Tre indizi sul golpe morbido che si concepisce in Bolivia

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Alla fine del 2019, dopo la schiacciante vittoria elettorale di Evo Morales, si è consumato il colpo di stato militare e di polizia in Bolivia, con risorse golpistiche chiaramente concentrate in Santa Cruz (sotto operazioni civili e armate). Diverse fazioni sia nazionali che internazionali hanno partecipato a queste azioni illegali e violente, ma il volto visibile che ha finito per presiedere il nuovo governo de facto è stato Jeanine Áñez.

Questo passaggio politico viene ricordato quando è stata resa nota la notizia dell’arresto di Áñez, lo scorso 13 marzo, poiché è indagata per la morte di oltre 20 boliviani, avvenuta in tutte le fasi del golpe nel 2019.

Tuttavia, non viene sminuito il fatto dell’arresto di Áñez, ma le azioni che si stanno scatenando nel quadro di sommergere, nuovamente, la Bolivia in scenari di destabilizzazione attirano l’attenzione o mostrano che sia in corso un’operazione di colpo di stato.

In questa nota elenchiamo tre indizi al riguardo.

  1. ANCORA UNA VOLTA L’OSA

La evidente partecipazione del segretario generale dell’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), Luis Almagro,  durante l’intero processo del colpo di stato in Bolivia, con un rapporto distorto sulle elezioni che è stato il detonante per consolidare il cambio di governo con la forza (militare). Persino la BBC di Londra lo ha descritto come segue: Almagro è un protagonista imprescindibile -e per molti controverso- della crisi che ha posto fine alla presidenza di Evo Morales in Bolivia.

In questa nuova messa in scena golpista, Almagro non è rimasto indietro. Di fronte all’arresto di Áñez, l’OSA ha rilasciato un comunicato in cui si denunciava un presunto abuso dei meccanismi giudiziari, applicando la quotidiana accusa senza prove per poi esporre una serie di considerazioni di interferenza sul potere giudiziario in Bolivia, tra cui la riforma del sistema della giustizia.

Partendo dall’accusa, montano la premessa senza un’indagine sulla mancanza di garanzie per svolgere un “processo equo, imparzialità e giusto processo, per problemi di struttura ed, in particolare, della loro integrazione”.

Allo stesso modo, al di là delle accuse, l’OSA aggiunge la proposta di istituire una commissione internazionale incaricata di indagare sugli atti di corruzione in Bolivia nella gestione di Evo Morales.

È, ancora una volta, un’organizzazione internazionale che si immischia nelle riforme di competenza esclusivamente statale e vuole anche fungere come un ibrido di un tribunale internazionale per i casi che le convengano, dimenticando completamente, in modo infido, ciò che è stabilito nel diritto internazionale.

Tuttavia, vale la pena commentare che Almagro non è il creatore di questi strumenti di ingerenza: lui è semplicemente il messaggero, poiché c’è un conglomerato di attori politici ed economici negli USA  che spingono affinché ciò venga realizzato all’interno e dall’OSA.

In risposta a questo comunicato, il ministero degli Esteri boliviano ha annunciato che ripudiava le opinioni di Almagro e ha sottolineato che questo comunicato mira a “riaccendere la via della violenza e dello scontro tra i boliviani”. Questo comunicato è stato respinto dall’OSA, che mantiene la sua posizione e nega la sua partecipazione al recente colpo di stato.

Dall’OSA, l’appendice multilaterale USA delle Americhe, hanno già acceso i motori per stimolare le azioni di destabilizzazione in Bolivia come nel 2019.

  1. USA E ALTRI ATTORI

L’amministrazione Joe Biden non poteva rimanere indietro nel rilasciare speculazioni davanti alle azioni giudiziarie contro Áñez. Il 15 marzo il Dipartimento di Stato ha stabilito la sua posizione ed ha assicurato di “seguire con preoccupazione” gli ultimi eventi in Bolivia, alludendo a una possibile parzialità del processo giudiziario.

In totale sintonia con gli USA, l’Unione Europea ha pubblicato una nota esprimendo che l’arresto di Áñez e di due ministri di quel governo è preoccupante e quindi lo seguono da vicino, aggiungendo che sperano che il processo sia basato sulla trasparenza dei poteri pubblici.

Così, a posteriori, gli USA e la UE, usando perifrasi diplomatiche, mantengono questa posizione intrigante poiché, nel bel mezzo del colpo di stato contro Evo Morales, dubitavano della trasparenza del processo elettorale e chiedevano nuove elezioni.

Lo stesso giorno dell’arresto, il 13 marzo, il Segretario Generale ONU, António Guterres, ha dichiarato, in tono diplomatico, sul rispetto delle garanzie e trasparenza del processo giudiziario boliviano.

Caso opposto è stata la posizione del Messico, che sotto la dottrina Estrada ha fatto un appello al rispetto del filo costituzionale ed alla non ingerenza negli affari della Bolivia. In particolare, il direttore generale degli Organismi e Meccanismi Regionali Americani della Segreteria del Ministero degli Esteri del Messico, Efraín Guadarrama, ha suggerito all’OSA di comportarsi in conformità con i suoi poteri e che deve rispettare la  soluzione pacifica, compreso “evitare quelle posizioni che cerchino di interferire negli affari interni della Bolivia”.

Guadarrama aggiunge alla sua manifestazione che Luis Almagro deve astenersi di scontrarsi con il governo boliviano, democraticamente eletto.

Il Venezuela ha fatto lo stesso: dopo le dichiarazioni sciocche e di stampo colonialista di Almagro, il ministro degli Esteri, Jorge Arreaza, attraverso il suo account Twitter ha espresso il suo sostegno alla Bolivia.

I primi due indizi indicano che si stanno muovendo i pezzi internazionali nello scacchiere del golpe in Bolivia, con i soliti sospetti abbracciati dagli USA che mostrano un atteggiamento di difesa del cambio di regime nel 2019 e una possibile riedizione nel 2021. Un’escalation straniera che possa corrispondere con quella locale boliviana.

  1. MOBILITAZIONI BELLIGERANTI IN BOLIVIA

Il 7 marzo scorso si sono svolte le elezioni dipartimentali, regionali e municipali della Bolivia al fine di eleggere i nove governatori dipartimentali e più di 300 sindaci.

I risultati del primo turno hanno portato alla vittoria per mano del Movimento Al Socialismo (MAS) in tre governatorati, Cochabamba, Oruro e Potosí. D’altra parte, uno dei golpisti delle organizzazioni “civili”, Luis Fernando Camacho, ha ottenuto la vittoria per il governatorato di Santa Cruz.

Il presidente del Tribunale Supremo Elettorale (TSE), Salvador Romero, ha informato che il secondo turno per le elezioni dei governatori dei dipartimenti di Pando, La Paz, Tarija e Chuquisaca si terrà l’11 aprile di quest’anno.

Questo contesto è importante perché mobilita i settori dello scacchiere politico boliviano che hanno partecipato al golpe del 2019 e che, quando Luis Arce ha recentemente trionfato alle elezioni presidenziali, non hanno avuto modo di posizionarsi, nuovamente, nello “scenario di frode” durante quelle elezioni. L’opzione di destabilizzare altri fronti, come si è già saggiato in altri momenti, si profila nuovamente: la mobilitazione “civica”. Le elezioni ai governatorati sono un terreno fertile che Camacho incoraggia per tornare alle pressioni di piazza.

Camacho a febbraio ha minacciato il presidente Arce ricordandogli come Evo Morales ha lasciato il governo, prendendo come scusa il suo rifiuto della legge sull’emergenza sanitaria. Ma sappiamo che tutto si è cristallizzato sotto la pressione dell’esercito e della polizia boliviana.

Lunedì scorso, 15 marzo, Camacho e il Comitato Civico Santa Cruz hanno tenuto una manifestazione per “smantellare la versione del governo secondo cui ci fu un colpo di stato” nel 2019, dando continuità simbolica a quanto accaduto durante i giorni del cambio di regime e stabilendo, ancora una volta, al dipartimento di Santa Cruz come lo spazio primario delle proteste in difesa di Jeanine Áñez e contro il MAS.

Sembra che l’arresto di Áñez sia legato al tempo politico delle nuove proteste guidate da Camacho, tenendo conto che il processo al volto più visibile del colpo di stato è iniziato alla fine del 2020, quando la gestione governativa non era ancora nelle mani di il presidente Arce. Le dinamiche della realpolitik portano a pensare che la presa di decisioni giudiziarie improvvise, in piena attività elettorale, sia parte del capitalizzare i risultati elettorali a breve termine o creare tensione tra le diverse fazioni politiche.

La congiunzione tra proteste, tensioni politiche e retorica golpista si concretizza in una strategia a miccia lenta, sviluppata dall’accademico USA Gene Sharp e dai seguaci di questa linea destituente.

Molteplici interessi sono sul tavolo per quanto riguarda la Bolivia, soprattutto per la sua posizione geopolitica e geoeconomica, il suo contesto politico-culturale (più legato alla base plurinazionale boliviana che agli ideali occidentali), così come le grandi riserve di litio che sono cruciali nei piani di “transizione energetica” e obiettivo primario delle maggiori potenze anglosassoni.

Sotto questi indizi non resta altro che chiamare ad un’allerta non solo boliviana, ma anche nostra americana. I fantasmi del golpe tornano a posarsi su uno dei paesi che guarda dritto davanti a sé e negli occhi delle élite globali per resistere a qualsiasi pronunciamento che si riferisca alla morte.


TRES INDICIOS SOBRE EL GOLPE SUAVE QUE SE GESTA EN BOLIVIA

Finalizando el año 2019, tras la contundente victoria electoral de Evo Morales, se consumó el golpe de Estado militar y policial en Bolivia, con recursos de golpe de color claramente centrados en Santa Cruz (bajo operaciones ciudadanas y armadas). Diferentes facciones tanto nacionales como internacionales participaron en estas acciones ilegales y violentas, pero la cara visible que terminó presidiendo el nuevo gobierno de facto fue Jeanine Áñez.

Este pasaje político se rememora al conocerse la noticia sobre la detención de Áñez el pasado 13 de marzo, ya que es investigada por las muerte de más de 20 bolivianos, ocurridas en todas las fases de golpe de 2019.

Ahora bien, no se le quita valor al hecho de detención de Áñez, pero las acciones que se están desencadenando en el marco de sumergir a Bolivia nuevamente a escenarios de desestabilización llaman la atención o dejan ver que hay una operación de golpe en proceso.

En esta entrega enumeramos tres indicios al respecto.

  1. OTRA VEZ LA OEA

Fue evidente la participación del secretario general de la Organización de Estados Americanos (OEA), Luis Almagro, a lo largo de todo el proceso de golpe de Estado en Bolivia, siendo un informe sesgado sobre las elecciones el detonante para consolidar el cambio de gobierno a la fuerza (militar). Incluso, la BBC de Londres lo calificó así: Almagro, es un protagonista ineludible —y para muchos polémico— de la crisis que acabó con la presidencia de Evo Morales en Bolivia.

En esta nueva puesta en escena golpista Almagro no se quedó atrás. Ante la detención de Áñez, la OEA emitió un comunicado alegando un supuesto abuso de mecanismos judiciales, aplicando la cotidiana acusación sin pruebas para luego exponer una serie de consideraciones injerencistas sobre el Poder Judicial en Bolivia, entre esas, reformar el sistema de justicia.

A partir de la acusación, montan la premisa sin una pesquisa sobre la falta de garantías para llevar adelante un “juicio justo, de imparcialidad y de debido proceso, por problemas de estructura y, en particular, de su integración”.

Asimismo, más allá de las acusaciones, la OEA agrega la propuesta de establecer una comisión internacional encargada de investigar los hechos de corrupción en Bolivia en la gestión de Evo Morales.

Se trata una vez más de una organización internacional entrometida en reformas de competencia únicamente estatal y también quiera fungir como un híbrido de tribunal internacional para los casos que le convengan, olvidando por completo de manera alevosa lo establecido en el Derecho Internacional.

Sin embargo, vale comentar que no es Almagro el creador de estos instrumentos de injerencia: él simplemente es el mensajero, pues hay un conglomerado de actores políticos y económicos en Estados Unidos que pujan para que esto se lleve a cabo dentro y desde la OEA.

En respuesta a ese comunicado, la Cancillería de Bolivia anunció que repudiaba las opiniones de Almagro y resaltaron que ese comunicado pretende “reavivar el camino de la violencia y la confrontación entre bolivianos”. Este comunicado fue refutado por la OEA, manteniendo su postura y negando su participación en el reciente golpe de Estado.

Desde la OEA, el apéndice multilateral estadounidense de las Américas, ya encendieron los motores para dinamizar las acciones de desestabilización en Bolivia tal como en 2019.

  1. ESTADOS UNIDOS Y OTROS ACTORES

La administración de Joe Biden no se podía quedar atrás en la emisión de conjeturas ante las acciones judiciales sobre Áñez. El 15 de marzo, el Departamento de Estado fijó su postura y aseguró que “siguen con preocupación” los últimos acontecimientos en Bolivia, haciendo alusión a una posible parcialidad del proceso judicial.

En total sintonía con Estados Unidos, la Unión Europea publicó una nota expresando que la detención de Áñez y dos ministros de ese gobierno es preocupante y por ende la siguen de cerca, agregando que esperan que el proceso esté basado en la transparencia de los poderes públicos.

Así, en retrospectiva, Estados Unidos y la Unión Europea, usando los rodeos diplomáticos, mantienen esa postura intrigante debido a que en pleno proceso de golpe de Estado en contra de Evo Morales dudaban de la transparencia del proceso electoral y solicitaban nuevos comicios.

El mismo día de la detención, el 13 de marzo, el Secretario General de las Naciones Unidas, António Guterres, declaró bajo tonalidad diplomática sobre el respeto a las garantías y transparencia del proceso judicial de Bolivia.

Caso contrario fue la postura de México, que bajo la doctrina Estrada hace el llamado de respeto al hilo constitucional y a la no injerencia en los asuntos de Bolivia. En específico, el director general de Organismos y Mecanismos Regionales Americanos de la Secretaría de Relaciones Exteriores de México, Efraín Guadarrama, hizo la sugerencia a la OEA sobre comportarse de acuerdo a sus facultades y que debe plegarse a la a la solución pacífica, incluyendo “evitar aquellos posicionamientos que busquen tener injerencia en los asuntos internos de Bolivia”.

Guadarrama suma a su manifestación que Luis Almagro debe abstenerse a confrontarse con el gobierno boliviano, electo democráticamente.

Venezuela hizo lo propio: después de las declaraciones desatinadas y de corte colonialista de Almagro, el canciller Jorge Arreaza a través de su cuenta Twitter expresó su respaldo a Bolivia.

Los primeros dos indicios indican que se están moviendo las piezas internacionales en el tablero del golpe en Bolivia, con los sospechosos habituales abrazados por Estados Unidos desplegando una actitud de defensa del cambio de régimen en 2019 y de una posible reedición en 2021. Una escalada foránea que pudiera corresponderse con la local boliviana.

  1. MOVILIZACIONES BELIGERANTES EN BOLIVIA

El pasado 7 de marzo se llevaron a cabo los comicios departamentales, regionales y municipales de Bolivia, con el fin de elegir a los nueve gobernadores departamentales y más de 300 alcaldes.

Los resultados de la primera vuelta decantaron en la victoria a manos del Movimiento Al Socialismo (MAS) en tres gobernaciones, Cochabamba, Oruro y Potosí. En cambio, uno de los golpistas de las organizaciones “civiles”, Luis Fernando Camacho, obtuvo la victoria para la gobernación de Santa Cruz.

El presidente del Tribunal Supremo Electoral (TSE), Salvador Romero, informó que la segunda vuelta para las elecciones de los gobernadores de los departamentos de Pando, La Paz, Tarija y Chuquisaca será el 11 de abril de este año.

Este contexto es importante porque moviliza a los sectores del tablero político boliviano que participaron en el golpe de 2019 y que, al triunfar recientemente Luis Arce en las elecciones presidenciales no tuvieron cómo volver a posicionarse nuevamente en el “escenario del fraude” durante esos comicios. La opción de desestabilizar otros frentes, como ya se ha ensayado en otros momentos, vuelve a asomarse: la movilización “cívica”. Las elecciones a las gobernaciones es un caldo de cultivo que Camacho propicia para volver a las presiones de calle.

Camacho en febrero amenazó al presidente Arce recordándole cómo salió Evo Morales del gobierno, tomando como excusa su rechazo a la Ley de emergencia sanitaria. Pero sabemos que todo se cristalizó con la presión del ejército y la policía boliviana.

El pasado lunes 15 de marzo, Camacho y el Comité Cívico Santa Cruz realizaron una manifestación para “desmontar la versión del gobierno de que hubo un golpe de Estado” en 2019, dando continuidad simbólica a lo ocurrido durante los días del cambio de régimen y estableciendo, una vez más, al departamento de Santa Cruz como el espacio primordial de las protestas en defensa de Jeanine Áñez y contra el MAS.

Pareciera que la detención de Áñez se relaciona con el tiempo político de las nuevas protestas lideradas por Camacho, tomando en cuenta que el proceso a la cara más visible del golpe comenzó a finales de 2020, cuando la gestión gubernamental aún no estaba en manos del presidente Arce. Las dinámicas de la realpolitik conducen a pensar que la toma de decisiones judiciales repentinas en plena faena electoral es parte de capitalizar resultados electorales a corto plazo o crear tensión entre las diferentes facciones políticas.

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