Una pagina di terrorismo contro Cuba
Hernando Calvo Ospina www.lantidiplomatico.it
Quel venerdì 4 marzo 1960 il mercantile francese La Coubre attraccò al molo de L’Avana verso le h 9,30. Aveva caricato merci nei porti di Amburgo, Anversa e Le Havre, con destinazione Stati Uniti, Messico e Haití.
Assunte le misure di sicurezza, venne autorizzato l’accesso alla nave del personale straniero. Immediatamente, come riferisce il capitano in seconda Jean Le Fèvre nella sua testimonianza scritta, una ventina di soldati armati salirono a bordo e si disposero soprattutto sulla parte posteriore della nave, dopo il posto di comando.
Poi, debitamente identificati, salirono gli scaricatori. Alle h 11,00 si cominciò a scaricare le merci stivate nella parte di prua della nave. Nello stesso momento Le Fèvre consegnò ad un marinaio le chiavi per aprire i lucchetti che, eccezionalmente, chiudevano la stiva VI, situata all’estremità posteriore. Le gru della nave cominciarono a sollevare e depositare sul molo 967, ingabbiate nelle reti, le casse di legno che contenevano un milione e mezzo di munizioni. Questa operazione durò fino alle h 14,45.
Le Fèvre ordinò di aprire un altro settore di quella stiva e si effettuò lo scarico di 525 casse che contenevano 25.000 granate. Questa fornitura di armi era stata venduta dalla Fabrique Nationale d’Armes de Guerre del Belgio, e imbarcata ad Anversa fra il 15 e il 16 di febbraio.
Ne La Coubre c’erano due passeggeri, oltre ai 36 membri dell’equipaggio: un sacerdote francese che andava in Messico, e un giornalista statunitense, Donald Lee Chapman. Fu lui che ci riferì per telefono che in quel giorno, dopo pranzo, s’era installato fra le merci in coperta per godersi il sole. “mi ricordo che non si poteva passare dietro. A bordo c’era una bella atmosfera. Non ero lì da molto quando tutto ha cominciato ad esplodere”.
Il capo sala macchine di allora, Marcel Guérin, ci ha riferito a Le Havre che mancava poco alle h 15 quando decise di andare nella sua cuccetta per scrivere una nota alla moglie. “avevo appena scritto “Cara”che sento un’esplosione indefinibile. La nave salta in avanti come un missile. Ho pensato che in sala macchine fossero esplosi l’olio o il vapore. La paratia della mia camera era andata in pezzi e il lavabo era crollato sul mio cuscino”.
Guérin corse in sala macchine, che cominciava a riempirsi di fiamme e fumo. Coi suoi aiutanti tagliò l’elettricità, ma non riuscì a fermare il motore nè a chiudere la porta stagna. Data la situazione e vedendo che l’acqua cominciava ad entrare uscirono dal locale.
Le Fèvre era appena uscito dall’ufficio del capitano quando avvenne l’esplosione. Pensò che fosse avvenuta sul molo, ma in coperta era tutto confusione e grida; la nave, inclinatasi sulla destra di 15 gradi, s’era allontanata dal molo per 4 metri; la parte di poppa era in rovina.
La storica Adelaida Béquer a L’Avana ci ha raccontato: “fu un’esplosione così enorme che ho creduto che gli USA avessero iniziato ad invaderci. Non dimenticherò mai quell’enorme nuvola di fumo, e l’oscurità”.
Con il gigantesco fungo di fumo salivano in alto pezzi di metallo, legno e frammenti di granata che poi ricadevano in un raggio di 500 metri.
Le Fèvre, una volta informato da Guérin, ordinò di abbandonare la nave. Sapendo quanto combustibile ed esplosivi c’erano, suppose un’altra esplosione, più violenta. Alcuni si buttarono in acqua, ed altri scesero grazie ad una rete lanciata da marinai e da cubani. Tutti si aiutavano. Il capitano fu caricato a spalla perché una porta lo aveva colpito, rompendogli una gamba. Il prete scappò appena arrivato a terra, poi, ore dopo, si presentò in un commissariato di polizia.
Pompieri, personale medico, polizia, militari e vari cittadini arrivarono in tempo record per prestare aiuto, senza far caso ai francesi che strillavano di allontanarsi dalla nave.
Il gruppo s’era allontanato di 300 metri quando avvenne la seconda esplosione: “erano circa le h 15,40”, scrisse Le Fèvre.
Questa fu più letale dato il numero di soccorritori presenti, e avrebbe perfino potuto uccidere diversi dirigenti del paese, come Che Guevara, che in quanto medico cominciava ad assistere i feriti intorno al molo, o Fidel e Raúl Castro, a cui mancavano 300 metri per arrivare al molo.
Rosario Velasco, la vedova di Arturo Garcia ci fa provare quel che ha vissuto:“io lo sapevo che lui doveva scaricare una nave. Per questo andai al porto però non mi lasciarono passare. Qualcuno mi disse che era morto, e allora cominciai a cercarlo negli ospedali. Così vidi mutilati e brandelli di corpi. Lo ritrovai e per poco non lo riconosco: era tutto nero, le spalle piene di schegge e con le ossa rotte. Passò soffrendo 9 giorni”.
Il marinaio Jean Robevieux, raccontò: “Un cubano con le gambe strappate domandava aiuto e urlava di dolore Era orribile. L’uomo mutilato tentava inutilmente di rialzarsi puntandosi sui gomiti e sulle mani , ma ricadeva sempre”.
Guérin ci dice: “il giorno dopo ho visto dei cubani, inconsolabili, tirar fuori, con secchi e bastoni, dalle stive inondate della nave e dal mare pezzi d’esseri umani. Come se stessero pescando.”
Si calcola che ci furono 70 morti, più di un centinaio di feriti e 27 dispersi. Sei membri dell’equipaggio morirono; due furono ritrovati smembrati nelle acque della baia; si constatò la morte di quattro attraverso brandelli di vestiti: l’esplosione li aveva disintegrati. Tutti stavano controllando lo scarico delle armi.
Alle 22 Fidel Castro convocò il Consiglio dei Ministri. Venne stanziato l’ammontare di un milione di dollari per aiutare le famiglie dei feriti e dei morti, comprese le famiglie dei 6 marinai. Tre settimane dopo, il 23 marzo, una delegazione della Centrale Lavoratori di Cuba (NdT- l’acronimo in spagnolo è CTC), consegnò a Parigi diecimila dollari ad ogni famiglia.
Poco dopo la seconda esplosione iniziarono le indagini. All’alba del 5 marzo, Castro ed altri dirigenti rivoluzionari esaminarono quanto raccolto.
I servizi di sicurezza ascoltarono per primi i membri dell’equipaggio. All’esterno del molo furono fatti salire in un camion militare e portati allo Stato Maggiore delle Forze Armate, situato non lontano. “Ci domandarono dove avevamo caricato le munizioni; in quali porti avevamo attraccato; quando erano saliti a bordo i due passeggeri; e se avevamo notato qualcosa di anormale ”, raccontò il capitano in seconda nel suo rapporto. Guérin ci riferì che si trattò di una conversazione più che di un interrogatorio. Diplomatici tunisini fecero da traduttori.??
Poi arrivarono Fidel Castro, Che Guevara e il presidente Osvaldo Dorticós che si interessarono solo del loro stato d’animo. Dopo due ore furono trasferiti, in quanto “vittime”, nel centrale Hotel Plaza. Lì ricevettero la visita di Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir, che si trovavano a Cuba di passaggio. L’Ambasciatore francese fece atto di presenza solo il giorno dopo.
Qualche settimana dopo quasi tutti tornarono a casa, però Le Fèvre, Guérin, ed altri marinai dovettero restare per sei mesi, in attesa che la nave venisse tirata in secco e riparata da una impresa cubana, per esser poi rimorchiata in Francia.
Su richiesta di Le Fèvre, Chapman smise di collaborare con i pompieri e andò in una stazione di polizia per chiamare il rappresentante francese della compagnia navale a Cuba, che non era presente all’arrivo della nave. Poi parlò con la sua Ambasciata. Quindi fu fermato e portato allo Stato Maggiore.
Alla fine degli interrogatori arrivarono Fidel Castro e Che Guevara. “Castro non m’ha accusato di niente. Mi ha domandato se credessi che fosse un sabotaggio, ma io non ne sapevo niente. E’ solo all’arrivo a Cuba che il capitano m’ha informato che c’erano esplosivi a bordo, ma non immaginavo in questa quantità”, ci ha riferito Chapman.
Lunedì 7 marzo venne autorizzato a salire su un aereo per Miami.
Il sabato 5 il Segretario Generale della Marina Mercantile francese ed il direttore della Compagnie Générale Transatlantique, impresa statale proprietaria de La Coubre, mandarono a L’Avana una “Missione informativa”. Le società assicuratrici della nave e delle merci procedettero nello stesso modo.
I primi funerali si tennero nel pomeriggio di sabato. Le auto con le bare percorsero cinque chilometri di strade quasi tappezzate coi fiori. Castro, allora Primo Ministro, pronunciò un discorso di saluto su un improvvisato palco a pochi metri dal cimitero Colón. Sartre e de Beauvoir furono invitati a salire e da lì scoprirono, stupefatti, un mare di persone in lutto, forse mezzo milione.
Mano a mano che parlava, Castro dava minuziose spiegazioni dei fatti, tanto che Sartre poi avrebbe scritto: “ho assistito al rendiconto minuzioso e preciso di un’indagine poliziesca”.
Se si legge quel discorso e lo si compara coi diversi rapporti presentati nelle settimane successive dai membri della Missione e delle assicurazioni, si vede che la descrizione dei fatti è quasi identica.
La prima esplosione fu a bordo. Delle 1.492 casse, erano state scaricate quelle che contenevano proiettili e 20 casse di granate erano già state depositate sul molo.
A proposito delle cause, per esempio, Louis J. Audigou, rappresentante del Segretario Generale della Marina Mercantile francese, concluse nel suo rapporto: “…queste informazioni e constatazioni portano a pensare che un errore nella qualità della merce è improbabile e che un incidente involontario nelle operazioni di scarico è poco probabile…”
I marinai assicurarono che non ci furono grida o rumori per distacco di una cassa dalla rete che trasportava le granate. Castro non si accontentò di questo: il sabato mattina chiese che si lanciassero da un aereo diverse casse con granate di quel tipo. Nessuna esplose. Ci spiegò Alberto León Lima, allora autista di Castro: “il fatto è che erano da lanciare con un fucile, però prima bisognava toglier loro la sicura altrimenti non esplodevano neanche a tirarle contro un carrarmato, neanche fossero state disintegrate.”
Sulla seconda esplosione, diverse persone dell’equipaggio credettero che si fosse prodotta nell’hangar dato che avevano sentito piccoli scoppi fra le casse di munizioni, vicino alle 20 casse con granate.
Comunque l’agente della principale assicurazione, Lloyd di Londra, John R.Wheeldon, spiegò nel suo rapporto che con la prima esplosione molte casse caddero nel fondo della nave, lasciando uscire granate. Quelle che non finirono in acqua, restarono esposte all’incendio, e furono quelle che esplosero quaranta minuti dopo.
Fino a questo punto arrivarono le indagini degli inviati a L’Avana. Non era passata una settimana che i loro telex annunciavano che arrivare alla verità sarebbe stato complicato. Forse è per questo che il 10 marzo la direzione della compagnia marittima dette questa linea di condotta che, stranamente, le assicurazioni accettarono: “Attualmente, noi non abbiamo l’intenzione di cercare la causa dell’incidente, quel che importa è sapere se «La Coubre» dev’essere considerata come perduta oppure se, al contrario, è possible riportarla a galla”. E’ quanto venne riaffermato giorni dopo quando Audigou chiuse il suo rapporto sostenendo: “è impossibile in assenza di prove formali concludere definitivamente sulla causa (o sulle cause) della prima esplosione”.
Il fatto è che restava una sola possibilità, difficile da riconoscere per tutte le implicazioni che poteva comportare. Quel 5 marzo Castro assicurò: “Lo spostamento di una delle casse ha provocato l’innesco di un detonatore che ha scatenato l’esplosione”.
Alcuni mesi dopo, il 14 giugno, gli si diede ragione in un rapporto riservato del Ministero degli Esteri del Belgio, realizzato in base a una relazione “preliminare” dell’autorità giudiziaria di quel Paese: “Non è impossibile che esistano meccanismi ad orologeria capaci di innescarsi dopo un tempo superiore a 14 giorni e che, d’altra parte, possano esistere anche congegni senza meccanismo capaci di esplodere al momento del sollevamento di un carico dove sono posizionati…”??
Dunque sarebbe stata un’azione terroristica?
Però, chi avrebbe potuto installare la trappola mortale? Castro assicurò che nessuno dei lavoratori cubani sapeva che avrebbe scaricato quella nave, perché dipendeva da un sorteggio. Parimenti scartò l’ipotesi che fosse stato un membro dell’equipaggio o i passeggeri: “Si fa fatica ad immaginare che qualcuno creda possibile far esplodere trenta tonnellate d’esplosivo in un’imbarcazione, uscendone indenne”. E per di più, con l’alta possibilità dell’esplosione del combustibile, cosa che non accadde per il pronto intervento dei pompieri.
Esposti tutti gli elementi, sostenne senza mezzi termini: “E fra coloro che non volevano che noi ricevessimo quelle armi, c’erano i funzionari del Governo statunitense”.
Su questo, il ricercatore cubano Tomás Diez Acosta ci ha detto: “La prima misura contro Cuba è stata quella di impedire che le si vendessero armi. E la rivoluzione doveva armarsi per far fronte alle diverse aggressioni che l’assalivano”. Washington non volle venderle neanche i pezzi di ricambio per quelle già in uso.
Vennero fatte pressioni a governi europei perché non venisse consegnato l’armamento che la dittatura aveva già pagato. Quindi Londra si rifiutò di fornire 15 aerei, senza però restituire il denaro.
A L’Avana lo storico René González Barrios ci ha precisato che per acquistare nuovi armamenti “Cuba si rivolge ai paesi europei, non all’Unione Sovietica, e il Belgio si fa avanti”.
L’ex ufficiale della Marina francese, Joseph Le Gall, scrisse: “L’ambasciata degli Stati Uniti a Bruxelles, attraverso un console (membro della CIA?) e del suo attaché militare, tenterà, invano, di far pressione sul Ministero belga degli Esteri, per indurlo a non onorare il contratto”.
Il Belgio inviò a Cuba un primo carico di armi ad ottobre 1959, anche questo trasportato da La Coubre.
Quel 5 marzo Castro s’era domandato: “Perché mai questo interesse a che noi non potessimo comprare i mezzi per difenderci? (…) mirano forse ad intervenire sul nostro territorio?”. La risposta la ricevette il 17 aprile 1961, con la fallita invasione della Baia dei Porci.??
Il blocco sulle armi era una delle misure assunte dall’amministrazione di Dwight D.Eisenhower per assediare e soffocare la rivoluzione. Proprio il presidente raccontò nelle sue Memorie: “Dopo l’entrata di Castro a L’Avana, il nostro governo ha cominciato ad esaminare le misure che avrebbero potuto essere efficaci per sopprimerlo”.
Non era finito il 1959 e già la CIA organizzava e armava gruppi all’interno del Paese, mentre piccoli aerei provenienti dalla Florida bombardavano villaggi, fabbriche e campi coltivati.
Quindi, se la bomba venne posizionata fuori da Cuba, come sostenne Castro nel suo discorso, dev’esser stato a Le Havre o ad Anversa.
Nel porto francese la stiva VI, che era refrigerata, venne aperta solo dal capitano in seconda per lasciarvi formaggi destinati ad Haití, insieme ad altri imbarcati ad Amburgo. A L’Avana non fu necessario toccare questo carico perché era sistemato al lato degli esplosivi e separato da assi.
Rimane quindi solo Anversa. I proiettili vengono caricati il 15 febbraio da un molo della città. Il giorno seguente La Coubre si diresse verso un embarcadero alla metà del fiume Escalda, fra gli antichi Forti Lillo e Liefkenshoek, dove stavano le granate. Dopo averle caricate, il capitano e il responsabile del trasporto dell’armamento dalla fabbrica firmarono al delegato della compagnia di navigazione di Anversa il “Ricevuto a Bordo”.
Questo foglio, ricompreso fra i documenti sull’esplosione de La Coubre segretati fino all’anno 2011, contiene alcune parole scritte a mano che dicono:
“qualche cassa senza cerchioni
Cassa n° 696
Una tavola schiodata (e rinchiodata)”
Risulta nelle relazioni che il trasferimento di questo armamento dalla fabbrica avvenne sotto lo stretto controllo di Dogana e Gendarmeria, dell’Ispettore Speciale del Governo del Belgio e del responsabile del trasporto.
Però in quel luogo rimasero per tre notti e relativi giorni sotto la custodia di solo due doganieri, che, stranamente, chiesero di essere sostituiti il 15 febbraio perché influenzati.
Non esiste nessun documento in cui si menzioni che ci sia stata qualche domanda in merito allo stato delle casse da parte delle autorità presenti, nè del capitano o del suo secondo.
L’ex capo della contro-intelligenza cubana, Fabián Escalante Font, ci ha detto che per l’istallazione della bomba dev’esserci stata “la collaborazione dei servizi informativi di Francia e Belgio potrebbero, per esempio, aver facilitato il compito degli assassini”.
Guarda caso, in quel momento esisteva una cellula clandestina nel Ministero degli Interni francese, che aveva il compito di realizzare attentati contro chi appoggiasse l’indipendenza dell’Algeria. Era il “Service VII”, più conosciuto come a “Main Rouge”. Compito essenziale era quello di evitare che arrivassero armi al Front de Libération National d’Algérie, FLN. Fu così che si assassinarono trafficanti di armi e si affondarono 5 navi, oltre a renderne inutilizzabili altre 11. I sabotaggi avvennero in gran parte ad Anversa.
Cuba era un posto senza importanza per la Francia fino a quando i rivoluzionari presero il potere e riconobbero il FLN. Allora i servizi di sicurezza francesi cominciarono a lavorare strettamente con quelli statunitensi, al punto che l’ambasciata francese si convertì in un centro d’operazioni della CIA.
Forse la Main Rouge collaborò con la CIA per posizionare la bomba fra le granate come ritorsione?
Con Maxime Ivol, il radio operatore de La Coubre, abbiamo parlato in due occasioni. E ogni volta ha detto: “La sola sicurezza che ho è che hanno fatto esplodere la nave. Chi ? La CIA con l’aiuto di una cellula del Ministero degli Interni francese? E perchè no. Ma sembra che non sapremo mai la verità”.
Lascia pensare il fatto che lo Stato francese non ebbe interesse ad indagare sull’esplosione della nave. Né si pronunciò in alcun modo.
In un altro documento della French Lines, segretato fino al 2011, riguardo all’“Accordo amichevole” cui, nel gennaio 1969, arrivarono i proprietari della nave e le compagnie assicuratrici, si dice: “I nostri organismi assicuratori sostenevano che ci si trovava di fronte ad un avvenimento connesso ad un rischio di guerra civile o di terrorismo per il quale la nave non era garantita. Certo non avevano la prova irrefutabile, ma comunque noi non potevamo smentirli”.
E ancora, il giornalista Chapman ci ha detto: “Per un certo tempo ho supposto che le esplosioni fossero degli incidenti. Nel corso degli anni, venendo a sapere quel che la CIA aveva fatto contro Castro e contro Cuba, sono arrivato a pensare che era stato il mio Governo, per mezzo della CIA. In virtù della Legge d’Accesso all’Informazione, ho domandato una copia dei documenti sull’esplosione in loro possesso, e me li hanno rifiutati”.
(Tradotto da Serena Bartolucci)