Cuba evoca lo spirito patriottico e rivoluzionario di Baraguá

Nel 143° anniversario della Protesta di Baraguá, Cuba evoca lo spirito dell’insurrezionalista Maggiore Generale Antonio Maceo (1845-1896), protagonista di quel rifiuto di accettare una pace senza indipendenza dalla metropoli spagnola.

Secondo il leader storico della rivoluzione cubana, Fidel Castro, con l’ordine di disobbedienza dato il 15 marzo 1878, Maceo portò lo spirito patriottico e rivoluzionario del popolo cubano al suo punto più alto.

Le bandiere della Patria e della vera Rivoluzione, con l’indipendenza e la giustizia sociale, furono collocate nel loro posto più alto”, ha detto Fidel Castro nel centenario di quell’evento.

La protesta di Baraguá mise fine al Patto Zanjón, in cui la Spagna, dopo 10 anni di guerra, offriva la cessazione delle ostilità senza una soluzione alla situazione coloniale che sollevava i cubani in armi.

Nell’intervista tra il capo dei Mambi e il generale spagnolo Arsenio Martinez Campos, Maceo chiarì che non ci poteva essere pace a Cuba senza l’indipendenza e l’abolizione della schiavitù, obiettivi supremi per i quali il popolo cubano aveva lanciato la lotta armata.

Lo scenario era avverso agli aneliti libertari di questa nazione delle Antille, poiché la disunione, la dispersione e il caudillismo misero all’angolo la guerra dei dieci anni (1868-1878) e portarono alcuni ad accettare una pace ingiusta, nel momento in cui nell’est e nel centro dell’isola i Mambises riprendevano la lotta.

Secondo gli storici, né l’arroganza iniziale del rappresentante spagnolo, né le lodi alla percezione della statura morale del Titano di Bronzo, avrebbero potuto condizionare il dialogo, che non fu mai concepito da Maceo come tale, ma come un’opportunità per ratificare la volontà dei cubani di continuare la guerra.

La riunione non poteva finire in altro modo: Non ci capiamo?”, chiese lo spagnolo, “Non ci capiamo”, rispose Maceo bruscamente.

Proclamando la sua irrevocabile decisione di combattere, l’illustre rivoluzionario trascinò con sé capi, ufficiali e soldati e ispirò la lotta delle generazioni successive.

Questi principi patriottici e rivoluzionari furono sollevati da Fidel Castro durante l’ultima fase della lotta per la piena sovranità e ratificati nel giuramento del 19 febbraio 2000, quando affermò che Cuba sarebbe stata un’eterna Baraguá.

Fonte: Prensa Latina

Traduzione: italiacuba.it


NE’ LA RESA NE’ LO SFINIMENTO

“Non ci capiamo” è la frase con cui i patrioti cubani di oggi hanno sintetizzato il significato dell’atteggiamento virile di Antonio Maceo nella Protesta di Baraguá, quando rifiutò categoricamente la proposta del rappresentante del colonialismo spagnolo di accettare una pace senza il raggiungimento dei due obiettivi fondamentali della Rivoluzione Cubana: l’indipendenza e l’abolizione della schiavitù, per i quali avevano combattuto per un decennio.

José Martí descrisse il degno gesto del Titano di Bronzo del 15 marzo 1878 come il più glorioso della nostra storia, e molto più tardi Fidel sottolineò che “con la Protesta di Baraguá, lo spirito patriottico e rivoluzionario del nostro popolo raggiunse il suo punto più alto, raggiunse il suo culmine, raggiunse la sua cima, e le bandiere della Patria e della vera Rivoluzione, con l’indipendenza e la giustizia sociale, furono poste nel loro posto più alto”.

Toccò a Martí analizzare quella lotta, che chiamò la Sacra Madre dei Nostri, da cui nacquero le prime ribellioni, e lo fece, secondo le sue stesse parole, per “esaltare i morti e insegnare qualcosa ai vivi”.

E la lezione più importante per coloro che allora e più tardi aspiravano a conquistare una Cuba sovrana, fu che quella lotta non poté raggiungere i suoi obiettivi a causa della mancanza di unità e dei dissensi interni nelle file rivoluzionarie: “La nostra spada non ci fu tolta dalle mani, ma la lasciammo cadere da soli”, disse l’Apostolo.

Fu Maceo che, con la sua formidabile protesta politica, mantenne alta la decisione di combattere, in mezzo alle sfortunate circostanze che misero fine all’atto libertario, e dimostrò all’avversario che in questa terra bagnata dal sangue di tanti dei suoi figli migliori, c’erano uomini per i quali i principi non erano negoziabili e che erano disposti a continuare a combattere fino alla vittoria.

Questo è stato dimostrato da lui, dai suoi contemporanei e da molti altri combattenti nel corso delle generazioni, fino al trionfo del gennaio 1959. Fu proprio l’unità per la quale gridò il Maestro che ci portò alla realizzazione delle aspirazioni dei fondatori della nazione cubana e che ha continuato ad essere il fondamento della resistenza del popolo all’aggressività dell’impero.

Nessuno si arrenderà! E stancarsi in questa lotta sarebbe per un patriota e rivoluzionario cubano più vergognoso che arrendersi, dichiararono i patrioti il 19 febbraio 2000, nel cosiddetto Giuramento di Baraguá.

Questo significava la continuità dell’azione e del pensiero di Maceo in un nuovo scenario aggressivo, non più nel campo delle armi, ma fondamentalmente nel campo delle idee, senza escludere che il nemico potesse cercare di distruggerci con la forza, il che gli sarebbe costato un prezzo impagabile.

Quel giuramento, pronunciato nel mezzo della storica battaglia per il ritorno in patria del bambino Elián González, ebbe luogo in un ambiente simile a quello che Cuba affronta oggi: guerra economica, piani di sovversione, diversionismo ideologico, tentativi di destabilizzazione interna, la persistenza di leggi come la Helms-Burton e la Torricelli, l’incessante inasprimento dell’assedio impostoci dagli Stati Uniti per asfissiarci.

E l’aspirazione espressa allora, del diritto dei cubani alla pace, al rispetto della sovranità e dei nostri più sacri interessi, rimane valida.

Di fronte alla guerra non convenzionale che ci viene imposta, abbiamo le armi più potenti: le nostre idee rivoluzionarie, che ci hanno permesso di superare tutti gli ostacoli e di portare avanti il nostro progetto sociale senza cedere una virgola al nemico.

Maceo ce lo ha insegnato con il suo indimenticabile gesto a Baraguá e anche con la sua presa di posizione di fronte a un’altra minaccia che allora incombeva su Cuba. Erano le intenzioni espansionistiche degli Stati Uniti travestite da aiuto umanitario, ma che fecero esclamare al Titano: “E se fino ad oggi le armi cubane sono andate di trionfo in trionfo (…) Quali interventi e interferenze straniere di cui non abbiamo bisogno e che non sarebbero convenienti? Cuba sta conquistando la sua indipendenza con le braccia e il cuore dei suoi figli; sarà presto libera senza che sia necessario nessun altro aiuto”.

È così che abbiamo raggiunto la vittoria e continueremo a difenderla senza che più di mezzo secolo di infamia abbia potuto piegare la nostra volontà di combattere. Ribadiamo: non ci siamo stancati e non ci stancheremo.

Fonte: www.trabajadores.cu

Traduzione: ASSOCIAZIONE NAZIONALE DI AMICIZIA ITALIA-CUBA


Un Baraguá nella nostra resistenza

In ogni tentativo appare un Baraguá, che non è un punto di questo arcipelago, ma tutto un paese, una voce che non è quella di un uomo, ma di un intero popolo: «Lei si risparmi questa farsa…Noi non intendiamo»!

Baraguá, 15 marzo del 1878. Viso a viso si videro l’ombra e la luce sotto quei manghi «economici» –sognati così da un forestiero con il grado di generale– che giunse nel luogo per raccoglierli «in basso», come aveva fatto inMessico, in Marocco e nella sua Spagna, di fronte alla chiamata resistenza carlista» della Catalogna e Navarra; tutte battaglie dalle quali con l’aiuto di ricatti, intrighi, fucilazioni e discorsi edulcorati, la sua spada colonizzatrice era emersa vittoriosa; smart power (potere intelligente) la chiamano oggi questa dottrina.

Arsenio Martínez Campos, senza dubbio astuto, comprese che non avrebbe ottenuto una vittoria militare contro le truppe mambì cubane.

Allora optò per lo smart power spagnolo, ricetta dalla quale aveva ottenuto molti buoni dividendi in altre geografie.

Pensava che lo stratagemma avrebbe funzionato nell’Isola, che in Baraguá si sarebbe ripetuta la doppiezza di circa 30 giorni prima nel Zanjón, che bastavano delle lusinghe e un discorso di falsa apparenza.

«Basta con i sacrifici e con il sangue; voi avete stupito il mondo con la vostra tenacia e decisione» sostenne Martínez Campos, dopo aver ponderato il valore e la gioventù di un ragazzo di 32 anni che, dalla parte dei sollevati, lo guardava con calma apparente.

«È giunto il momento di far terminare le nostre differenze e cubani e spagnoli ci proponiamo di sollevare questo paese dalla prostrazione in cui dieci anni di guerra lo hanno sottomesso», proseguì l’astuto gendarme colonialista, mentre la su aman si estendeva con il documento della mascherata capitolazione dei patrioti.

Allora venne la luce che oscurò la sua speranza: «Metta via questo documento! Non vogliamo saperne niente!» rispose come un fulmine il generale mambì

E a una domanda del «pacificatore» sconcertato, il tagliente no: «No, non intendiamo», esclamò più enfatico Antonio Maceo.

Dopo quelle e sino ad oggi, le ore del pericolo per Cuba non sono state poche e in nessuna sono mancati arrivisti, plattisti, annessionisti, zanjoneri che, in cerca di fama, denaro e comodità, compiono l’ordine di calunniare la Patria, la vendono e chiedono anche d’aggredirla.

Poveretti. In ogni tentativo appare un Baraguá, che non è un punto di questo arcipelago, ma tutto un paese, una voce che non è quella di un uomo, ma di un intero popolo: «Lei si risparmi questa farsa…Noi non intendiamo»!

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