Persuadere, unire, mobilitare, educare, sono sempre state parole d’ordine nelle gesta emancipatrici cubane e per concretarle è risultato indispensabile un ente unificatore: un partito
José LLamos Camejo
La dispersione, il regionalismo, il doppio filo inquinato da mancate conseguenze e intrighi ferirono profondamente il petto di Cuba. La si doveva curare a tempo per evitare altre ferite. Si doveva salvarla.
Con precedenti osservazioni «cliniche», guardando la ferita, con dosi d’intelligenza, predica e amor patrio, un giovane cominciò a gestire la ricetta della salvezza: l’unità. Questa costosa e infallibile vaccinazione dell’arcipelago contro la divisione che frustrò il suo primo tentativo emancipatore e obbligò a rimandarlo. Sorse allora la necessità di uno strumento politico per unire: un partito.
Passo a passo, con l’impulso delle idee di giustizia, crebbe il talento politico del giovane José Martí, impegnato a raggruppare gli elementi dispersi, ma leali alla Rivoluzione inconclusa, debilitata dalle «passioni del comando e di località che sfigurano e annullano gli inizi più belli». La spada «non ce l’ha levata nessuno (…) l’abbiamo fatta cadere noi», valutò l’Apostolo, dopo aver esaminato il clima di confusione che le liti interne crearono.
«Hanno reso le armi all’occasione funesta, non al nemico». Martí conosceva i minimi particolari di quel risveglio patriottico che accese la torcia indipendentista il 10 ottobre del 1868, e la mantenne accesa per un decennio, anche se non avrebbe realizzato i gli obiettivi e non avrebbe avuto lo sviluppo desiderato.
Sapeva anche che in quei cubani esisteva lo steso sentimento che li aveva lanciati nella manigua e che un nuovo tentativo e un finale vittorioso con la premessa dell’unità erano tanto possibili quanto necessari.
Persuadere, unire, mobilitare, educare, sono sempre state parole d’ordine nelle gesta emancipatrici cubane e per concretarle è risultato indispensabile un ente unificatore: un Partito.
IL CASO E LA STORIA
Intanto nella convulsa Europa, con la guida di Vladimir Ilich Lenin, certi postulati sul marxismo-leninismo saltavano dai manuali alle azioni nei campi e nelle città della Russia zarista, con la guida di un’organizzazione bolscevica.
Anche se non si conoscevano il dirigente russo e il genio cubano quasi all’unisono si valevano di strumenti simili per propositi simili.
Due fatti senza vincoli sorgevano originati dalla stessa aspirazione di giustizia.
Nell’idea del Partito Rivoluzionario Cubano, nei suoi obiettivi di organizzare la Guerra Necessaria per la liberazione definitiva della nostra Patria, e operare «una nazione capace d’assicurare la fortuna durevole dei suoi figli e realizzare nella vita storica del continente i doveri difficili che la situazione geografica segnala», c’erano componenti in embrione dell’attuale avanguardia politica del nostro popolo: il Partito Comunista di Cuba.
«I principi che sostentano la concettualizzazione (del nostro modello economico e sociale) partono dal legato martiano, il marxismo-leninismo, il pensiero del leader storico della Rivoluzione Cubana, Fidel Castro Ruz, e la stessa opera della Rivoluzione», ha assicurato il Generale d’Esercito Raúl Castro.
Un cammino lungo, scabroso, di successi e di errori, di crescita e apprendistato; un cammino di eroismo e sacrifici a volte inusitati, segna la rotta dei giorni della fondazione di José Martí, sino all’attuale Partito Comunista di Cuba.
Gli ostacoli non furono né piccoli né scarsi. Sia quelli che sapevano che mantenere il colonialismo nell’Isola indomita era già impossibile, come coloro che ambivano gustare la «frutta matura», dall’inizio compresero che con l’unità si doveva gestire un ostacolo troppo molesto per le loro pretese espansioniste e non tralasciarono manovre per impedirlo.
«Per tutto il XIX, invocando le dottrine e le politiche del Destino Manifesto, Monroe e la Frutta Matura –ricordava Raúl nel 7º Congresso del nostro Partito– differenti governanti statunitensi cercarono di appropriarsi di Cuba, e nonostante l’eroica lotta dei mambì, lo ottennero nel 1898 con l’inganno dell’intervento alla fine della guerra…».
«Occuparono militarmente il paese (…), smobilitarono l’Esercito Liberatore, dissolsero il Partito Rivoluzionario Cubano organizzato, fondato e diretto da José Martí, e imposero un’appendice alla Costituzione della nascente Repubblica, l’ Emendamento Platt, che dava loro il diritto d’intervenire nei nostri temi interni e stabilire tra l’altro la Base Navale in Guantánamo».
Non riuscirono ad estinguere la fiamma indipendentista, ma sacrificarono l’esistenza di molti compatrioti, circostanze nelle quali Cuba vide fiorire il più puro, nobile e coraggioso del suo popolo e non mancò quasi mai un esempio di comunisti ispiratori delle battaglie di oggi.
EREDITÀ E CONTINUITÀ
Che simbolismo in quell’alleanza di Carlos Baliño e Julio Antonio Mella, nel 1925! Il primo, fondatore, con Martí, del Partito Rivoluzionario Cubano, con il suo carico di sapienza quasi nell’autunno della sua esistenza con Mella, che aveva solo 22 anni, in un’azione di lealtà e continuità, per fondare, loro due, il primo Partito Comunista di Cuba.
Quattro anni dopo, quando Julio Antonio aveva solo 26 anni, esiliato in suolo messicano, e nel pieno movimento rivoluzionario, cadde abbattuto da un sicario del tiranno Gerardo Machado.
«Muoio per la rivoluzione», disse il patriota nell’ultimo secondo del suo olocausto. Le sue idee continuarono ad ispirare. In meno di cinque anni la tirannia di Machado si disgregò di fronte al sollevamento popolare rivoluzionario, nella cui avanguardia, di nuovo, c’erano i difensori delle idee socialiste.
Villena, Guiteras, e altre importanti figure della Rivoluzione in marcia, come Pablo de la Torriente Brau, Rafael Trejo, Blas Roca, Raúl Roa e Carlos Rafael Rodríguez, sfidarono i governi pro-imperialisti.
In quelle giornate altri partirono per la Spagna spinti dalla vocazione di fraternità come parte della brigata di volontari cubani che difendevano quella nazione aggredita dalle orde fasciste durante la guerra civile.
Là morì Pablo de la Torriente.
LA MONCADA
I giovani del Centenario, con idee simili e sogni così nobili, con gli stessi esempi, il 26 di luglio del 1953, quando attaccare la maggior forza militare di Santiago di Cuba. Portavano nel pensiero Martí, e di dirigenti a un martiano che entrava per sempre nella storia, già abbracciato alla dottrina martiano-marxista. Cominciava quel giorno l’ultima tappa della lotta per l’indipendenza dell’Isola, e in lei con uno stesso sentimento patriottico, si fondevano altre organizzazioni rivoluzionarie come il Direttorio Studentesco Universitario e il Partito Socialista Popolare.
Furono quelle le spinte patriottiche, indipendentiste, antimperialiste.
Si dovette pagare un prezzo elevato in vita e privazioni, ma la Patria rispose eretta di fornte ad ogni oltraggio e di fronte ad ogni usurpazione dell’ideale d’indipendenza e sovranità.
Come ha sottolineato lo stesso Raúl, «la condizione neocoloniale di Cuba, che permise agli Stati Uniti d’esercitare dal 1899 un dominio totale della vita economica e politica dell’Isola, frustrò, ma non annichilò, le ansie di libertà e indipendenza del popolo cubano. Esattamente 60 anni dopo, il 1º gennaio del 1959, con il trionfo della Rivoluzione guidata dal Comandante in Capo Fidel Castro, fummo definitivamente liberi e indipendenti».
Con la Rivoluzione al potere, l’unità come scudo infallibile di fronte a coloro che sognano di distruggerla è stata sempre vigile.
Una volta superate certe nicchie di settarismo transitarono verso le Organizzazioni Rivoluzionarie Integrate, e poi al Partito Unito della Rivoluzione Socialista (PURS), dal quale nacque il Partito Comunista di Cuba, al principio d’ottobre del 1965.
La resistenza incredibile di questo arcipelago di fronte agli agguati e alle ostilità si appoggiava alla guida sicura di Fidel e di Raúl. Con quella eredità, tradizione di lealtà, di unità, di resistenza e di vittoria –armi insostituibili–, il nostro Partito Comunista e il suo popolo giungono adesso all’8º Congresso, in una congiuntura cruciale.
Cuba, il paese che ha imparato a vincere sfide incredibili, che non sottovaluta ma non teme il pericolo, sostiene la sfida della continuità, la stessa che irrita e riempie d’impotenza i suoi nemici, poveri incapaci che non capiscono di questo popolo fidelista e martiano, che per lui è una convinzione non ammainare mai le bandiere.