Geraldina Colotti
Il nuovo governo italiano – il governo delle banche, degli industriali, delle istituzioni sovranazionali e del complesso militare-industriale – ha dato un altro pessimo segnale. Con una risoluzione approvata all’unanimità, la Commissione Esteri della Camera ha aperto la strada al riconoscimento dell’autoproclamato “presidente a interim” del Venezuela, Juan Guaidó.
I precedenti governi, grazie al Movimento 5Stelle, avevano mantenuto una posizione di “neutralità”: né con Guaidó, ma neanche con il legittimo governo del Venezuela, diretto da Nicolas Maduro. La risoluzione è stata invece votata anche dai parlamentari del Movimento 5Stelle, con l’unica astensione del deputato Paolo Cabras, ma “a titolo personale”.
Col fare tipico del ladrone che si frega le mani per l’arrivo di altri soldi da intascare, Guaidó ha ringraziato in pompa magna i suoi sostenitori. Ribadendo il ritornello del “governo di transizione-fine dell’usurpazione-elezioni libere”, ha detto infatti: “Non vediamo l’ora di lavorare con i nostri alleati in tutto il mondo per aumentare in modo significativo la quantità di aiuti che raggiungono il Venezuela”. E che finiscono, avrebbe dovuto aggiungere, direttamente nelle nostre capienti saccocce.
I media hanno anche dato grande spazio all’incontro virtuale tra la ministra degli Esteri svedese, Ann Linde, e l’autoproclamato, ringalluzzito dal rinnovato sostegno dell’amministrazione Biden e dell’Unione europea. Il ministro degli Esteri venezuelano, Jorge Arreaza, ha inviato una nota di protesta all’omologa svedese, deplorando che la Svezia supporti personaggi simili per distruggere la democrazia, seguendo il copione di Trump. “La Svezia – ha scritto in un tweet Arreaza – non si caratterizzava per il sostegno al golpismo o per la violazione della Carta delle Nazioni Unite”.
Ma a mettere in atto una nuova tornata di attacchi al Venezuela bolivariano, sono state due informative Onu, entrambe presentate a Ginevra nel quadro della 46a sessione del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, e respinte con forza dal governo bolivariano: la prima è frutto della cosiddetta Missione internazionale di determinazione dei fatti, che ha agito nel 2020 su mandato del cosiddetto Gruppo di Lima, senza il consenso del governo bolivariano. La seconda ha tratto spunto dalla prima ed è arrivata a opera dell’Alta Commissaria per i Diritti Umani, Michelle Bachelet, la quale ha nuovamente attaccato il Venezuela bolivariano per presunte violazioni.
In una nota di protesta, il governo Maduro ha ritenuto “molto preoccupante che l’Alta Commissaria abbia ceduto alle pressioni di attori anti-venezuelani, nonostante la presenza del suo Ufficio in Venezuela e nonostante i fluidi meccanismi di dialogo esistenti con lo Stato venezuelano”. E ha sottolineato come le sue posizioni non si discostino molto da quelle di chi auspica uno scenario di violenza in Venezuela. Per questo, il governo bolivariano rivedrà i suoi impegni con l’Alto Commissariato.
Anche Fundalatin, organizzazione con statuto Consultivo Speciale nel Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite ha scritto un comunicato per evidenziare come l’informativa non abbia condannato che “Pdvsa, la Banca Centrale, il settore minerario, i Clap, il Petro, le banche e le imprese del Venezuela siano completamente bloccate”. Il rapporto di Bachelet – dice Fundalatin – non chiama in causa le responsabilità degli Stati Uniti nella confisca illegale di attivi e conti bancari dell’impresa Citgo, filiale di Psvsa, fatto che ha impedito il trapianto di fegato e midollo osseo a 53 bambini e bambine a rischio di vita.
Non condanna nemmeno il comportamento illegale e coercitivo di alcuni paesi, come il Regno Unito e il Portogallo, che hanno sequestrato oltre 6 mila milioni di dollari di risorse venezuelana, che hanno impedito allo Stato di acquistare medicine, trattamenti e vaccini. “È ampiamente dimostrato che le sanzioni siano le principali violazioni dei diritti umani del popolo venezuelano”, ha concluso Fundalatin, invitando Bachelet a includere la recente relazione dell’esperta indipendente Onu sugli effetti delle misure coercitive unilaterali.
Ma L’Unione Europea ha preso la palla al balzo per dichiararsi “estremamente preoccupata dalla situazione in Venezuela”, e per minacciare nuove sanzioni se “continueranno le violazioni ai diritti umani”. E al coro si sono aggiunti rappresentanti dei singoli paesi membri della UE e, naturalmente, quelli del Gruppo di Lima. Abbiamo più volte detto che il Venezuela è un paradigma, una cartina di tornasole per comprendere la natura dello scontro in corso tra due modelli antagonisti di sviluppo: l’uno, quello capitalista, a dominanza imperialista nordamericana, l’altro che guarda al socialismo, inserito nelle alleanze che si muovono verso la costruzione di un mondo multicentrico e multipolare. È bene, però, tornare a ripeterlo a fronte di questa nuova tornata di attacchi sferrata dagli Stati Uniti attraverso le istituzioni che controlla a livello internazionale, e per mezzo degli Stati subalterni alle sue politiche.
Sul piano simbolico, il socialismo bolivariano viene demonizzato allo stesso modo di quel che succedeva al comunismo e all’Unione Sovietica nel secolo scorso. Diventa materia di scontro politico all’interno dei governi, anche in Europa, e indicatore di tendenze a seconda che lo si appoggi o lo si condanni in questo anno di elezioni in America Latina. Lo si vede in Cile o in Perù, dove emerge con forza l’esigenza di un’Assemblea Nazionale Costituente, che i popoli vorrebbero espressione del potere popolare, com’è stato per il Venezuela o per la Bolivia, mentre la borghesia vorrebbe sfruttarla per truffare una volta di più la domanda di vera democrazia.