Il 10 maggio lo scenario mediatico del Sudamerica ha localizzato due paesi: Brasile e Colombia, e due presidenti: Jair Bolsonaro e Iván Duque.
Nei due casi la situazione è caotica. Da una pandemia mal attesa responsabilmente, che ha lasciato in Brasile 421316 morti e 15145879 contagiati, e in Colombia 77854 deceduti e 3002758 infettati, alla sparatoria che ha tolto la vita a 28 persone in una favela di Río de Janeiro, e l’aggressione della polizia contro il popolo nelle strade colombiane, che ha provocato la morte di 40 persone sino ad ora Nella più grande nazione sudamericana, il Brasile, il presidente ha «felicitato la polizia per il massacro nella favela», condannato da politici e da media per l’abuso della forza da parte degli agenti.
Il mandatario ha assicurato che «non si possono trattare come vittime dei presunti criminali».
Bolsonaro, in questa e altre opportunità, ha difeso la sua tesi che sostiene che «i poliziotti che ammazzano i delinquenti non devono rispondere alla giustizia».
In questo caso sarà necessario chiedere se dev’essere processato o no un governante che è stato il massimo responsabile dei morti per la COVID-19 nel suo paese.
Mi soffermo, vedendo l’attenzione mediatica di questi giorni sulla Colombia, sulla decisione del presidente Duque di ordinare una più forte presenza di forze militari, fondamentalmente nella città di Cali «per recuperare il controllo dell’ordine», ha detto.
Nell’ultima giornata di scontri tra la polizia e la popolazione sono stati feriti 8 – 12 dodici indigeni, in accordo con i dati del quotidiano locale El Tiempo.
In Colombia, una valanga di popolo esasperato per la tolleranza governativa e il caos istituzionale, con i continui massacri dei dirigenti contadini, degli indigeni e degli ex guerriglieri aderenti al Piano di Pace, e la grave situazione economica e sociale, che hanno condotto all’esplosione attuale.
Si tratta, disgraziatamente di due paesi danneggiati dallo stesso modello neoliberale con la stessa protezione imperiale USA nei quali dovrà essere il popolo a dire l’ultima parola sui cambi che dovranno avvenire.