Eugenio Martínez* – Traduzione Alessandra Riccio
Colpisce il fatto che alcuni teorici, nella loro ansia di affrontare il Governo cubano e criticarlo, si allarmino perché il Presidente del paese ci ha chiamato a combattere. Leggono tanto e non sanno che combattere vuol dire difendere la pace e la tranquillità.
Si infastidiscono perché il Governo chiama una parte del popolo a seguirlo mentre, secondo questa preoccupazione intellettuale, dovrebbe essere un arbitro fra le parti, non unirsi a una.
E’ strano ma ripetono la stessa cosa che trapela da Washington. Strabiliante sincronizzazione. Washington che ha stimolato e promosso i disordini e gli scontri contro le istituzioni a Cuba, adesso chiede che il popolo non la difenda e non affronti i disordini e anzi permetta di stare a guardare passivamente che il paese affondi nel caos.
Questi teorici hanno talmente desiderato di farci assomigliare a una democrazia borghese che quando a un bel momento ci obbligano ad assomigliarci, ci criticano se facciamo quello che fanno tutte: affrontare le proteste, con la differenza che qui non si utilizzano manganelli elettrici, pallottole cava-occhi, gas lacrimogeni, blindati con getti d’acqua all’acido, strumenti assordanti e armi con proiettili multipli.
Si direbbe che capovolgere auto della polizia sia il nuovo sport della domenica e coloro che lo praticano siano dei protestatari pacifici con cui il popolo non si può scontrare perché è uno sport che richiede di essere osservato dagli spalti e in silenzio per non disturbare la concentrazione degli eroici atleti.
Come è possibile che ci si infastidisca perché il popolo difende la sua Rivoluzione? Si direbbe che quella trovata di Cervantes per spiegare che il delirio e le fantasie di Don Chisciotte fossero causati dalla lettura di troppi libri di cavalleria, si stia ripetendo.
* Eugenio Martínez è il Direttore Generale per l’America Latina e il Caribe del Ministero degli Esteri cubano