Mikhail Gamandij-Egorov, Observateur Continental
La Repubblica Bolivariana del Venezuela continua ad essere una delle massime priorità della destabilizzazione USA in America Latina. Per questo Washington può contare anche su una serie di forze in subappalto. Tuttavia, Caracas, come i suoi alleati regionali e internazionali, sembra pronta ad affrontare le sfide.
Dall’arrivo al potere, in un quadro puramente democratico, di Hugo Chavez a capo del Venezuela nel 1999, la guerra politica nordamericana contro questo Paese è permanente. C’erano molte ragioni per questo. Prima di tutto, l’alleanza del Paese con Cuba, storico nemico di Washington. Così come la formazione di una coalizione di governi latinoamericani progressisti contrari alla politica statunitense nella regione e in generale nel mondo. Questa alleanza progressista divenne rapidamente un pericolo di prima importanza per la dirigenza di Washington, che vide diminuire la sua influenza nello spazio latinoamericano, spazio che considerava suo cortile, dove per decenni fu possibile istituire regimi reazionari e filo-USA con la forza e colpi di Stato e sbarazzarsi di leader progressisti. Inoltre, in tal senso, la capacità di nuocere sarà sicuramente un’espressione più appropriata di quella connessa all’influenza. Hugo Chavez ebbe il grande merito di stabilire e rafforzare questa coalizione progressista latinoamericana, influenzando non solo l’aspetto puramente politico, ma anche umanitario, medico, educativo e persino mediatico coll’apparizione nel 2005 del canale televisivo pan-latinoamericano TeleSUR. Quest’ultimo è andato di traverso agli USA, e più in particolare ai media come la CNN. Inoltre, l’alleanza progressista antimperialista andrà oltre il quadro strettamente regionale e continentale per formare forti relazioni con Cina, Russia e persino Iran. Dando evidente impulso al rafforzamento del concetto multipolare globale. Quest’ultimo aspetto sarà uno dei motivi del posizionamento ancor più isterico di Washington nei confronti di Caracas, per il ruolo nei processi citati. A questo si aggiungono le enormi risorse petrolifere del Paese: il tutto attivando tentativi di golpisti, aggressioni e destabilizzazioni di ogni tipo per Washington e i suoi ausiliari indipendentemente dalle amministrazioni vigenti negli Stati Uniti.
Come promemoria, nel marzo 2015, col pretesto che il potere venezuelano rappresenta “una minaccia alla sicurezza degli Stati Uniti”, Washington dichiarò “lo stato di emergenza” contro il Venezuela. Tutto questo ovviamente per giustificare la crescente pressione su Caracas. Perciò furono avanzati vari pretesti: presunte violazioni dei diritti umani, persecuzione di oppositori politici, abuso di potere da polizia, esercito e servizi di sicurezza, intelligence del Venezuela. In breve, il solito cocktail delle élite atlantiste quando diventa necessario giustificarne l’interferenza o aggressione contro nazioni sovrane. Inoltre, violazioni di cui furono essi stessi i campioni. Basta seguire le violenze della polizia, praticamente ogni giorno, per le strade degli USA. L’attuale inquilino della Casa Bianca Joe Biden continua a sostenere e intensificare il confronto con Caracas: “La situazione in Venezuela continua a rappresentare una minaccia insolita e straordinaria per la sicurezza nazionale e la politica estera degli Stati Uniti, quindi ho ritenuto necessario prolungare lo stato di emergenza”. Inoltre, coll’approvazione del Congresso degli Stati Uniti, le sanzioni statunitensi contro il Venezuela furono prorogate fino a marzo 2022. Va certamente anche ricordato che il Venezuela, insieme ad altre nazioni progressiste latinoamericane, tra cui Cuba, Nicaragua e Bolivia fu espressamente citato come una delle principali minacce per gli Stati Uniti nei rapporti del Southern Comnand United States (Southcom). Inoltre, viene espressamente menzionata anche l’interazione di questi Paesi coi principali avversari geopolitici di Washington sull’arena internazionale, vale a dire Russia, Cina e Iran. Southcom aveva persino parlato di “aumento allarmante” dell’influenza di questi tre Paesi in America Latina.
Nelle destabilizzazioni ed interventi definitivi, Washington può ovviamente affidarsi ai suoi ausiliari regionali. In tale senso e nel caso proprio del Venezuela, è la Colombia che ha il ruolo di “prima scelta” applicando i piano nordamericani. Anche se è bene dirlo, finora senza molto successo. In generale, sarebbe giusto menzionare che, a differenza dei colpi di Stato orchestrati da Washington e sue varie strutture, come la CIA, durante la seconda metà del ventesimo secolo, oggi il “successo” è di molto inferiore. Per questo vi sono diversi motivi. L’efficacia dei servizi di intelligence dei Paesi progressisti dell’America Latina, come quelli del Venezuela. La solidarietà tra questi Paesi nel quadro regionale è chiara. Il sostegno delle grandi potenze internazionali a favore del multipolarismo. Senza dimenticare la mobilitazione dei popoli interessati, che costituisce un’ottima risposta a qualsiasi tentativo di ingerenza o aggressione. In questo senso, l’esempio della Bolivia, alleata di Caracas, è rivelatore. A giudicare dalla stampa colombiana, le basi statunitensi in Colombia e in altri Paesi dell’America Latina sono costantemente sorvegliate dai servizi d’intelligence cubani e venezuelani. Inoltre, i documenti statunitensi che disciplinano le operazioni di destabilizzazione e invasione sono a disposizione dell’Avana e di Caracas. La minaccia di un attacco a sorpresa è quindi praticamente esclusa. Quanto al resto, le degne nazioni dell’America Latina avranno già dimostrato saper resistere al neocolonialismo degli Stati Uniti e dell’occidente. In questo possono contare anche su alleati internazionali. Verrà sicuramente il giorno in cui le nazioni latinoamericane formeranno piani per sostenere la vera democrazia e i diritti umani sul suolo statunitense.
Traduzione di Alessandro Lattanzio