Colombia, Duque “dichiara guerra” al popolo in lotta

Fabrizio Verde www.lantidiplomatico.it

Alle sacrosante proteste popolari in Colombia il regime di estrema destra guidato da Ivan Duque risponde solo con militarizzazione e brutale repressione. Così il Comitato Nazionale dello Sciopero in Colombia, la piattaforma che raggruppa le istanza popolari in rivolta contro il governo, scende di nuovo sul piede di guerra.

Dopo aver concluso la seconda giornata di dialogo, il Comitato, ha indicato che il governo colombiano ha rifiutato di offrire garanzie per l’avvio dei negoziati e che “non riconosce la gravità e la dimensione della violenza di Stato contro i manifestanti”.

“Oggi ci aspettavamo una risposta alle nostre richieste di garanzie per la protesta, al fine di avviare i negoziati, e il governo ha detto no a tutto”, ha riferito in un comunicato pubblicato lunedì sera il Comitato Nazionale dello Sciopero, come riferisce l’emittente RT. 

Una delle richieste avanzate dai manifestanti è la fine della repressione brutale delle proteste sociali. Tuttavia, le organizzazioni hanno denunciato che il governo colombiano non ha fornito una risposta sull’uso delle armi da fuoco da parte delle forze di sicurezza, il contenimento dei gruppi paramilitari armati e le detenzioni indiscriminate dei manifestanti.

“Il governo insiste nel mostrare e persino esagerare gli atti di vandalismo, come se questo potesse legittimare la forza pubblica ad uccidere, ferire o far sparire coloro che protestano”, denunciano gli esponenti del comitato.

Il rappresentante del Coordinador Nacional Agrario (CNA), Robert Daza, sottolinea che il dialogo è impossibile finché continuerà la repressione e il “trattamento bellico” della protesta sociale. “Non si può arrivare a un accordo sulle rivendicazioni in un lago di sangue”.

Daza sottolinea che, nonostante la promessa del governo colombiano di rispettare le manifestazioni ed evitare la repressione, continuano a verificarsi casi di brutalità della polizia e omicidi.

Una nuova grande mobilitazione

La repressione e le minacce non fermano le proteste popolari che si allargano. Il sindacato Central Unitaria de Trabajadores ha deciso di unirsi alla nuova giornata di mobilitazione prevista per questo mercoledì 19 maggio, in cui i manifestanti continueranno a chiedere garanzie democratiche sulla protesta e sulla pace.

Cosa chiedono i manifestanti?

Il primo capitolo del documento realizzato dal CNP, che comprende 26 settori a livello nazionale, 29 settori dipartimentali e più di 300 comitati comunali, parla di “misure immediate” che devono essere adottate per garantire il libero esercizio della protesta sociale e lo stop alla violenza contro i manifestanti. Ci sono un totale di cinque punti che includono, tra gli altri, il ritiro dell’esercito ed Esmad dalla polizia per proteggere le proteste; nonché misure specifiche per fermare la violenza sessuale perpetrata dalla forza pubblica contro le donne. In questo modo, indicano che si deve riconoscere che c’è stata responsabilità delle forze dell’ordine nella violazione dei diritti alla vita, all’integrità personale, alla libertà, all’assemblea e alla manifestazione pubblica.

Inoltre, il Comitato denuncia la stigmatizzazione della mobilitazione dei cittadini e chiede al governo e alla forza pubblica di rettificare pubblicamente le qualifiche di “vandalismo criminale”, “terrorismo vandalico” con cui si riferiscono ai manifestanti. Insistono anche sull’adozione di misure per fermare la violenza sessuale perpetrata dalla forza pubblica contro le donne nel quadro delle proteste.

Poi i manifestanti chiedono la difesa della produzione nazionale (agricola, industriale, artigianale, contadina). Sussidi alle piccole e medie imprese e occupazione con diritti e una politica che difenda la sovranità e la sicurezza alimentare.

Su un’altra questione, chiedono di fermare l’eradicazione forzata delle colture per uso illecito e l’irrorazione aerea con il glifosato.

I leader del Comitato hanno affermato che, se si raggiunge un accordo, deve essere formalizzato con la presenza del Presidente della Repubblica al tavolo delle trattative.

Duque ordina il dispiegamento della forza pubblica a causa dei blocchi e il CUT lo accusa di “dichiarare guerra” ai manifestanti

La risposta del regime, tuttavia, è la solita: repressione e violenza. Il presidente Iván Duque ha ordinato alle forze di sicurezza di dispiegare la loro “massima capacità operativa” per sgomberare le strade bloccate dai manifestanti durante i 20 giorni in cui si sono svolte le proteste contro il suo regime di estrema destra, in cui sono morte più di 40 persone.

“Abbiamo istruito tutti i livelli della forza pubblica in modo che nei territori della Colombia, sindaci e governatori, dispieghino la loro massima capacità operativa in modo che all’interno della proporzionalità e del rigoroso rispetto dei diritti umani e della loro protezione consentano a tutti i colombiani di riprendere la mobilità , ritrovare il benessere”, afferma Duque in una dichiarazione.

Il presidente ha spiegato che la sua decisione si basa sul fatto che in Colombia è consentita la “protesta pacifica”, ma “i blocchi stradali, sulle autostrade, che hanno colpito milioni di cittadini, milioni di contadini che non hanno potuto ottenere i loro prodotti”. Quindi si tratta di proteste “illegali” nella visione del presidente colombiano.

“Abbiamo anche visto l’impatto che ha portato alla circolazione del cibo, mettendo in corto circuito intere città. Questo tipo di pratiche sono illegali e sono censurate anche nel codice penale del nostro Paese”, ha detto il presidente, che da due settimane ha già schierato l’Esercito per colpire i manifestanti.

Allo stesso modo, Duque ha sottolineato che “c’è un chiaro interesse criminale a colpire e sabotare l’economia e lo sviluppo sociale di molte popolazioni”. Ha poi aggiunto: “Non ci sono dittature qui, non c’è oppressione. Questa è una democrazia con una tabella di marcia che è la nostra Costituzione e dobbiamo applicarla e rispettarla per il benessere di tutti i cittadini”.

Belle parole, ma la realtà racconta tutt’altra storia. Il Comitato Nazionale dello Sciopero ha rigettato le parole di Duque considerandole come una “dichiarazione di guerra”.

“Duque dichiara guerra allo sciopero quando ordina di dispiegare il massimo delle sue forze militari e di polizia sui siti di concentrazione pacifica che esistono nel paese”, ha indicato il presidente della CUT, Francisco Maltés.

I coordinatori delle manifestazioni hanno condannato il fatto che il Governo si ostini a non voler affrontare il tema relativo all’uso delle armi da fuoco nel controllo delle proteste, al contenimento dei gruppi paramilitari armati, alle detenzioni indiscriminate, alla richiesta di rettifica della qualifica di terrorismo vandalico o al funzionamento del protocollo di protesta.

La repressione non si placa

Il regime si auto-definisce democratico e rispettoso della Costituzione, ma intanto le forze di sicurezza colombiane continuano a massacrare i manifestanti. La Squadra mobile antisommossa (Esmad) della polizia ha represso – come si evince da testimonianze sui social – manifestanti in diverse città della Colombia con la consueta brutalità che contraddistingue l’azione di questi squadroni.

Il bilancio dell’ennesima giornata di violenza è pesante. Secondo alcune prime informazioni ci sarebbero decine di feriti e molti altri detenuti e scomparsi. Le ONG hanno segnalato circa 50 morti dall’inizio dello sciopero nazionale, il 28 aprile.

Il senatore Iván Cepeda Castro ha pubblicato scrive sul suo account Twitter: “Oggi la notte di terrore poliziesco è a a Caldas, Antioquia: trattamento crudele contro le persone catturate, tagliano l’elettricità e Internet mentre fanno ‘le procedure’, sparano con armi ‘meno letali’ contro i manifestanti. Nelle risposte al tweet del senatore colombiano, diversi utenti hanno riferito che una situazione simile si è verificata nel comune di Bello (Antioquia) e nel settore Romelia.

Sul suo sito web, Blu Radio ha denunciato che le azioni di Esmad contro i manifestanti nel comune di Yumbo, situato nel dipartimento della Valle del Cauca, hanno provocato più di 30 feriti”.

Corridoio umanitario in Cauca

In risposta alle accuse del regime il Comitato Nazionale dello Sciopero ha informato che aprirà un nuovo corridoio umanitario nel dipartimento del Cauca per consentire il passaggio di cibo, carburante e forniture mediche per gli ospedali di Popayan, secondo quanto riferisce teleSUR.

Il corridoio umanitario sarà in vigore da giovedì alle 6:00 ora locale fino a domenica alle 6:00, secondo il portavoce del Consiglio regionale indigeno del Cauca (CRIC) Jorge Sanchez.

“Vogliamo proteggere i diritti e la vita dei residenti del Cauca. Speriamo che il governo valuti questo sforzo e manterrà il dialogo con i rappresentanti dei manifestanti”, ha detto il leader indigeno.

“Il dialogo è l’unico modo per risolvere i problemi sociali che colpiscono il popolo colombiano. Il corridoio umanitario mostra che i manifestanti si preoccupano del popolo più del governo stesso”.

Il sindaco di Popayan Juan Lopez ha ringraziato i manifestanti per aver sbloccato l’autostrada panamericana in modo che “i cittadini possano fare scorta in tempi così difficili”. Questo è il terzo corridoio umanitario attivato nel dipartimento durante le proteste scatenate contro il presidente Ivan Duque il 28 aprile.

I cittadini restano in piazza chiedendo le dimissioni del ministro della Difesa Diego Molano, che ha accusato un gruppo di giovani leader sociali di Popayan di essere vandali e dissidenti delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (FARC).

Popayan è stato uno scenario di violenti scontri tra gli squadroni dell’ESMAD e i cittadini in protesta. Il 12 maggio, un’adolescente, Alison Salazar, è stata violentata da quattro agenti di polizia durante le proteste. Si è suicidata il giorno dopo.

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