Julio César Sánchez Guerra Traduzione : G. Federico Jauch
Tra le ultime lettere del Che, ce ne sono alcune che spiccano per il loro valore testimoniale e per la profondità del suo pensiero su vari temi della Rivoluzione, il socialismo, l’uomo nuovo, il Partito. La lettera d’addio letta da Fidel nell’ottobre 1965, il giorno della formazione del Comitato Centrale del Partito, è nota a tutti. Importanti commenti sono stati fatti anche su “El socialismo y el hombre en Cuba”, corrispondenza indirizzata a Carlos Quijano, direttore del settimanale uruguaiano Marcha
Lettera d’addio del Che a Fidel letta alla cerimonia di presentazione del Comitato Centrale del Partito Comunista di Cuba. 03/10/1965
L’Avana, «Anno dell’agricoltura»
Fidel, in questa ora mi ricordo di molte cose, di quando ti ho conosciuto in casa di Maria Antonia, di quando mi hai proposto di venire, di tutta la tensione dei preparativi.
Un giorno passarono a domandare chi si doveva avvisare in caso di morte, e la possibilità reale del fatto ci colpì tutti. Poi sapemmo che era proprio così, che in una rivoluzione, se è vera, si vince o si muore, e molti compagni sono rimasti lungo il cammino verso la vittoria.
Oggi tutto ha un tono meno drammatico, perché siamo più maturi, ma il fatto si ripete. Sento che ho compiuto la parte del mio dovere che mi legava alla rivoluzione cubana nel suo territorio e mi congedo da te, dai compagni, dal tuo popolo, che ormai è il mio.
Faccio formale rinuncia ai miei incarichi nella direzione del partito, al mio posto di ministro, al mio grado di comandante, alla mia condizione di cubano. Niente di giuridico mi lega a Cuba; solo rapporti di altro tipo che non si possono spezzare come le nomine. Se faccio un bilancio della mia vita, credo di poter dire che ho lavorato con sufficiente rettitudine e abnegazione a consolidare la vittoria della rivoluzione. Il mio unico errore di una certa gravità è stato quello di non aver avuto fiducia in te fin dai primi momenti della Sierra Maestra e di non aver compreso con sufficiente rapidità le tue qualità di dirigente e di rivoluzionario.
Ho vissuto giorni magnifici e al tuo fianco ho sentito l’orgoglio di appartenere al nostro popolo nei giorni luminosi e tristi della crisi dei Caraibi.
Poche volte uno statista ha brillato di una luce più alta che in quei giorni; mi inorgoglisce anche il pensiero di averti seguito senza esitazioni, identificandomi con la tua maniera di pensare e di vedere e di valutare i pericoli e i princìpi.
Altre sierras nel mondo reclamano il contributo delle mie modeste forze. io posso fare quello che a te è negato per le responsabilità che hai alla testa di Cuba, ed è arrivata l’ora di separarci. Lo faccio con un misto di allegria e di dolore; lascio qui gli esseri che amo, e lascio un popolo che mi ha accettato come figlio; tutto ciò rinascerà nel mio spirito; sui nuovi campi di battaglia porterò la fede che mi hai inculcato, lo spirito rivoluzionario del mio popolo, la sensazione di compiere il più sacro dei doveri: lottare contro l’imperialismo dovunque esso sia; questo riconforta e guarisce in abbondanza di qualunque lacerazione.
Ripeto ancora una volta che libero Cuba da qualsiasi responsabilità tranne da quella che emanerà dal suo esempio; se l’ora definitiva arriverà per me sotto un altro cielo, il mio ultimo pensiero sarà per questo popolo e in modo speciale per te; ti ringrazio per i tuoi insegnamenti e per il tuo esempio a cui cercherò di essere fedele fino alle ultime conseguenze delle mie azioni; mi sono sempre identificato con la politica estera della nostra rivoluzione e continuo a farlo; dovunque andrò sentirò la responsabilità di essere un rivoluzionario cubano e come tale agirò; non lascio a mia moglie e ai miei figli niente di materiale, ma questo non è per me ragione di pena: mi rallegro che sia così; non chiedo niente per loro perché lo stato gli darà il necessario per vivere e per educarsi.
Avrei molte cose da dire a te e al nostro popolo, ma sento che le parole non sono necessarie e che non possono esprimere quello che io vorrei dire; non vale la pena di consumare altri fogli. Fino alla vittoria sempre.
Patria o Morte!
Ti abbraccio con grande fervore rivoluzionario
Che
Meno citata è la missiva che in Che indirizza dal Congo ad Armando Hart, il 4 dicembre 1965, in cui esprime idee importanti su come dovrebbe essere l’approccio allo studio del marxismo, dogmatizzato allora da un pensiero burocratico e acritico.
Ma la lettera meno conosciuta è quella pubblicata il 14 giugno 2019 su Cubadebate, tratta dal libro: “Che Guevara. Epistolario de un tiempo. Lettere 1947-1967″.
L’epistola del Che del 26 marzo 1965 incita ad una frequente rilettura, perché i temi delle riflessioni di Guevara comprendono una critica costruttiva degli errori di politica economica, trattano del sistema di finanziamento del bilancio e della funzione del partito.
Alcune delle idee sollevate fanno parte di una congiuntura specifica; Altre non perdono di attualità, come quello che definisce che “ogni membro del Partito deve essere avanguardia e, per questo, deve rappresentare l’immagine più prossima a ciò che deve essere un comunista… La moralità di un comunista è il suo emblema più prezioso… la sua vera arma, per cui è necessario averne cura, anche negli aspetti più intimi della sua vita… È naturale che nel Partito non possano apparire né ladri, né opportunisti, né farisei, qualunque siano stati i loro meriti precedenti“.
Per il Che, l’etica che emana dall’esempio personale è l’ispirazione che convoca qualsiasi retroguardia a seguire la sua avanguardia.