Il Congresso che fu come un’altra Rivoluzione

La realizzazione, 45 anni fa del Congresso del Partito Comunista di Cuba, rappresentò una pietra miliare nella storia dell’organizzazione politica. La relazione centrale, la piattaforma programmatica, le tesi e risoluzioni e i due discorsi di chiusura pronunciati da Fidel nel teatro Karl Marx, in piazza della Rivoluzione costituiscono documenti d’innegabile attualità alla luce di questi tempi.

Juan Antonio Borrego

Come imitando un perito, uno dei tanti che allora lavoravano nei sistemi idraulici dello zuccherificio Uruguay, l’uomo guardò al disopra della punta della guataca ( picol azappa che si usa anche come strumento musicale metallico) e non incontrò segnali della fine di quel solco interminabile che verso le 11 di mattina gli aveva fatto sudare la camicia, i pantaloni e le scarpe.

«Signori mi è toccato il peggio di tutti. Questo lo dovevano aver tenuto per Joaquín Bernal, che è l’inventore dei lavori volontari a Sancti Spíritus», disse ai suo compagni più vicini nel lavoro.

E quando non si erano ancora spente le sghignazzate del gruppo per l’esclamazione udita, si udì la voce inconfondibile dello stesso Joaquín Bernal Camero, con la cadenza del primo segretario del Comitato Provinciale del Partito, che tre solchi più in basso stava con la guataca in mano, litigando con sterpi simili e ascoltando la conversazione:«Senta amico, termini la sua parte, gli rispose il dirigente, che io faccio la mia e le assicuro che anche questa non è facile».

Convocato da Granma, a proposito dell’imminente realizzazione del 8º Congresso del Partito, il veterano dirigente espirituano non nega l’autenticità di quell’episodio, nè di altri che erano nell’immaginario locale e che in buona misura testimoniano questo vincolo imprescindibile con un popolo; un mandato di Fidel che, secondi lui , il Partito deve tenere presente «nelle acerbe e nelle mature».

Joaquín, come lo chiamano sempre a Sancti Spíritus, tre decenni dopo il termine del suo mandato, non deve sforzare molto la memoria per tornare a quei tempi che lui definisce come «di molta effervescenza e molto apprendistato», in particolare, per riprendere il vissuto a proposito della celebrazione nel paese del 1º Congresso dei comunisti cubani (nel dicembre del 1975); un evento nel quale lui fu nominato membro supplente del Comitato Centrale, con l’incarico affatto semplice di formare una provincia nuova partendo da tre regioni differenti.

«Noi eravamo come i delegati di una provincia –Las Villas– e poi ci toccò implantare le politiche approvate in un’altra, perchè rapidamente cominciò la detta Nuova Divisione Politico Amministrativa (alla metà del 1976), e io fui nominato primo segretario del Comitato Provinciale del PCC a Sancti Spíritus», ricorda Bernal Camero.

Già allora questo lavoratore del tabacco di Cabaiguán si era coltivato in maniera autodidatta, con corsi politici nel paese e nell’allora Unione Sovietica, e soprattutto nella strada, ascoltando la gente, discutendo.

Era stato segretario del PCC nelle regioni dell’Escambray, Sagua la Grande, Santa Clara e Sancti Spíritus, e organizzatore del Partito nell’ allora provincia di Las Villas.

-Allora la tenevano come un lanciatore sostituto?

«In buona misura sì. Milián –si riferisce al veterano combattente comunista Arnaldo Milián Castro, allora primo segretario a Las Villas, promosso membro del Burò Politico nel 1º Congresso–, mi mandava in quei luoghi dove si presentava qualche problema. Ricordo che, quando mi pose al fronte della regione aSanta Clara, mi diede anche l’incarico d’organizzatore nella provincia, ma quando c’è la gioventù si può tutto. Io dirigevo la regione di giorno e di notte la provincia, dove in realtà avevo uno staff magnifico».

Di quel Congresso, che per Joaquín Bernal fu «come un’altra Rivoluzione», lui ricorda più di tutto la profondità delle discussioni attorno alla politica dei quadri, i problemi dell’economia ecc; la forte Relazione Centrale presentata da Fidel e l’ambiente che si viveva in quei giorni, all’inizio dell’epopea dell’Angola.

TUTTI I MERITI NEL COMITATO CENTRALE

Quando Fabio Grobart, con il suo inconfondibile accento polacco, presentò «Il fondatore, capo e guida della Rivoluzione» come primo segretario del Comitato Centrale del Partito, non solo si stavano riconoscendo gli indiscutibili meriti di Fidel alla guida di tutto il processo che aveva trasfigurato in maniera radicale la storia del paese, ma il suo ruolo al fronte dell’organizzazione politica che lui stesso aveva costruito con la pazienza di un orafo un decennio prima.

Pochi minuti dopo lo stesso Fidel parlò del significato del Congresso per la nazione e per il consolidamento del Partito, ora con il suo Burò Politico rinforzato con cinque preziosi compagni: Blas Roca Calderío, «la cui vita è un monumento alla semplicità, alla modestia, al lavoro e all’identificazione con la causa dei lavoratori»; José Ramón Machado Ventura, «i cui meriti, il cui carattere, il cui prestigio e la cui autorità sono noti a tutti»; Carlos Rafael Rodríguez, «la cui capacità è proverbiale, perché già nell’epoca del capitalismo si parlava di Carlos Rafael con molto rispetto»; Pedro Miret Prieto, «uno dei primi giovani universitari che si era unito alla lotta con la quale è iniziato questo processo e Arnaldo Milián Castro, per il suo «brillante lavoro al fronte della provincia di Las Villas».

Erede della stessa tradizione unitaria con cui era stato costituito il

Partito nel 1965, il nuevo Comitato Centrale, come la società stessa, si dipinse di bianco e nero , diede spazio alla donna e si nutrì di gente anonima, come il combattente internazionalista della Guinea Bissau, Pedro Rodríguez Peralta, in quel momento in una prigione dei colonialisti portoghesi ; il tagliatore di canne da zucchero Reinaldo Castro, un “milionario dei raccolti di canne”; Pilar Fernández, umile operaia di una fabbrica; lo scienziato Zoilo Marinello o il poeta Nicolás Guillén.

Anche se si sa che nel Partito e nella Rivoluzione «non può esistere, nè esisterà mai il favore familiare (…), a volte due quadri si uniscono»,spiegò Fidel ai delegati e invitati di 86 delegazioni internazionali riuniti nel Karl Marx, per poi rivelare il privilegio che rappresentava per lui poter contare con un secondo segretario del Partito che «oltre che uno straordinario quadro rivoluzionario, è anche un fratello».

La relazione familiare era servita per far sì che lui, che era il fratello maggiore, lo arruolasse nel processo rivoluzionario e lo invitasse alla Moncada, raccontò lo stesso Comandante in Capo nella chiusura : «E quello fu l’inizio. E la prigione, l’ esilio e la spedizione del Granma, e i momenti difficili, il Secondo Fronte, e il lavoro svolto durante tutti questi anni », disse, ricordando la traiettoria di Raúl.

UN CONGRESSO PER RIFLETTERE

Più che un compendio di cifre o di ideee, la Relazione Centrale del Primo Congresso del Partito costituisce un ritratto della vita economica, politica e sociale del paese, dopo 16 anni di Rivoluzione, «un documento molto forte», disse Joaquín Bernal, uno dei 3 116 delegati nella riunione, ch edide luce agli apporti di questa tappa della costruzione del Socialismo cubano, e che riconobbe anche gli errori commessi nel periodo.

«Lì si discusse duramente nelle commissioni –ricorda Dagoberto Pérez Pérez, delegato per la regione dell’Escambray, della vecchia provincia di Las Villas–. Noi difendevamo la tesi che era impossibile studiare lavorando. Ricordo che Julio Camacho Aguilera condusse il dibattito in maniera magistrale e alla fine ci convinsero del contrario».

Nel Congresso, senza dubbio non solo «si cucinò » la relazione.

Dalle sessioni di lavoro realizzate tra i giorni 17 e 22 dicembre del 1975 uscirono anche la Piattaforma programmatica del Partito, il Progetto di Costituzione della Repubblica di Cuba, approvato poi nel referendum popolare del 24 febbraio del 1976; la Nuova Divisione Politico Amministrativa, che annullò il vecchio schema della colonia e s’implementò a partire dal 1976, così come le Tesi e le Risoluzioni relative a diversi ambiti della vita nazionale.

Anche se di questa ultime ne furono approvate una ventina, è ovvio che alcuni dei questi documento si circoscrissero propriamente all’evento, altri a temi concreti e anche alla vita interna dell’organizzazione, ma senza dubbio la maggioranza di queste con una portata universale e un’innegabile attualità alla luce dei questi tempi.

Questo è il caso delle Tesi e delle Risoluzioni riferito al pieno esercizio dell’uguaglianza della donna; la Constitución e la Legge del transito costituzionale; la questione agraria e le relazioni con i contadini; la cultura artistica e letteraria; la Divisione Politico Amministrativa; la formazione dell’infanzia e la gioventù; la lotta ideologica; la Piattaforma Programmatica del Partito; la politica di formazione, selezione, ubicazione, promozione e superazione dei quadri; la politica in relazione con la religione, la Chiesa e i credenti; la politica internazionale; sugli organi del Potere Popolare; sui mezzo di diffusione di massa, le direttive per lo sviluppo economico e sociale nel quinquennio 1976-1980; la politica scientifica nazionale e la politica dell’educazione.

Quando, in questi giorni in Florida si stanno presentando due progetti di legge per educare sugli «orrori del comunismo» –secondo la proposta, il dominio della materia dev’essere una condizione per superare gli studi della secondaria–, e in Spagna la presidente Isabel Díaz Ayuso, di Madrid, ha lanciato la disgiuntiva di «comunismo o libertà», è eloquente che le Tesi e le Risoluzioni, approvate 45 anni fa dai comunisti cubani, abbracciavano allora la massima leninista che «il socialismo è impossibile senza la democrazia».

Nelle Tesi… si riconosce che «l’anticomunismo non va indirizzato solamente contro il marxismo-leninismo, ma contro tutto il pensiero democratico e progressista, contro tutte le idee che ostacolano gli obiettivi delle classi reazionarie»; una verità che almeno nel continente americano, è diventata tangibile in Cuba e in Argentina, come in Venezuela e in Nicaragua, in Honduras, in Ecuador, in Brasile, in Bolivia, o in qualsiasi angolo si sommino le idee antiegemoniche.

Le Tesi e le Risoluzioni sulla lotta ideologica identificano, senza mezze tinte, quei nemici della Rivoluzione che deformano e tergiversano l’esperienza politica della nostra lotta insurrezionale, o a coloro che tentano di dimostrare che la Rivoluzione cubana è «un’eccezionalità irrepetibile», o che la sua esperienza nega le tesi marxiste-leniniste sulla necessità dal Partito nella Rivoluzione socialista, e chiama a combattere queste falsità con la forza d’una verità storicamente provata: Cuba non è stata e non è un’eccezione ma « la conferma della forza straordinaria delle idee di Marx, Engels e Lenin».

Valga un altro esempio della validità dei documenti approvati nel 1º Congresso: in momenti nei quali la nostra cultura e i nostri creatori sono perseguitati da una macchina mediatica senza precedenti, le Tesi e le Risoluzioni sulla cultura artistica e letteraria ricordano che «la società socialista necessita un’arte che, con il piacere estetico contribuisce

all’educazione del popolo» – e questo non implica la limitazione del suo ruolo a una funzione meramente didattica – e, nello stesso tempo, censura la volgarità e la mediocrità in qualsiasi delle sue manifestazioni.

In una data relativamente lontana, come il 1975, il Congresso del Partito difende quello che reiteratamente hanno reclamado l’Unione degli Scrittori e gli Artisti di Cuba e l’Associazione Hermanos Saíz: la necessità di una critica artistica e letteraria che riconosca la qualità, e che nello stesso tempo sappia segnalare le macchie dell’opera in questione.

Pochi giorni dopo la chiusura del 1º Congresso si sarebbe sottoposto a referendum la nuova Costituzione della Repubblica di Cuba, e che le autorità regionali cominciarono a riconoscere i nuovi limiti geografici stabiliti dalla Divisione Politico Amministrativa approvata, e che per la fine del 1976 cominciarono a prendere corpo gli organi locali del Potere Popolare costituiscono appena tre prove che le decisioni di quell’evento non sarebbero finite nel cassetto.

UNA FILOSOFIA PER TUTTI I TEMPI

L’8º Congresso del Partito è stato definito come quello della continuità, non solo per il sostenuto passaggio generazionale, ma anche – e questo non risulta meno importante– perché per le trasformazioni e le attualizzazioni mediante la rotta della Rivoluzione è lo stesso.

Così come stabilisce la nuova Costituzione approvata nell’Assemblea Nazionale avallata dal voto della stragrande maggioranza dei cubani nel 2019, il Partito Comunista di Cuba mantiene la sua condizione di «forza politica dirigente superiore della società e dello Stato»; la proprietà socialista continua ad essere   la fondamentale, anche se la Carta Magna ne riconosce altre; la politica estera continua tanto verticale indipendente come 45 anni fa; le conquiste sociali –salute, educazione, lavoro, sicurezza sociale, ecc.– costituiscono priorità per lo stesso Partito, per il Governo e per lo Stato.

Lo stesso succede con l’eliminazione della discriminazione razziale e la lotta per l’uguaglianza della donna, due progetti sostenuti dalla Rivoluzione dal primo giorno, attualizzati a tenore dei tempi che corrono, puntellati sulla base di una prospettiva scientifica, anch’essa stimolata e sviluppata dallo Stato cubano, al di là delle campagne e delle insidie.

Sente così Dagoberto Pérez Pérez, un veterano dirigente del Partito, un giovane contadino della zona di Jíquima de Peláez, a Cabaiguán, che un bel giorno di dicembre del 1975 si riconobbe stupefatto, di fronte a quelle enormi tende del teatro Karl Marx, che si muovevano da un lato all’altro, come le coste delle palme quando le muove l’aria.

«Quando vedo tutti questi percorsi di Díaz-Canel, e tutti i problemi che sta seguendo ogni giorno, è come vedere lo stesso Fidel di qui tempi», confessa, seduto in casa sua in Calle Céspedes, nella città di Sancti Spíritus, dove conserva, già stinto dal tempo, l’emblema del 1º Congresso del Partito Comunista di Cuba.

Nato nel 1935, Dagoberto studiò Meccanica automotrice per corrispondenza, partecipò agli sciopero e vendette bonus, sino al punto che si vide nel mezzo dell’uragano della Rivoluzione, che lo portò al lavoro nel Partito, dove fu impegnato come primo segretario degli allora municipi di Caracusey e Condado,vicini a Trinidad, e fu anche organizzatore, il primo nella regione dell’Escambray, e poi nella giovane provincia di Sancti Spíritus.

Prima di giungere sino a lì, René Anillo Capote li convocò, lui e un gruppo di giovani, nella sede del PCC a Santa Clara, antico capoluogo di Las Villas, dove li sorprese la notizia che in quel momento –giugno del 1963– nessuno di loro comprese: «Voi andate a costruire il Partito nell’Escambray».

Così partì, montato su una jeep in direzione di Manicaragua, e dopo poco tempo, molto rapidamente si trovò di fronte al combattente di Las Villas Eugenio Urdandibel, che andava, come si dice, accomodando la gente sul terreno.

«Chi di voi sa guidare?, chiese.

«Bene, sapere, quello che si dice sapere, io lo so, ma è che non ho la patente, gli rispose Dagoberto.

«Non importa, stabilì Urdandibel che lo interrogava, e poi sparò l’altra domanda.

«Hai portato lo zaino?

«Sì ce l’ho.

«Bene, allora non c’è altro da dite se sai guidare e hai lo zaino ti tocca. Vai per i battaglioni e stai attento che l’Escambray è in Guerra».

 

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