder del partido Causa R, informó que el “presidente interino” Juan Guaidó pidió a sectores de la oposición reunirse con el fin de discutir asistir o no a elecciones regionales y municipales. Velásquez señaló que la participación ya se encuentra en debate en la Unidad, pero no han llegado a una decisión.

“Por planteamiento del propio presidente Guaidó vamos a arrancar un debate relacionado con este tema y para lo cual, en lo personal, espero que lo más pronto posible tengamos una decisión definitiva”, expresó en rueda de prensa, desde Caracas, acompañado por Delsa Solórzano, Freddy Guevara y Biagio Pilieri.

Por su parte, la lideresa del partido Encuentro Ciudadano, Delsa Solórzano, aseguró que el objetivo es alcanzar unas elecciones libres, con condiciones y que se restablezca la legalidad a los partidos políticos “que se les devuelvan sus colores, sus símbolos y tarjetas a sus legítimas autoridades”.

Anterior a estos anuncios, que habían estado precedidos por sostenidos rechazos del mismo Guaidó a asistir a unas elecciones “convocadas por el chavismo”, tuvo lugar una visita de una delegación del Reino de Noruega, que recordemos, había efectuado mediaciones entre el chavismo y la oposición afiliada a Guaidó en 2019.

A principios de febrero el Presidente Nicolás Maduro hizo público el acercamiento con dicha delegación para tratar “asuntos de carácter político-diplomático”, sin dar mayores detalles.

Por otro lado, el exdiputado Juan Guaidó confirmó haberse reunido con dicha delegación por cuestiones de “rutina”, sin ofrecer mayores pistas.

Seguidamente el chavismo desde su actual posición de liderazgo absoluto en el parlamento nacional, convidó con los opositores en el Hemiciclo y con factores opositores fuera del parlamento en posición tras bastidores, un nuevo ciclo de postulaciones para una nueva elección de las autoridades electorales del país.

Sin dudas, hay entretelones de la oposición movimientos que apuntan con cada vez más consistencia que los abstencionistas de este sector político puedan lanzarse al ruedo electoral de manera parcial o total.

Podría considerarse que de hecho son las nuevas realidades y las gravitaciones políticas sobre Venezuela, las que están empujando a los opositores abstencionistas a acercarse al ruedo electoral.

Considerando que, en la ausencia de algunos partidos y dirigentes en las elecciones del 6 de diciembre, es un hecho que una nueva oposición ha emergido, cautivando a algunos seguidores de la extinta Mesa de Unidad Democrática y del 4G (Voluntad Popular, Primero Justicia, Acción Democrática y Un Nuevo Tiempo) abriéndose paso con denominación e identidad política propia.

La abstención que marcó en gran medida a los seguidores del antichavismo, ha expuesto un capital político que sigue cautivo y que podría participar favorablemente para los partidos del 4G si estos van a una búsqueda de cargos regionales y municipales.

Hay que agregar que aunado al desgaste económico que ha sufrido el país a consecuencia del bloqueo que se ha resignificado electoralmente en la apatía y abstención registrada en diciembre pasado, es evidente que los opositores ven ahora un cuadro de posible fertilidad política en una masa crítica que se mantiene apática, decepcionada y relegada de participar en elecciones por razones múltiples, entre ellas, la de no hallar una representatividad electoral.

Pero el elemento que más los empuja a ir a elecciones y con ello, contribuir aunque no lo pretendan a destrabar el cuadro político interno, ha sido la persistencia del chavismo en el poder y la fallida agenda del gobierno fake de Guaidó y del bloqueo. Estas estrategias, remarcadas  y cuestionadas hoy en su evidente fracaso, tienen rasgos claros en el debilitamiento los consensos que las auparon.

Ya la UE no reconoce a Guaidó como “presidente interino”, adicionalmente el cambio de mando en Washington podría recalibrar su estrategia despojándola del llamado “cese de la usurpación” para ir a unas “elecciones libres”, pero con el Presidente Maduro en el cargo, inhabilitando de facto el fin político de la existencia del “cargo” de Guaidó.

También es evidente, que el fin del ciclo parlamentario sobre el cual se sostenía la “presidencia” de Guaidó, terminó relegándolo más aún de la escena internacional y esto ha sido claramente demostrado en el retiro del apoyo a la estructura diplomática paralela en varios países.

Aunque recientemente el Secretario de Estado norteamericano Antony Blinken tuvo una llamada telefónica con Guaidó y le llamó “presidente interino”, el cambio de ritmo de la Administración Biden ha sido evidente con respecto a Venezuela. Hasta ahora y al menos en la escena de lo narrativo y comunicacional, no cuenta con el mismo ímpetu que tenía la Administración Trump y seguramente instrumentarán el asedio al chavismo desde una posición más discreta e inteligente, pues todas estas posibilidades están atravesadas por una pérdida del interés por Venezuela ante la ausencia momentánea de una disputa electoral en suelo estadounidense que comprenda al estado de Florida como una pieza clave.

¿HABRÁ LA “BENDICIÓN” DE WASHINGTON?

Es evidente que los antichavistas venezolanos están siendo conminados cada vez más por las circunstancias, a abortar la agenda de autoexclusión del ruedo electoral venezolano.

Queda de parte de sus dirigentes que están resueltos a participar, soportar las presiones internas y externas que pretenden obligarlos a quedarse en la agenda de naufragio abstencionista, pero más importante es para ellos aún es darle cauce y viabilidad a un regreso a las urnas sin el llamado “cese de la usurpación”, el cual se consolidó como un mantra político y apuesta narrativa muy difícil de maniobrar ahora que ha fracasado.

Pero el factor denominador y clave para que su regreso electoral sea creíble, es la posibilidad de contar o no con el respaldo de Estados Unidos a su asistencia a unas elecciones, escenario hoy, sumamente difícil de prever.

Entiéndase con todo esto, que las fuerzas opositoras venezolanas lidian ahora con presiones multidireccionales a causa de asumirse como operadores de segundo nivel en la política luego de que la Administración Trump tomó el liderazgo y la tarea en sus manos de destronar al chavismo, sin lograrlo. Cuestión esta que deja un enorme costo que pagan los opositores venezolanos, vale decirlo.

Para ellos, las presiones ahora vienen incluso de la UE, considerando que recientemente esta instancia emitió una batería de medidas coercitivas contra funcionarios y dirigentes chavistas y opositores, catalogando a los opositores de “funcionarios del régimen de Maduro”, por solo haber participado en las elecciones parlamentarias. Aunque esta medida se entiende como exclusiva a los referidos en esa lista de sancionados, lo cierto es que es claramente extensiva y de intimidación a quienes en el antichavismo estén considerando asistir a unas elecciones este año, imponiéndoles nuevas presiones y trabando el cuadro político interno.

Los escenarios previstos este año, no parecen lineales en lo absoluto. Son intrincados y complejos por la multiplicidad de actores e intereses comprometidos e involucrados.

Un escenario posible, consiste en que la falta de unanimidad o las presiones sobre los antichavistas hoy en la acera de la abstención, recaigan profundizando más las divisiones en esas fuerzas. Ello significa que una parte de los abstencionistas regresen al ruedo y otros se mantengan fuera. En ese escenario, que podría ser de los peores, implica que Estados Unidos y sus aliados tampoco reconocerían esas elecciones y continuaría intacto el bloqueo al país.

También implica que los sectores abstencionistas serán cada vez más pequeños, alejados de la política interna y serán operadores exclusivos desde el frente externo, haciendo inviables la lucha contra el chavismo por vías políticas.

El destino de los opositores abstencionistas y con ello una parte clave del encallo político en Venezuela, no tienen definición en Caracas sino en Washington. El nuevo gobierno estadounidense no ha dejado todavía las señales claras y definitivas de su abordaje a Venezuela en la escena abierta.

Hay que aclarar, la referencia a que los destinos de la oposición están en manos de la Oficina Oval, es meramente simbólica. El actual presidente estadounidense quizá ni siquiera esté en las facultades físicas y mentales para decidir estos derroteros (pero este es otro tema), por lo tanto, esto seguramente no está literalmente sobre su escritorio. En realidad, se estaría definiendo tras los bastidores de la burocracia, el cabildeo y los análisis estratégicos, marcas de distinción de los demócratas en el poder y sus estrategias sinuosas.

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