La bella fotografia che accompagna quest’articolo mostra Papa Francesco che abbraccia Lula e dice: “Te lo dicevo, Lula, che la verità sconfiggerà la menzogna”. Così è stato. Sta emergendo a poco a poco la verità dei fatti. Una verità che ci parla senza ombra di dubbio di una vergognosa montatura costruita a tavolino dal giudice Moro, uno di quei magistrati che infangano colla loro stessa esistenza la loro categoria di appartenenza.
Si è trattato al tempo stesso del più importante caso di lawfare fin qui si verificatosi. Lawfare è una categoria di origine statunitense, che sta a definire la guerra condotta utilizzando il diritto e la giurisdizione, in genere, penale, per annientare un anniversario e conseguire determinati obiettivi di ordine economico, politico o geopolitico. Si tratta quindi di strumentalizzare la magistratura e la giustizia per fini che non hanno nulla a che vedere colla tutela dell’ordinamento giuridico e dei diritti dei cittadini.
Il libro sul lawfare (Lawfare: uma introdução, Contracorrente, 2019) scritto dagli avvocati di Lula, Cristiano Zanin e Valeska Teixeira Zanin Martins, che stiamo traducendo in italiano col Gruppo d’intervento giuridico internazionale del Centro di ricerca ed elaborazione per la democrazia (CRED/GIGI), analizza a fondo il fenomeno chiarendone aspetti strategici e tattici e soffermandosi su vari casi pratici di sua attuazione, tra i quali ovviamente spicca l’ingiusto processo cui è stato sottoposto l’ex presidente brasiliano.
Uno degli elementi assolutamente abnormi di tale processo, fin dal principio, è stata l’immotivata attribuzione al Tribunale di Curitiba, dove era in forza il giudice Moro della competenza a procedere contro Lula. Come scrivono nel libro i suoi avvocati: “ la legislazione brasiliana stabilisce i criteri per fissare o modificare la giurisdizione, intesa come spazio di potere conferito a ciascuno organo giurisdizionale del Paese. Di regola, è competente il giudice o il tribunale dove sarebbe avvenuto il presunto crimine (art. 69, codice di procedura penale). Tuttavia, nessuno dei fatti previsti nelle accuse formulate da Lava Jato dello Stato di Paraná contro Lula, ha avuto luogo in quello Stato”. Ciò nonostante il Tribunale supremo federale aveva stabilito la competenza del Tribunale di Curitiba, dove operava, guarda caso, il giudice Moro. Ma si era trattato di una chiara violazione delle norme applicabili, operata all’evidente fine di consegnare le sorti di Lula (e della democrazia brasiliana) nelle mani di una squadraccia giudiziaria ben determinata ad eliminarlo dalla scena politica.
Questo stato di cose inoppugnabile è stato ora riconosciuto dallo stesso Tribunale supremo federale. La decisione giunge dopo che era stato finalmente lacerato il velo di silenzio, omertà e mistificazione fabbricato dalla stampa mainstream, e, in un crescendo di rivelazioni sempre più particolareggiate ed esplicite, erano stati illuminati vari oscuri e fetidi retroscena del caso, non ultimi gli insani rapporti tra Moro e Bolsonaro che l’aveva nominato suo ministro della giustizia.
Tra gli effetti benefici della decisione vi è la restituzione a Lula, ingiustamente perseguitato, dei suoi diritti politici. Ma siamo solo a metà del guado. Occorre vigilare affinché altri frammenti inaffidabili e corrotti del sistema giudiziario brasiliano non tornino a insidiare la democrazia, impedendo al popolo di votare il suo candidato per eccellenza. Occorre inoltre che qualcuno paghi per le ingiustizie commesse e il danno enorme che ne è derivato alla democrazia e al popolo brasiliano. Come scrivono gli avvocati di Lula al termine della loro Nota con cui salutano la decisione del Tribunale supremo: “la decisione che oggi afferma l’incompetenza del Tribunale Federale di Curitiba riconosce che da sempre abbiamo avuto ragione in questa lunga battaglia legale… ma non ha il potere di riparare i danni irreparabili causati dall’ex giudice Sergio Moro e dai procuratori della “lava jato” all’ex presidente Lula, al sistema giudiziario e allo Stato democratico di diritto”.
E’ giunto il momento di riparare, sia pure parzialmente, tali danni. Voci autorevoli si levano chiedendo che i responsabili delle inammissibili violazioni di principi fondamentali dello Stato di diritto che hanno consentito di disattendere il sistema prestabilito delle competenze giudiziarie al solo scopo di annientare politicamente Lula, siano giudicati a loro volta e adeguatamente puniti. E anche per Bolsonaro si delinea sullo sfondo il giudizio della Corte penale internazionale, per i crimini contro l’umanità compiuti in occasione della perdurante pandemia di COVID, che continua a mietere in Brasile un numero davvero spaventoso di vittime tra i settori più vulnerabili della popolazione.
Fabio Marcelli