I 100 giorni di Biden per Cuba

Jesús Arboleya https://progresosemanal.us

Di fronte ad una sessione congiunta del Congresso USA, ridotta nel pubblico per rispettare le norme di distanza fisica che esige la pandemia, il presidente Joe Biden ha reso conto dei primi 100 giorni del suo governo. Da quando Franklyn Delano Roosevelt è riuscito a imporre le misure fondamentali del New Deal, in un tempo simile, la norma politica USA ha stabilito questo periodo per calcolare il corso di ogni nuova amministrazione e il possibile esito della sua amministrazione.

A Joe Biden non è andata male nella valutazione dei suoi risultati. Secondo un recente sondaggio Gallup, il 54% dei nordamericani appoggia la sua azione, piuttosto elevata rispetto al 40% ottenuto da Donald Trump in un ciclo simile. Ciò è stato influenzato dalla percezione di una migliore gestione della pandemia con risultati significativi nella riduzione dei contagi e dei decessi ad essi associati, grazie alla vaccinazione di massa della popolazione. Allo stesso tempo, c’è una certa ripresa economica, associata soprattutto all’aumento delle opportunità di lavoro.

Il discorso di Biden è stato un manifesto di alto contenuto sociale, in linea con le più ortodosse tradizioni del liberalismo democratico. Ciò ha particolarmente soddisfatto i cosiddetti settori progressisti del partito, il che indica l’importanza raggiunta da questo settore nelle file democratiche, di fronte all’anch’esso monolitico blocco repubblicano che ha già annunciato la sua opposizione al piano del presidente. Il problema, quindi, non è quanto siano ambiziose le proposte del presidente, come ha sottolineato la stampa, ma piuttosto la sua capacità di metterle in pratica nel complesso scenario politico nordamericano.

Tra le sue proposte si evidenzino piani di aiuti multimilionari per gli effetti economici della pandemia e grandi investimenti statali in infrastrutture civili, una formula tipicamente keynesiana, che ha anche l’obiettivo politico di fratturare la base di sostegno che ha portato Donald Trump alla presidenza. Miliardi di dollari per garantire l’accesso gratuito ad università comunitarie, assistenza all’infanzia e miglioramento del sistema sanitario, quello che è stato chiamato American Family Plan, a cui si è aggiunto l’appello ad affrontare problemi sociali connessi con equità sociale, razzismo sistemico, diritti delle donne, protezione del voto universale,  controllo delle armi, cura dell’ambiente e un migliore trattamento degli immigrati.

La grande domanda è da dove verranno le risorse economiche per queste spese, una risposta sta nella magica riproduzione del dollaro senza base nell’economia reale, il che implica che tutti i cittadini del mondo, in un modo o nell’altro, pagheremo il riscatto dell’economia USA. L’altro è mediante l’aumento della riscossione impositiva, per cui vengono proposte riforme che andrebbero a vantaggio dei settori poveri e della classe media, a costo di aumentare le tasse sui grandi capitali e sulle società, che, sebbene modeste, non cesserebbero di avere valore economico e politico, se fossero approvate. Insomma, siamo in presenza di un progetto di rafforzamento dell’intervento dello Stato nell’economia nazionale, in franca contraddizione con le tendenze conservatrici imperanti nel paese.

Al contrario, concentrato sugli enormi problemi interni che attraversano gli USA, la politica estera di Biden appare orfana di nuove iniziative. Sebbene, dottrinalmente, si potrebbero menzionare grandi differenze tra la politica estera dell’attuale governo e quella portata avanti da Donald Trump, riflesse in questioni come il discorso ufficiale, l’atteggiamento verso il multilateralismo e il trattamento degli alleati, in pratica non si sono prodotti cambiamenti rilevanti.

Fatta eccezione per la questione migratoria, più connessa alla politica interna, dove il governo Biden cerca di raggiungere accordi con il Messico ed il triangolo settentrionale del Centro America per fermare i flussi di immigrati alla frontiera, la proiezione estera del governo USA si limita ad esortazioni sul “ritorno” degli USA sulla scena internazionale, come se se ne fossero mai andati, e dichiarazioni magniloquenti in cui riprende il progetto del “nuovo secolo americano” che, per inciso, è stato un’invenzione dei neoconservatori.

Lo screditato argomento dell’impegno USA per la promozione della democrazia e la difesa dei diritti umani, si mostra come il pilastro di una diplomazia incaricata di ripristinare la “leadership” di quel paese nel mondo. Da parte sua, subordinare la politica estera agli “interessi della classe media nordamericana” ci ricorda lo sciovinista “America First” di Donald Trump, anche se detto con parole più eleganti.

Lo scenario internazionale si legge allo stesso modo, con la Cina al centro della disputa egemonica e fonti di conflitto con tutti i paesi che non si subordinano alla politica USA. Il budget militare rimane intatto, ciò che costituisce una pietra per le riforme interne proposte, e le sanzioni continuano ad essere la principale fonte di influenza degli USA su scala internazionale. L’amministrazione Biden non ha rimosso una sola delle sanzioni imposte da Trump o dai suoi predecessori a decine di paesi in quasi tutti i continenti, né ha espresso l’intenzione di modificare questa politica.

Cuba è uno degli esempi più illustrativi della subordinazione della politica estera agli interessi interni dell’uno o dell’altro partito. Così è stato nel corso della storia e l’esempio più recente è stato lo smantellamento della politica di Obama da parte di Donald Trump, al fine di ottenere il sostegno dell’estrema destra cubano-americana a Miami. Biden ha promesso di emendare il residuo se avesse vinto la presidenza, ma dopo cento giorni del suo governo non si apprezza nessun gesto in tal senso.

Si sostiene che il silenzio su Cuba faccia parte di una tattica congiunturale volta ad evitare conflitti nel Congresso, ma in realtà si riduce a placare il fanatismo anti-cubano del senatore Bob Menéndez. I congressisti repubblicani cubano-americano non voteranno mai a favore delle sue iniziative, qualunque cosa faccia rispetto a Cuba, e una politica volta a migliorare le relazioni con l’isola sarebbe accolta favorevolmente dalla maggioranza dei congressisti del suo partito e persino da molti repubblicani che supportano questo processo.

Nel bene e nel male, Cuba non può essere disprezzata dagli USA, sostenendo che non si tratta di una priorità per quel paese. Il mercato cubano risulta complementare per importanti gruppi economici nordamericani ed interessa che questo spazio non sia occupato dai loro concorrenti, il che spiega l’enorme investimento che significa perseguitarli e sanzionarli; le sanzioni stesse costituiscono un punto di costante attrito con gli alleati; la vicinanza geografica collega la questione cubana alla sicurezza nazionale USA; la politica verso Cuba è un riferimento obbligato per le relazioni con il Terzo Mondo e, anzi, incide in molti modi sulle dinamica interna  nordamericana.

Nelle paure ed ambivalenze di alcuni funzionari governativi radica il vero ostacolo al progresso nel miglioramento delle relazioni con Cuba. Questa è anche una caratteristica distintiva del liberalismo USA.


Los 100 días de Biden para Cuba

 Por Jesús Arboleya

Ante una sesión conjunta del Congreso de Estados Unidos, menguada de público para cumplir con las normas de distancia física que exige la pandemia, el presidente Joe Biden rindió cuenta de los primeros cien días de su gobierno. Desde que Franklyn Delano Roosevelt logró imponer las medidas fundamentales del New Deal en un tiempo similar, la norma política norteamericana ha establecido este período para calcular el rumbo de cada nueva administración y el éxito posible de su gestión.

A Joe Biden no le ha ido mal en la evaluación de sus resultados. Según una reciente encuesta de Gallup, el 54% de los norteamericanos apoya su desempeño, bastante alto si se le compara con el 40% obtenido por Donald Trump en similar ciclo. En esto ha influido la percepción de un manejo mejor de la pandemia con resultados significativos en la reducción de los contagios y las muertes asociadas a los mismos, gracias a la vacunación masiva de la población. A la par, se da cuenta de cierta recuperación económica, asociada especialmente con el incremento de las oportunidades de empleo.

El discurso de Biden fue un manifiesto de alto contenido social, a tono con las más ortodoxas tradiciones del liberalismo demócrata. Ello complació de manera especial a los llamados sectores progresistas del partido, lo que indica la importancia alcanzada por este sector en las filas demócratas, enfrentadas al también monolítico bloque republicano que ya anunció su oposición al plan del presidente. El asunto, entonces, no es lo ambiciosas que resultan las propuestas del presidente, como ha destacado la prensa, sino su capacidad para concretarlas en el complejo escenario político norteamericano.

Entre sus propuestas se destacan planes multimillonarios de alivio a los efectos económicos de la pandemia y grandes inversiones estatales en la infraestructura civil, una fórmula típicamente keynesiana, que también tiene el objetivo político de fracturar la base de apoyo que llevó a Donald Trump a la presidencia. Miles de millones de dólares para garantizar el acceso gratuito a universidades comunitarias, el cuidado infantil y mejoras en el sistema de salud, lo que se ha denominado como el Plan de la Familia Americana, a lo que se sumó la convocatoria a enfrentar problemas sociales relacionados con la equidad social, el racismo sistémico, los derechos de las mujeres, la protección del voto universal, el control de las armas, el cuidado del medio ambiente y un mejor trato a los inmigrantes.

La gran interrogante es de dónde saldrán los recursos económicos para estos gastos, una respuesta radica en la mágica reproducción del dólar sin base en la economía real, lo que implica que todos los ciudadanos del mundo, de una forma u otra, pagaremos el rescate de la economía norteamericana. La otra es mediante el incremento de la recaudación impositiva, para lo que se proponen reformas que beneficiarían a los sectores pobres y la clase media, a costa del aumento de los impuestos a los grandes capitales y las corporaciones, lo que, aunque modestos, no dejarían de tener valor económico y político, si fuesen aprobados. Para resumir, estamos en presencia de un proyecto de fortalecimiento de la intervención del Estado en la economía nacional, en franca contradicción con las tendencias conservadoras imperantes en el país.

En contraposición, concentrado en los enormes problemas domésticos por los que atraviesa Estados Unidos, la política exterior de Biden aparece huérfana de nuevas iniciativas. Aunque doctrinalmente pudieran mencionarse grandes diferencias entre la política exterior del actual gobierno y la llevada a cabo por Donald Trump, reflejadas en asuntos como el discurso oficial, la actitud frente al multilateralismo y el tratamiento a los aliados, en la práctica no se han producido cambios de relevancia.

Salvo en el tema migratorio, más conectado con la política doméstica, donde el gobierno de Biden intenta llegar a acuerdos con México y el triángulo norte de Centroamérica para frenar los flujos de inmigrantes en la frontera, la proyección exterior del gobierno norteamericano se limita a exhortaciones sobre el “regreso” de Estados Unidos a la arena internacional, como si alguna vez se hubiese ido, y declaraciones grandilocuentes donde retoma el proyecto del “nuevo siglo americano” que, por cierto, fue un invento de los neoconservadores.

El desacreditado argumento del compromiso de Estados Unidos con la promoción de la democracia y la defensa de los derechos humanos, se muestra como el pilar de una diplomacia encargada de restablecer el “liderazgo” de ese país en el mundo. Por su parte, subordinar la política exterior a “los intereses de la clase media norteamericana”, nos recuerda el chovinista “América Primero” de Donald Trump, aunque dicho con palabras más elegantes.

El escenario internacional se lee de la misma manera, con China en el centro de la disputa hegemónica y focos de conflicto con todos los países que no se subordinan a la política de Estados Unidos. El presupuesto militar se mantiene intacto, lo que constituye una potala para las reformas internas que se proponen, y las sanciones continúan siendo el principal recurso de la influencia de Estados Unidos a escala internacional. La administración Biden no ha eliminado una sola de las sanciones impuestas por Trump o sus antecesores a decenas de países en casi todos los continentes, ni ha expresado la intención de modificar esta política.

Cuba es uno de los ejemplos más ilustrativos de la subordinación de la política exterior a los intereses domésticos de uno u otro partido. Así ha sido a lo largo de la historia y la muestra más reciente fue el desmantelamiento de la política de Obama por parte de Donald Trump, con tal de ganar el respaldo de la ultraderecha cubanoamericana de Miami. Biden prometió enmendar lo desecho si ganaba la presidencia, pero pasados los cien días de su gobierno, no se aprecia ningún gesto en este sentido.

Se aduce que el silencio respecto a Cuba forma parte de una táctica coyuntural encaminada a evitar conflictos en el Congreso, pero en realidad esto se reduce a aplacar el fanatismo anticubano del senador Bob Menéndez. Los congresistas republicanos cubanoamericanos jamás votarán a favor de sus iniciativas, haga lo que haga respecto a Cuba, y una política encaminada al mejoramiento de las relaciones con la Isla, sería bienvenida por la mayoría de los congresistas de su partido e incluso por muchos republicanos que apoyan este proceso.

Para bien o para mal, Cuba no puede ser despreciada por Estados Unidos, aduciendo que no se trata de una prioridad para ese país. El mercado cubano resulta complementario para importantes grupos económicos norteamericanos e interesa que este espacio no sea ocupado por sus competidores, lo que explica la tremenda inversión que significa perseguirlos y sancionarlos; las propias sanciones constituyen un punto de fricción constante con los aliados; la cercanía geográfica relaciona el tema cubano con la seguridad nacional de Estados Unidos; la política hacia Cuba es un referente obligado para las relaciones con el Tercer Mundo y, efectivamente, impacta de muchas maneras en la dinámica doméstica norteamericana.

En los temores y ambivalencias de algunos funcionarios del gobierno radica el verdadero obstáculo para avanzar en el mejoramiento de las relaciones con Cuba. Ello también constituye una característica que define al liberalismo norteamericano.

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