Jorge Piñera, il presidente cileno recentemente denunciato alla Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità, ha ammesso senza messi termini la catastrofica sconfitta alle recenti elezioni cilene del raggruppamento di destra di cui è il leader. Ridotta a un 20% dell’elettorato la destra quindi non potrà, auspicabilmente svolgere alcun ruolo di rilievo nella stesura della prossima Costituzione cilena, destinata finalmente a superare quella octroyée da Pinochet.
E’ praticamente la fine per formazioni storiche della destra come Renovación nacional, larvatamente pinochettista e l’Unión democratica independiente, apertamente pinochettista. La capitale del Paese,la megalopoli Santiago, sarà governata da una sindaca comunista, Irací Hassler.
Ci sono quindi voluti ben cinquant’anni per avviare finalmente a conclusione la lenta e laboriosa opera di depurazione dello Stato cileno dai residui della dittatura di Pinochet. Ma siamo, com’è evidente, solo all’inizio di questo cammino. Oltre alla Costituzione formale, che si auspica verrà completamente riformulata, affinché sulle ceneri del pinochettismo definitivamente consunto possa finalmente sorgere un ordinamento democratico nel senso pieno del termine, occorrerà porre mano alla Costituzione materiale.
E qui le cose sono ben più difficili. Infatti l’effetto più rilevante del pinochettismo, a parte la sua scia di sangue, fatta di migliaia di esecuzioni sommarie, torture, prigione ed esilio per centinaia di migliaia di persone, è stata la trasformazione del Cile nel paradiso del neoliberismo. Un intero popolo è stato trasformato, dopo essere stato debellato e sanguinosamente represso manu militari, nella cavia degli economisti della scuola di Chicago, dove intere generazioni di ministri ed accademici cileni di destra sono stati educati al vangelo del “privato è bello” e dell’amara menzogna del trickle-down effect, la teoria secondo la quale se i ricchi diventano più ricchi anche i poveri se ne avvantaggiano, oggi clamorosamente smentita perfino dall’amministrazione Biden.
Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Il Cile è oggi un vero e proprio inferno per i suoi abitanti. Sempre di più vengono spinti sotto la soglia di povertà, i servizi fondamentali della salute e dell’educazione non vengono erogati se non a chi i soldi per comprarli. L’uso sfrenato dei pesticidi, la diffusione del junk food e la licenza data alle imprese di inquinare senza alcun limite diffondono i tumori tra la popolazione.
Contro questo stato di cose è insopportabile è esplosa nell’ottobre del 2019 la rivolta dei giovani e di tutto il popolo cileno. E a questo punto è entrata fatalmente in gioco la seconda intoccabile eredità di Pinochet, che consiste nel ruolo degli organismi repressivi, a partire dall’arma dei Carabineros, ma affidando anche alle Forze armate nel loro complesso il compito di “mantenere l’ordine pubblico”.
I numeri di questa repressione spietata e brutale si possono leggere nella denuncia che Commissione cilena dei diritti umani, Centro di ricerca per la democrazia /Gruppo d’intervento giuridico internazionale (CRED/GIGI), Associazione americana dei giuristi e Fondazione Garzon hanno indirizzato alla Corte penale internazionale.
Una repressione che ha richiamato in vita il regime tirannico di Augusto Pinochet, con alla testa oggi il presidente Piñera che di questi crimini dovrà rispondere di fronte alla Corte penale internazionale e, se recupereranno un minimo di autonomia e di dignità istituzionale e professionale, anche di fronte ai giudici cileni, che tuttavia finora hanno proceduto frettolosamente ad archiviare le centinaia di denunce che sono state presentate dalle vittime della repressione dei corpi armati. Il dato forse più sconvolgente ed emblematico è costituito in questo contesto dai trecento e più giovani accecati dai Carabineros. Un attacco sistematico agli organi vitali dei manifestanti, attuato con armi letali, che risponde evidentemente ad una pianificazione deliberata ad alto livello, pianificazione della quale è semplicemente impensabile che Piñera non fosse totalmente consapevole ed anzi complice.
Gli eletti alla Costituente e i nuovi amministratori cileni devono oggi assumersi un compito non certo facile, quello cioè di liquidare definitivamente il persistente legato del dittatore nei settori fondamentali dell’economia e della repressione. In questo quadro sarà fondamentale il contributo dei delegati indigeni, che daranno voce soprattutto al popolo mapuche, protagonista di una delle più lunghe resistenze anticoloniali della storia, che continua fino ad oggi.
Da questo come da altri punti di vista la riscossa del popolo cileno, nelle piazze e nelle urne elettorali, è parte integrante e significativa della lotta dei popoli latinoamericani per la Patria grande, un nuovo ordinamento democratico ed antiimperialista su scala continentale che consenta finalmente loro di usufruire, in concordanza col diritto internazionale vigente, delle enormi risorse naturali presenti sui loro territori, riservate oggi ancora in gran parte allo sfruttamento selvaggio e distruttore delle multinazionali, che si avvalgono di marionette locali che sono destinate ad essere presto spazzate definitivamente via, si chiamino essi Bolsonaro, Duque (Uribe) o, per l’appunto, Jorge Piñera.