Genesi e identità del cubano, questa appassionata melodia, alla qual dovremmo riferirci più spesso –anche oggi– a 170 anni dalla sua presentazione, ci vengono i brividi e ci si riempie il petto d’orgoglio godendo l’ascolto di una delle opere che ha più versioni in Cuba
Mailenys Oliva Ferrales
Anche la luna si emozionò a Bayamo in quella serata del 27 marzo del 1815 quando un brano musicale pieno di melodia e poesia, passione e lirismo, trasformò in leggenda il reclamo d’amore da una finestra, una canzone che superò i limiti della città per impregnarsi nella più genuina espressione culturale del nostro paese.
«Non ricordi gentile bayamense / che tu fosti il mio sole splendente…», furono i primi versi che Francisco Castillo dedicò alla giovane María de Luz Vázquez, in una serenata de riconciliazione all’entrata della sua casa.
Con accordi di chitarra e violino accompagnarono Pancho –com’era conosciuto Francisco Castillo– la voce del tenore Carlos Pérez e i suoi amici José Fornaris e Carlos Manuel de Céspedes.
Céspedes e Fornaris, assieme all’innamorato, avevano composto, in pochissimi giorni l’appassionata opera musicale che aperse le porte e il cuore di Luz e di altri vicini che l’ascoltarono emozionati, tanto che battezzata poi come La Bayamesa, si cominciò a considerarla la prima canzone romantica e trovatoresca cubana. E la leggenda tessuta attorno a questa melodia è anche più straordinaria.
I suoi autori e l’ispiratrice furono degni figli della nazione.
Céspedes fu il primo Presidente della Repubblica in Armi, il Padre della Patria. Francisco fu un famoso avvocato che condivideva le stesse ansie emancipatrici, ma morì un anno prima dello scoppio della prima guerra per la liberazione.
Fornaris si consolidò come il principale esponente del siboneismo in Cuba e, anche se non partecipò alla guerra del 1868, la ribellione non abbandonò mai la sua penna.
Luz Vázquez no fu da meno. Madre di sette figli –ai quali trasmise i suoi ideali- ricevette in casa sua il 20 ottobre del 1868 l’orchestra che interpretò le note del divenuto Inno Nazionale, e non ebbe dubbi a dare fuoco alla sua casa il 12 gennaio del 1869, prima di cederla agli spagnoli.
Visse in penurie nella manigua sino a che nel 1870 fu fatta prigioniera e trasferita a Bayamo e relegata nella scuderia della sua vecchia casa e si mantenne a lato di due figlie malate. Lì morì di tristezza la dama che aveva suscitato le raffinate strofe de La Bayamesa.
Il brano non morì con Luz, perché, come affermò Carpentier nel suo libro /La musica in Cuba/, era «destinato a trasformarsi, al calore degli avvenimenti nella canzone patriottica chiave».
Rinacque nei campi mambì con una trasformazione guerriera: «/Non ricordi gentile bayamense/ che Bayamo fu un sole rifulgente/ Dove impose un cubano valoroso/ con la su mano, il vessillo tricolore?».
Questa versione era stata preceduta dall’inno di Perucho (originalmente La Bayamesa), oggi Inno Nazionale, o di Bayamo.
Quasi un secolo dopo, nel 1918, Sindo Garay compose, con il titolo di /Mujer bayamesa/, quella che è considerata la quarta Bayamesa.
Genesi e identità del cubano, questa appassionata melodia, alla qual dovremmo riferirci più spesso –anche oggi– a 170 anni dalla sua presentazione, ci vengono i brividi e ci si riempie il petto d’orgoglio godendo l’ascolto di una delle opere che ha più versioni in Cuba.
Eduardo Torres Cuevas ha scritto a proposito della sua importanza: «… è l’espressione romantica del più grande purezza di sentimenti del cubano».