Il parlamento venezuelano ha approvato le nomine per il nuovo Consiglio Nazionale Elettorale (CNE), l’autorità preposta a organizzare le elezioni regionali e comunali che si svolgeranno quest’anno. Hanno prestato giuramento davanti al presidente dell’Assemblea Nazionale, Jorge Rodriguez, cinque rettori, che guideranno per 7 anni l’organo direttivo del Potere Elettorale, uno dei cinque di cui si compone la costituzione bolivariana. Per parte chavista, sono stati scelti Pedro Calzadilla (presidente), Tania D’Amelio (che è stata rettora per 11 anni), e Alexis Corredor Pérez (ex deputato all’Assemblea Nazionale Costituente). Enrique Márquez e Roberto Picón sono oppositori.
Tutti sono stati eletti a conclusione di un percorso durato un mese nel quale si sono presentati 103 candidati. I parlamentari hanno votato a favore della proposta di una commissione, presieduta da Giuseppe Alessandrello, che ha scelto i cinque rettori. Per Calzadilla, ex ministro dell’Educazione Universitaria nel 2014, si è trattato di “uno storico accordo nazionale di forze sociali e politiche per rimettere il Venezuela sulla via della stabilità, nel rispetto della dinamica che impone la democrazia partecipativa e protagonista”.
Dialogare, infatti, non significa derogare ai principi del socialismo bolivariano che ha nel popolo cosciente e organizzato la sua spina dorsale. “Bisogna costruire l’irreversibilità della rivoluzione bolivariana con il Potere popolare, esercitando il potere politico attraverso i Consigli Presidenziali di governo popolare, rompendo gli schemi stabiliti dai governi borghesi”, ha detto infatti Maduro, approvando 9 punti di lavoro del Consiglio Presidenziale della Classe operaia.
E, per celebrare i 200 anni dall’indipendenza, è in corso il Congresso Bicentenario dei Popoli del Mondo, che indica come l’internazionalismo e l’antimperialismo restino assi portanti della rivoluzione bolivariana. Un progetto nel quale fa premio la ricerca del consenso rispetto alla coercizione, come si vede anche in questa circostanza. In base al risultato dell’elezione legislativa del 6 dicembre 2020, infatti, il chavismo avrebbe avuto diritto a nominare l’intera cinquina. La maggioranza qualificata di 256 seggi su 277 glielo avrebbe consentito.
La nuova composizione è però il portato della complessa situazione in cui si è venuto a trovare il paese a seguito della svolta golpista di una parte dell’opposizione, avallata dagli Stati Uniti e dai suoi vassalli, in primo luogo l’Unione Europea. Un piano destabilizzante che, dopo la vittoria della destra alle parlamentari del 2015, avrebbe potuto sfociare in una guerra civile. Il governo bolivariano non ha però voluto scegliere come via maestra quella della coercizione e neanche ha poi proceduto a una resa dei conti con la banda di ladroni capitanata da Guaidó, come una parte del popolo chavista vorrebbe.
Seguendo il percorso di Chavez, che dopo il golpe del 2002 tornò con la costituzione in una mano e la croce nell’altra per proporre un processo di riconciliazione nazionale, Maduro ha tante volte invitato al dialogo le componenti avverse. E solo l’intervento a gamba tesa degli Stati Uniti ha bloccato un accordo già concluso, nella Repubblica Dominicana, nel 2017. Ma l’intenzione, da parte di Maduro, non è mai venuta meno, nonostante le ingerenze, la chiusura diplomatica e, soprattutto, le misure coercitive unilaterali, imposte illegalmente dalla cosiddetta “comunità internazionale”.
Una strada impervia, ma finora pagante, che è riuscita efficacemente a dividere il fronte della destra confidando nella “diplomazia di pace”. Il risultato più tangibile è stato ottenuto per le parlamentari dell’anno scorso, quando un significativo arco dei partiti d’opposizione ha scelto di rientrare nella legalità, partecipando alle elezioni. La celerità con cui l’attuale parlamento sta approvando leggi e normative, anche con l’apporto dei deputati di opposizione che partecipano ad alcune importanti commissioni, indica la buona tenuta delle istituzioni a 22 anni dalla vittoria di Hugo Chavez, il 6 dicembre del 1998.
Ora, il profilo dei due rettori mostra che la via del dialogo ha prodotto un altro risultato, frantumando ulteriormente il consenso all’autoproclamato. Márquez, ora vicepresidente del CNE, è stato deputato e vicepresidente del Parlamento dominato dalla destra: quello che i paesi sostenitori di Guaidó prendono a riferimento, disconoscendo tutte le altre elezioni. È stato anche membro del G4, la coalizione dei principali 4 partiti oppositori di cui ha fatto parte la sua formazione, Un Nuevo Tiempo. Roberto Picón è stato assessore della defunta alleanza di opposizione Mesa de la Unidad Democrática (MUD), che ha riunito tutti i partiti contrari al chavismo e che ha vinto le legislative del 2015. Oltre a essere esperto in materia elettorale, dal lato della destra, ha anche scontato sei mesi di carcere per le violenze del 2017 contro il governo, accusato di ribellione, tradizione della patria e sottrazione di materiale militare. Un pedigree che non lascia dubbi circa il campo a cui appartiene.
Di fronte al plateale fallimento dei suoi piani e al cambio di inquilino alla Casa Bianca, Guaidó potrebbe essere obbligato a ridurre il suo mantra (fine dell’usurpazione, governo di transizione), nel quadro del fattuale riconoscimento ricevuto da Maduro mediante importanti piani umanitari realizzati per la pandemia con alcune istituzioni dell’Onu.
E si capisce perché l’estrema destra che si trova all’estero, sia agitata. Si spiega così la visita lampo in Italia di una delegazione guidata da Leopoldo Lopez, ricevuta dal Senato. Peter Stano, principale portavoce del Servizio Europeo di Azione Esteriore (SEAE) della UE ha salutato la nomina del nuovo CNE come “un primo passo e parte di un percorso”. Si cerca di portare l’Italia, che con il governo precedente ha mantenuto una posizione intermedia (né con Maduro, né con Guaidó), ad adeguarsi maggiormente alla posizione europea, molto influenzata dalla lobby di Lopez (padre) e compari.
Dopo la conferenza stampa, sia Lopez che pezzi importanti del governo italiano hanno espresso grande sintonia contro “i soprusi di Maduro” e per “negoziati internazionali che portino a elezioni presidenziali libere e trasparenti”. Lopez si è poi lasciato andare a dichiarazioni di sostegno al suo amico Duque, in Colombia, con cui si è fatto vedere prima di approdare in Spagna per minacciare il Venezuela di una nuova invasione. Entrambi condividono la passione per il narco-traffico e il paramilitarismo.
Dietro il sostegno all’estrema destra venezuelana, vi sono anche ragioni elettorali, in base agli interessi dei grandi costruttori italiani che hanno fatto fortuna in Venezuela, rappresentati da un arco trasversale di partiti, compatti nella “paura del socialismo”. È una situazione analoga a quella della Spagna. Come mostra l’inchiesta comparsa su un quotidiano italiano, solo a Madrid vivono 100.000 venezuelani, prevalentemente nelle zone ricche, dove una casa costa 500.000 euro.
Lopez abita lì, nel lusso. Almeno in 50.000 hanno diritto di voto, e le loro preferenze vanno, naturalmente alla destra e all’estrema destra spagnola. Un potentissimo gruppo di pressione che ha comprato 7.000 appartamenti di lusso e che “spende 100.000 euro a settimana all’Hotel Riz”. Con l’aiuto di un certo tipo di giornalisti, che rispondono alle ambasciate statunitensi, hanno egemonizzato l’opinione pubblica riguardo il Venezuela.
In uno studio presentato alla Corte Penale Internazionale, e illustrato dalla vicepresidenta Delcy Rodriguez, in compagnia del ministro della Comunicazione, Freddy Ñáñez e degli Esteri, Jorge Arreaza, risulta che su 293 notizie verificate nei messaggi in rete contro il Venezuela, il 70% corrisponde a versioni dell’opposizione venezuelana. Questo – ha detto Rodriguez – è parte di una guerra ibrida contro il Venezuela, che non solo ha asfissiato il paese economicamente, ma ha intrapreso un’operazione di linciaggio contro la sua immagine che pure ha conseguenze economiche. Dobbiamo – ha aggiunto – portare la nostra voce all’Onu, perché il caso del Venezuela venga preso a esempio di come si stia violando tutto il tessuto giuridico del diritto internazionale pubblico, del diritto internazionale privato, di come “si stia vulnerando e minando la Carta delle Nazioni Unite”.