Foro Penale: un’agenzia USA per il cambio di regime

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Nell’era della globalizzazione, le organizzazioni non governative (ONG) si sono convertite in un attore molto importante nell’arena politica internazionale. I governi di diversi paesi occidentali, principalmente gli USA, hanno privilegiato l’incorporazione delle ONG internazionali al servizio delle loro politiche estere raggiungendo, direttamente o indirettamente, obiettivi strategici che sono difficili da raggiungere attraverso i canali governativi.

La National Endowment for Democracy (NED), Human Rights Watch (HRW), Freedom House (FH), sono esempi di quelle ONG, auto denominate indipendenti, che sono promosse dal potere occidentale. Infatti, non è mai abbastanza ricordare che la NED è stata fondata ed istituita negli USA dall’amministrazione di Ronald Reagan nel 1983, ma si è registrata come privata, e a cui il Congresso concede la maggior parte dei 1600 sovvenzioni che riceve annualmente per promuovere gruppi non governativi all’estero; o che FH, fondata nel 1941, è affiliata al Dipartimento della Difesa e l’80% del suo budget proviene dal governo federale.

Gli USA forniscono fondi a queste ONG per proteggere gli interessi globali e regionali di Washington. Così fanno i paesi europei con altre ONG. Quando l’obiettivo sono governi che non abbracciano gli interessi anglo-sionisti, la maggior parte dei piani porta ad azioni di violenza irregolare combinate con isolamento internazionale e “sanzioni”.

Di fatto, su scala mondiale, i colpi di stato e le ribellioni che si sono prodotti in quasi tutti i paesi, negli ultimi due decenni, sono indissolubilmente legati alle tre organizzazioni sopra menzionate, tra cui il golpe di Haiti del 2004, il golpe dell’Honduras del 2009, le “rivoluzioni colorate” nell’Europa orientale, la “primavera araba” in Medio Oriente, l’escalation violenta dei secessionisti a Hong Kong, il tentato di golpe in Nicaragua nel 2018 e il golpe contro Evo Morales in Bolivia nel 2019.

A livello locale, le ONG internazionali finanziano e cooperano con organizzazioni “indipendenti” del territorio in cui interferiscono. Nel caso del Venezuela, è innegabile che una lunga lista di ONG antichaviste abbia agito come partner, non tanto silenziose, del governo USA e di altri paesi occidentali.

Di quella lista esamineremo il caso di Foro Penale (FP), per la forza e l’importanza che ha accumulato nei suoi anni di operazioni nel paese.

NON E’ UN’ORGANIZZAZIONE IMPARZIALE

 

Creata nel 2002, si descrive come “un’organizzazione venezuelana in difesa dei diritti umani, con un lavoro effettivo da oltre 15 anni in Venezuela nel fornire assistenza legale gratuita e sostegno ai familiari e alle vittime di detenzioni arbitrarie”.

La realtà è che FP è stata inaugurata quell’anno per difendere gli operatori politici dell’anti-chavismo, colpevoli di assassini, nel contesto del golpe contro il presidente Hugo Chávez. La sua area di attività consiste nella costruzione di false denunce di prigionieri e rifugiati politici e violazioni dei diritti umani, con l’obiettivo di usarli come armi per manipolare l’opinione pubblica (nazionale ed internazionale) sul Venezuela.

L’interesse nel coinvolgere le ONG nei programmi di politica estera USA si spiega con l’apparente imparzialità di queste istituzioni parastatali, che godono di maggiore credibilità nei paesi stranieri rispetto agli organismi governativi per l’amplificazione delle loro procedure nei portavoce mediatici aziendali. Il direttore esecutivo di FP, Alfredo Romero, è spesso citato dai media occidentali per dare credibilità alla storia dell’”impunità” nelle istituzioni venezuelane davanti a situazioni di ingiustizia, dandole un tocco di sistematizzazione e strutturalità usuale negli Stati falliti o fuorilegge.

Può avere credibilità chi collabora con attori sediziosi e terroristi? Rivediamo i legami che FP ha con i gruppi politici più estremisti dello spettro antichavista.

L’ONG che Romero dirige ha coperto i tentativi di rivoluzione colorata guidati dal partito politico Voluntad Popular -VP- (nel 2014 e 2017), ricorrendo alla ricorso di “prigionieri politici” ogni volta che venivano catturate persone coinvolte nella fase armata delle guarimbas (rivolte). I nomi di quei criminali hanno ingrossato la lista delle relazioni di FP. Ha anche sabotato gli appelli al dialogo lanciati dal presidente Nicolás Maduro per stabilizzare la situazione nel paese in un contesto di violenza estremista.

Lo stesso Romero ha intimi legami con il dirigente di VP e latitante, Leopoldo López. Sebbene abbia smesso di ritrarsi con il dirigente politico a misura che l’ONG ha acquisito notorietà, quando VP ha inscenato un falso attacco contro la sua sede, un giorno prima che López si costituisse alla giustizia venezuelana, Alfredo Romero è apparso sul luogo dei fatti in qualità di avvocato difensore.

Il legame rimane fino ad oggi, poiché i due coincidono nel creare un’atmosfera che favorisca il successo degli interessi politici ed economici di Washington, mal simulato nella promozione dei diritti umani e della democrazia. Per questo non sorprende che FP abbia appoggiato il processo golpista di Juan Guaidó, o che abbia messo “in allerta” l’Unione Europea sui “pericoli” che correva l’ex deputato proprio nel suo momento di maggior declino politico, trattandolo così come cliente avvocato.

“L’AMBASCIATA” E LE ONG INTERNAZIONALI: SOSTEGNO POLITICO E FINANZIARIO

 

FP partecipa attivamente alla preparazione e attuazione di strategie per indebolire il Governo Bolivariano dall’inizio del 21° secolo, in cambio di finanziamenti e filiazione del governo USA.

In un articolo precedente abbiamo esposto la manovra che gli USA hanno tramato dopo il fallito golpe del 2002. Secondo un cablo pubblicato sul portale WikiLeaks, l’Agenzia USA per lo Sviluppo Internazionale (USAID), “tra il 2004 ed il 2006, ha donato circa 15 milioni di $ a più di 300 ONG in Venezuela, offrendo loro ‘supporto tecnico e formativo’, attraverso il suo Office of Transition Initiatives (OTI), per intraprendere azioni destabilizzanti”.

L’ambasciatore USA all’epoca, William Brownfield, è stato incaricato di dare seguito al piano, secondo le indiscrezioni.

Un altro cablo di Wikileaks rivela che, nel 2005, Brownfield ha incontrato specificamente i fondatori di FP, che gli hanno detto che si trattava di un’organizzazione “apolitica” la cui intenzione era di concentrarsi “sul deterioramento dello stato di diritto in Venezuela” e che mancava di risorse per realizzare la campagna.

Per lavorare “in modo indipendente”, una ONG “apolitica” ricorre all’ambasciata del governo USA che ha come politica estera, nei confronti del Venezuela, il cambio di regime, con qualsiasi mezzo, incluso attraverso la promozione della sua ideologia e valori.

Il testo indica che William Brownfield ha raccomandato a FP di utilizzare “concetti e principi ampi” invece di parlare di individui e ha chiesto loro un budget per il finanziamento. L’ONG venezuelana ha seguito la raccomandazione, poiché, in seguito, la raccolta di dati manipolati riempiono i rapporti che si concludono sempre nella “violazione dei diritti umani” e nell’inadempimento dei principi di “democrazia e libertà” secondo la nomenclatura relazionata al portavoce del Dipartimento di Stato nordamericano.

Un terzo cablo di Wikileaks conferma i legami con FH, al di là dei moduli formativi per cui sono passati gli operatori di FP. Nel 2006, l’ONG USA ha contribuito ad organizzare all’ONG (e alla moglie di Iván Simonovis, all’epoca incarcerato per due omicidi commessi nel 2002) un tour di due settimane in Europa per dare promozione alla narrativa di presunte vittime politiche di uno Stato autoritario e repressore.

L’organizzazione FH è lungi dall’essere una semplice associazione internazionale che persegue la lotta per i valori ed i diritti universali. Dal 2002 al 2005 è stata diretta da James Woolsey, ex direttore della CIA, un’agenzia implicata in centinaia e migliaia di operazioni e colpi di stato in tutto il mondo.

L’emissione di “rapporti investigativi” e “risultati investigativi” sono gli abituali metodi di FP, caratteristica condivisa con Human Rights Watch (HRW) e Amnesty International. In diverse occasioni, entrambe le ONG internazionali hanno preso dei rapporti pubblicati dall’organizzazione venezuelana per diffamare la governance in Venezuela.

Gruppi come il FP sono solite svolgere pseudo-indagini scientifiche e pubblicare rapporti con posizioni prestabilite dove la causa fondamentale dei problemi nella società di un dato territorio è la mancanza di “democrazia”, ​​e le modalità per raggiungere la “democrazia” si sintetizzano nel cambio di governo attraverso una politica di isolamento e “sanzioni”. Poi tengono seminari e forum incentrati sull’influenza degli opinionisti e dei media per ottenere consenso.

Seguendo alla lettera questo modello, l’ONG in questione ha potuto conquistare una posizione privilegiata tra le opzioni degli USA per realizzare i suoi piani contro il paese.

DISPIEGAMENTO INTERNAZIONALE

 

FP ha cercato di avvicinarsi a presidenti regionali che erano stati convocati dal governo di Hugo Chávez al Vertice Energetico sudamericano, tenutosi sull’isola Margarita, nel 2006. Voleva organizzare incontri con presidenti regionali, come Michelle Bachelet, allora presidentessa del Cile, per ottenere d’espandere i suoi canali di comunicazione e d’influenza dei regimi anti-chavisti. Un dato che dimostra che il piano di criminalizzazione contro il paese è stato avviato prima di avere le condizioni idonee per imporre la narrazione.

Nel decennio successivo, questi sono apparsi sotto forma di movimenti golpisti che hanno tentato un cambio di regime in Venezuela dopo che il presidente Nicolás Maduro ha vinto le elezioni presidenziali, per la prima volta, nel 2013.

I disordini del 2014 e del 2017 sono stati un pretesto per inviare risorse alla ONG e ingrossare la lista dei “prigionieri politici” e delle “violazioni dei diritti umani”, poiché coloro che hanno coordinato operazioni terroristiche ed hanno minacciato di produrre un conflitto violento su più ampia scala, a livello fratricida, in quegli anni, sono stati i dirigenti dell’antichavismo più bellicosi.

Fondamentale è stata la proiezione che i media occidentali, di portata mondiale, hanno fornito ai dati manipolati pubblicati nei rapporti di FP, così come l’accoglienza data dall’Unione Europea.

D’altra parte, l’Organizzazione degli Stati Americani (OSA), canale di Washington per interferire nella regione, ha avallato FP concedendogli una certificazione continua alla lista di prigionieri politici che loro gestiscono da anni, compresi i dati agli attacchi successivi al Venezuela.

La disposizione dell’OSA ad esaltare e proiettare FP, in contrasto con il disconoscimento delle autorità ufficiali del paese (che, allora, avevano  attivato i meccanismi di recesso dall’organismo), si può riassumere nella celebrazione e nell’accompagnamento del segretario dell’OSA, Luis Almagro, del direttore esecutivo dell’ONG quando questi ha ricevuto il premio per la difesa dei diritti umani, da parte USA, il 16 novembre 2017.

Con il sostegno privilegiato dell’OSA è arrivata la convalida dei governi latinoamericani contrari al chavismo, principalmente dei paesi membri del Gruppo di Lima, alla proiezione di FP. È curioso che quei presidenti che hanno fatto eco alle accuse contro il Venezuela, basate su dati discutibili di FP, stiano ora affrontando denunce proprio nell’area delle detenzioni arbitrarie e violazioni dei diritti umani.

Va inoltre segnalata la quantità di risorse che l’ONG ha esercitato sul tema migratorio venezuelano. L’obiettivo prefissato era che i paesi stranieri cambiassero l’etichetta da “migrante” a “rifugiato politico” per così aggiungere benzina alla narrazione della “crisi nel paese latinoamericano”.

In questo contesto, FP è giunto al punto di ambire che la manipolazione del tema migratorio consentisse un’espansione internazionale dell’ONG, “con la creazione di capitoli in diverse città del mondo dove i venezuelani si sono visti obbligati a rifugiarsi”, come compare in una nota informativa del sito web di FP, nel 2018.

“Gli USA sono un luogo importante in cui vengono i venezuelani, non perché lo vogliano, nemmeno per la semplice situazione sociale o economica del paese. Molti venezuelani vengono per il fondato timore di essere perseguitati politicamente nel loro paese”, ha detto Alfredo Romero in quella pubblicazione.

Esistono indagini, ben fondate, sul fenomeno migratorio degli ultimi anni nel paese che affermano che i venezuelani sono emigrati, fondamentalmente, per motivi economici, che sono legati alla costante emissione di misure coercitive unilaterali messe in atto dal governo USA contro il Venezuela, dal 2014.

Basti pensare che l’ipotesi dei “rifugiati” è caduta sotto il suo stesso peso quando, nel 2020, migliaia di connazionali sono rientrati nel paese fuggendo dall’instabilità politica ed economica dei paesi sudamericani che li ospitavano, oltre che dalla crisi sanitaria scatenatasi nella regione dagli effetti della pandemia di coronavirus.

OBIETTIVO: CRIMINALIZZARE IL VENEZUELA

 

Per voler portare un paese di fronte ad un processo al di fuori delle sue istituzioni nazionali bisognerebbe, almeno, creare un consenso internazionale sul fatto che i crimini asseritamente commessi abbiano un significato al di fuori dei suoi confini, e quindi non rendere così evidente che ciò che si vuole è forzare un capovolgimento politico a favore del potere occidentale rompendo l’esistenza di uno Stato sovrano.

Per quanto riguarda il Venezuela, nonostante la propaganda, non c’è mai stato un sostegno globale (i paesi occidentali non sono “il mondo”) né uniformità di consenso a livello regionale (Luis Almagro sa molto bene di quel fallimento nell’OSA), ma, in ogni caso, si è forzata la revisione del caso davanti alla Corte Penale Internazionale (CPI), allo stesso modo in cui gli USA e l’Unione Europea hanno unilateralmente imposto restrizioni economiche e commerciali contro il Venezuela.

Prima della richiesta all’Aia, la Corte Interamericana dei Diritti Umani (CIDH), organismo ascritto all’OSA, aveva già accumulato quasi 200 sentenze contro il governo bolivariano, tutte senza validità perché il paese aveva ufficializzato la sua uscita, vari anni prima, da quella commissione corrotta. Una di queste sentenze era una richiesta allo Stato venezuelano di “protezione” dei membri della ONG, nel contesto di una presunta minaccia  governativa ai suoi operatori.

Senza consenso internazionale, il modo per sospingere questi processi, sia pure in modo viziato, è attraverso l’intervento di organismi multilaterali con interessi politici manifesti (l’OSA) e le “testimonianze e denunce” sistematizzate da parte di organizzazioni locali e internazionali che ricevono fondi dagli USA.

Dopo anni di istigazioni da parte di FP e di altri importanti attori (Amnesty International, HRW, l’OSA e paesi del Gruppo di Lima), la CPI apre, nel 2018, l’esame preliminare “Venezuela I”. Sono continuate le pressioni affinché L’Aia accorci i tempi della valutazione (di solito occorrono anni senza che si concluda un’istruttoria formale) al punto che in due anni il caso è arrivato alla fase 3 dell’esame preliminare.

“Venezuela I” si basa principalmente su un rapporto dell’OSA, pubblicato nel 2018, che valuta in decine di migliaia le “vittime” del governo di Nicolás Maduro tra la popolazione venezuelana. Il documento si nutre, tra altre fonti, di speculazioni ideologiche che sono tacciate come fatti da FP, la cui opacità è stata comprovata fin dalle sue origini.

Le istituzioni venezuelane hanno smantellato le accuse attraverso la cooperazione con canali ufficiali e utilizzando metodi veramente scientifici per chiarire la situazione sociale e politica della popolazione venezuelana. Si può ricordare, ad esempio, che nell’aggiornamento 2020 del rapporto dell’Ufficio dell’Alto Commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, non appaiono i termini di “prigionieri politici” e “violazioni dei diritti umani” per riferirsi a situazioni e casi che, detta ONG, non impiega molto tempo ad etichettarli in quel modo frettoloso, oltre al fatto che si riconosce l’impatto del blocco economico.

Il governo venezuelano ha anche ribaltato la strategia dell’antichavismo denunciando gli USA davanti alla CPI per crimini commessi contro i venezuelani a causa delle misure coercitive unilaterali (MCU), denominate erroneamente “sanzioni”, i cui crimini possono qualificarsi di lesa umanità secondo lo Statuto di Roma.

Indipendentemente da come si svolga lo scenario in questo capitolo politico-giuridico della guerra contro il Venezuela, il punto da evidenziare è il ruolo preponderante che FP ha avuto in quella tabella di marcia, per i quasi vent’anni di lavoro ingrossando il dossier contro il paese, per essere una pedina USA (a causa del finanziamento diretto -attraverso “La “Ambasciata”- e indiretto -ONG internazionali- che riceve da Washington) e per le alleanze che ha costruito in Europa e in America Latina.


FORO PENAL: UNA AGENCIA DE EEUU PARA EL CAMBIO DE RÉGIMEN

 

En la era de la globalización, las organizaciones no gubernamentales (ONG) se han convertido en un actor muy importante en la arena política internacional. Los gobiernos de varios países occidentales, principalmente Estados Unidos, han priorizado la incorporación de las ONG internacionales al servicio de sus políticas exteriores, logrando directa o indirectamente objetivos estratégicos que son difíciles de alcanzar por vías gubernamentales. 

La Fundación Nacional para la Democracia (NED), Human Rights Watch (HRW), Freedom House, son ejemplos de que las ONG autodenominadas independientes son impulsadas por el poder occidental. De hecho, nunca sobra recordar que la NED fue iniciada y establecida en Estados Unidos por la administración de Ronald Reagan en 1983, pero se registró como privada, y que el Congreso le entrega la mayoría de las 1 mil 600 subvenciones que recibe anualmente para promover grupos no gubernamentales en el exterior; o que Freedom House, establecida en 1941, está afiliada al Departamento de Defensa y 80% de su presupuesto proviene del gobierno federal. 

Estados Unidos le proporciona fondos a esas organizaciones no gubernamentales para proteger los intereses globales y regionales de Washington. Así mismo lo hacen países europeos con otras ONG. Cuando el objetivo son gobiernos que no abrazan los intereses anglosionistas, la mayoría de los planes conducen a acciones de violencia irregular combinadas con aislamiento internacional y “sanciones”. 

De hecho, a escala mundial, los golpes y rebeliones que se han producido en casi todos los países en las últimas dos décadas están indisolublemente vinculados a las tres organizaciones mencionadas anteriormente, incluido el golpe de Haití de 2004, el golpe de Honduras de 2009, las “revoluciones de color” en Europa del Este, la “primavera árabe” en Oriente Medio, la escalada violenta de secesionistas en Hong Kong, el intento de golpe en Nicaragua en 2018 y el golpe contra Evo Morales en Bolivia en 2019. 

A escala local, las ONG internacionales financian y cooperan con organizaciones “independientes” del territorio en el que interfieren. En el caso de Venezuela, es innegable que una extensa lista de ONG antichavistas han actuado como socios no tan silenciosos del gobierno de Estados Unidos y otros países occidentales. 

De esa lista vamos a revisar el caso de Foro Penal, por la fuerza y protagonismo que ha acumulado en sus años de operaciones en el país. 

NO ES UNA ORGANIZACIÓN IMPARCIAL 

Creada en 2002, se describe como una “organización venezolana, en la defensa de los derechos humanos, con un trabajo efectivo desde hace más de 15 años en Venezuela en la asistencia jurídica gratuita y apoyo a familiares y víctimas de detenciones arbitrarias”. 

La realidad es que Foro Penal se estrenó ese año defendiendo a operadores políticos del antichavismo, culpables de asesinatos, en el marco del golpe de Estado contra el presidente Hugo Chávez. Su área de desempeño involucra construir denuncias falsas de presos y refugiados políticos y violaciones a los derechos humanos, con el objetivo de usarlos como armas para manipular la opinión pública (nacional e internacional) sobre Venezuela. 

El interés por implicar a las ONG en los programas de política exterior de Estados Unidos se explica por la aparente imparcialidad de estas instituciones paraestatales, que gozan de mayor credibilidad en los países extranjeros que los organismos gubernamentales por la amplificación de sus procederes en las vocerías mediáticas corporativas. El director ejecutivo de Foro Penal, Alfredo Romero, es citado frecuentemente en medios occidentales para darle credibilidad al relato de la “impunidad” en las instituciones venezolanas ante situaciones de injusticia, dándole un matiz de sistematización y estructuralidad usual en los Estados fallidos o forajidos. 

¿Puede tener credibilidad alguien que colabora con actores sediciosos y terroristas? Revisemos los nexos que Foro Penal tiene con los grupos políticos más extremistas del espectro antichavista. 

La ONG que dirige Romero encubrió los intentos de revolución de colores que encabezó el partido político Voluntad Popular (en 2014 y 2017), acudiendo al recurso de “presos políticos” cada vez que eran capturadas personas involucradas en la fase armada de las guarimbas. Los nombres de aquellos criminales fueron a engrosar la lista de los informes de Foro Penal. También saboteó los llamados al diálogo hechos por el presidente Nicolás Maduro para estabilizar la situación en el país en un marco de violencia extremista. 

El propio Romero tiene íntimas filiaciones con el líder de Voluntad Popular y prófugo de la justicia, Leopoldo López. Aunque dejó de retratarse con el dirigente político a medida que la ONG ganó notoriedad, cuando Voluntad Popular escenificó una falsa arremetida contra su sede, un día antes de que López se entregara a la justica venezolana, Alfredo Romero apareció en el lugar de los hechos en calidad de abogado defensor. 

El vínculo permanece hasta la actualidad, pues los dos coinciden en crear una atmósfera que favorezca al éxito de los intereses políticos y económicos de Washington, mal simulado en la promoción de los derechos humanos y la democracia. Por eso no sorprende que Foro Penal haya respaldado el proceso golpista de Juan Guaidó, o que pusiera “en alerta” a la Unión Europea sobre los “peligros” que corría el exdiputado justamente en su momento de mayor declive político, tratándolo asimismo de cliente jurisconsultor. 

“LA EMBAJADA” Y ONG INTERNACIONALES: APOYO POLÍTICO Y FINANCIERO 

Foro Penal participa activamente en la preparación e implementación de estrategias para debilitar al Gobierno Bolivariano desde principios del siglo XXI, a cambio de la financiación y filiación del gobierno estadounidense. 

En una nota anterior, exponíamos la maniobra que Estados Unidos tramó después del fallido golpe de Estado de 2002. Según un cable publicado en el portal WikiLeaks, la Agencia de los Estados Unidos para el Desarrollo Internacional (USAID), “entre 2004 y 2006, donó unos 15 millones de dólares a más de 300 ONG en Venezuela, ofreciéndole ‘apoyo técnico y de capacitación’, a través de su Oficina de Iniciativas de Transición (OTI), para emprender acciones desestabilizadoras”. 

El embajador de Estados Unidos en esos momentos, William Brownfield, fue el encargado de hacerle seguimiento al plan, de acuerdo a las filtraciones. 

Otro cable de Wikileaks revela que, en 2005, Brownfield se reunió específicamente con los fundadores de Foro Penal, quienes le manifestaron ser una organización “apolítica” cuya intención era centrarse “en el deterioro del estado de derecho en Venezuela” y que le hacía falta recursos para cumplir con la campaña. 

Para trabajar “independientemente”, una ONG “apolítica” acude a la embajada del gobierno estadounidense que tiene como política extranjera sobre Venezuela el cambio de régimen, por cualquier medio, incluso a través de la promoción de su ideología y valores. 

El texto indica que William Brownfield recomendó a Foro Penal que utilizara “conceptos y principios amplios” en vez de hablar de individuos y les pidió un presupuesto para el financiamiento. La ONG venezolana siguió la recomendación, pues en adelante la colección de datos manipulados rellenan informes que siempre concluyen en la “violación de derechos humanos” y el incumplimiento de principios de “democracia y libertad” de acuerdo a la nomenclatura relacionada a la vocería del Departamento de Estado norteamericano. 

Un tercer cable de Wikileaks confirma los vínculos con Freedom House, más allá de los módulos de formación por los que pasaron los operadores de Foro Penal. En 2006, la ONG estadounidense ayudó a organizarle a la ONG (y a la esposa de Iván Simonovis, en ese momento preso por dos homicidios cometidos en 2002) una gira de dos semanas por Europa para darle impulso a la narrativa de supuestas víctimas políticas de un Estado autoritario y represor. 

La organización Freedom House está lejos de ser una simple asociación internacional que persigue la lucha por los valores y derechos universales. De 2002 a 2005, fue dirigida por James Woolsey, ex director de la Agencia Central de Inteligencia (CIA), oficina implicada en cientos y miles de operaciones negras y golpes de Estado en todo el mundo. 

La emisión de “informes de investigación” y “resultados de investigación” son los métodos habituales de Foro Penal, una característica que comparte con Human Rights Watch (HRW) y Amnistía Internacional. En varias ocasiones, ambas ONG internacionales han tomado de los informes publicados por la organización venezolana para difamar la gobernanza en Venezuela. 

Grupos como Foro Penal suelen hacer seudo-investigaciones científicas y publicar informes con posiciones preestablecidas donde la causa fundamental de los problemas en la sociedad de un territorio determinado es la falta de “democracia”, y los métodos para lograr la “democracia” se resumen en el cambio de gobierno a través de una política de aislamiento y “sanciones”. Luego sostienen seminarios y foros centrados en la influencia de los líderes de opinión y los medios de comunicación para lograr consenso.

Siguiendo al pie de la letra ese modelo, la ONG en cuestión pudo conseguir una posición privilegiada entre las opciones de Estados Unidos para llevar a cabo sus planes contra el país. 

DESPLIEGUE INTERNACIONAL 

Foro Penal intentó acercarse a mandatarios regionales que habían sido convocados por el gobierno de Hugo Chávez en la Cumbre Energética sudamericana, celebrada en la Isla de Margarita en 2006. Quiso concertar encuentros con mandatarios regionales, como Michelle Bachelet, entonces presidenta de Chile, para conseguir expandir sus canales de comunicación e influencia de regímenes antichavistas. Un dato que demuestra que el plan de criminalización contra el país se puso en marcha antes de tener las condiciones idóneas para imponer el relato. 

En la siguiente década, éstas aparecieron en forma de movimientos golpistas que intentaron un cambio de régimen en Venezuela después de que el presidente Nicolás Maduro ganara las elecciones presidenciales por primera vez en 2013. 

Los disturbios en 2014 y en 2017 fueron una excusa para enviar recursos a la ONG y abultar la lista de “presos políticos” y “violaciones de derechos humanos”, siendo que quienes coordinaron operaciones terroristas y amenazaron con producir un conflicto violento de mayor escala, a nivel fratricida, durante esos años fueron los dirigentes del antichavismo más beligerantes. 

Fue vital la proyección que medios occidentales de alcance global le proporcionaron a los datos manipulados publicados en los informes de Foro Penal, al igual que la recepción dada por la Unión Europea. 

Por otra parte, la Organización de Estados Americanos (OEA), canal de Washington para interferir en la región, avaló a Foro Penal otorgándole una certificación continua a la lista de presos políticos que ellos manejan desde hace años, incluyendo los datos a los ataques posteriores a Venezuela. 

La disposición de la OEA de enaltecer y proyectar a Foro Penal, en contraste con el desconocimiento a las autoridades oficiales del país (que entonces había activado los mecanismos para retirarse del organismo), puede resumirse en la celebración y acompañamiento del secretario de la OEA, Luis Almagro, al director ejecutivo de la ONG cuando este recibió el premio por defensa de los DDHH de parte de Estados Unidos, el 16 de noviembre de 2017. 

Con el apoyo privilegiado de la OEA vino la validación de gobiernos latinoamericanos adversos al chavismo, principalmente de los países miembros del Grupo de Lima, a la proyección de Foro Penal. Resulta curioso que aquellos mandatarios que se hicieron eco de los señalamientos contra Venezuela, fundamentados en datos cuestionables de Foro Penal, ahora estén enfrentando denuncias precisamente en el ámbito de detenciones arbitrarias y violaciones de derechos humanos. 

También hay que destacar la cantidad de recursos que la ONG ha ejercido en el tema migratorio venezolano. La meta que se planteó era que los países extranjeros cambiaran la etiqueta de “migrante” por “refugiado político” para así agregar combustible al relato de la “crisis del país latinoamericano”. 

En ese contexto, Foro Penal llegó al punto de ambicionar con que la manipulación del tema migratorio iba a permitir una expansión internacional de la ONG, “con la creación de capítulos en diferentes ciudades del mundo donde los venezolanos se han visto obligados a refugiarse”, como aparece en una nota informativa del sitio web de Foro Penal, en 2018. 

“Estados Unidos es un lugar importante donde los venezolanos están viniendo, no porque quieran venir, ni siquiera por la situación simplemente social o económica del país. Muchos venezolanos vienen por el temor fundado a ser perseguido políticamente en su país”, decía Alfredo Romero en esa publicación. 

Existen investigaciones, bien fundamentadas, sobre el fenómeno migratorio de los últimos años en el país que afirman que los venezolanos han emigrado fundamentalmente por razones económicas, las cuales están vinculadas a la emisión constante de medidas coercitivas unilaterales implementadas por el gobierno de Estados Unidos contra Venezuela desde el año 2014. 

Basta decir que la hipótesis de “refugiados” se cayó por su propio peso cuando en 2020 miles de connacionales regresaron al país huyendo de la inestabilidad política y económica de los países sudamericanos que los albergaron, además de la crisis sanitaria desatada en la región por los efectos de la pandemia de coronavirus. 

OBJETIVO: CRIMINALIZAR A VENEZUELA 

Para querer llevar a un país ante un juicio fuera de sus instituciones nacionales tendría que, al menos, crearse un consenso internacional de que los crímenes supuestamente cometidos tienen trascendencia más allá de sus fronteras, y así no hacer tan evidente que lo que se quiere es forzar un giro político a favor del poder occidental quebrando la existencia de un Estado soberano. 

Con respecto a Venezuela, a pesar de la propaganda, nunca hubo apoyo global (los países de Occidente no son “el mundo”) ni uniformidad en el consentimiento a nivel regional (Luis Almagro sabe muy bien de ese fracaso en la OEA), pero de todos modos se forzó la revisión del caso ante la Corte Penal Internacional (CPI), de la misma manera que Estados Unidos y la Unión Europea han unilateralmente emitido restricciones económicas y comerciales contra Venezuela. 

Antes de la solicitud a La Haya, la Corte Interamericana de Derechos Humanos (CIDH), organismo adscrito a la OEA, ya acumulaba casi 200 sentencias contra el Gobierno Bolivariano, todas sin validez porque el país había hecho oficial su salida, varios años antes, de esa comisión corrompida. Una de esas sentencias era una solicitud al Estado venezolano de “protección” a los miembros de la ONG, en el marco de una supuesta amenaza gubernamental a sus operadores. 

Sin consenso internacional, la forma de empujar estos procesos, aunque sea de manera viciada, es mediante la intervención de organismos multilaterales con intereses políticos manifiestos (la OEA) y los “testimonios y denuncias” sistematizados por organizaciones locales e internacionales que reciben fondos de Estados Unidos. 

Después de años de instigaciones desde Foro Penal y otros actores de peso (Amnistía Internacional, HRW, la OEA y países del Grupo de Lima), la CPI abre en 2018 el examen preliminar “Venezuela I”. Las presiones han continuado para que La Haya acorte los tiempos de la evaluación (por lo general tardan años sin concluir en una investigación formal) al punto de que en dos años el caso ha llegado a la fase 3 del examen preliminar. 

“Venezuela I” se sustenta principalmente en un informe de la OEA, emitido en 2018, que cifra en decenas de miles las “víctimas” del gobierno de Nicolás Maduro entre la población venezolana. El documento se nutre, entre otras fuentes, en las especulaciones ideologizadas tachadas como hechos de Foro Penal, cuya opacidad está comprobada desde sus orígenes. 

Las instituciones venezolanas han desmontado las acusaciones a través de la cooperación con canales oficiales y usando métodos verdaderamente científicos para esclarecer la situación social y política de la población venezolana. Se puede mencionar, por ejemplo, que en la actualización de 2020 del informe de la Oficina del Alto Comisionado de los Derechos Humanos de las Naciones Unidas, no aparace el término de “presos políticos” y “violaciones a los derechos humanos” para referirse a situaciones y casos que dicha ONG no tarda de tildarlas de esa manera de manera apresurada, además que se reconoce el impacto del bloqueo económico. 

El gobierno venezolano también ha revertido la estrategia del antichavismo denunciando a Estados Unidos ante la CPI por los delitos cometidos contra los venezolanos debido a las medidas coercitivas unilaterales (MCU), mal llamadas “sanciones”, cuyos crímenes pueden calificarse de lesa humanidad de acuerdo al Estatuto de Roma. 

Independientemente de cómo se desenvuelva el escenario en este capítulo político-jurídico de la guerra contra Venezuela, el punto a destacar es el papel preponderante que Foro Penal ha tenido en esa hoja de ruta, por los casi veinte años de trabajo engordando el expediente contra el país, por ser una ficha de Estados Unidos (debido a la financiación directa -a través de “La “Embajada”- e indirecta -ONG internacionales- que recibe de Washington) y por los alianzas que ha construido en Europa y Latinoamérica. 

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