Da mesi a Cuba si agita il carbone di nuovi sforzi per il “cambio di regime” sotto la facciata del Movimento San Isidro, gruppo di artisti dell’Isola conformatosi come attivista politico, usando tattiche tipiche del “coup de color” riconducibile anche alle manifestazioni dell’11 luglio, fortemente promosse da politici statunitensi in Florida e operatori anticubani in diverse parti del mondo. Cosa c’è dietro?
Secondo quanto riferito da fonti anticastriste, le proteste iniziarono nelle città di San Antonio de los Baños e Palma Soriano, e rapidamente si replicarono in altre città cubane, coll’Avana protagonista sui principali media occidentali. Sebbene non fossero caratterizzati da manifestazioni di massa contro il governo del Presidente Miguel Díaz-Canel, furono amplificati e manipolati sui social network per farli passare per migliaia.
Sul New York Times i corrispondenti parlavano di “centinaia”, non di più, all’Avana. In effetti, organizzazioni per i diritti umani e account twitter utilizzavano immagini delle proteste di massa in Egitto e altrove per spacciare tale versione, smentita persino dal Presidente Andrés López Obrador.
Gli hashtag #SOSCuba e #CorredorHumanitario furono ampiamente utilizzati dai guerrieri mediatici della destra regionale, tra cui le giornaliste Yoani Sánchez e Patricia Janiot, le più retwittate e con la maggiore esposizione dell’agenda visibile delle proteste. Gli stessi manifestanti issavano bandiere degli Stati Uniti e cantavano la canzone “Patria y vida”, eseguita da musicisti che vivono a Miami (Florida) insieme ai membri del movimento San Isidro sull’isola. Allo stesso modo, ciò che successe in alcune strade di Cuba ebbe un riflesso sui social network, dove i messaggi coll’hashtag #SOSCuba furono replicati da eserciti di bot ed altri esemplari di Big Data, cercando di creare la percezione nell’immaginario pubblico a sostegno dell’agenda filo-USA.
Di fronte a tali eventi, il presidente cubano convocava “i rivoluzionari in piazza” per affrontare sul posto i tentativi di “golpe morbido”. Centinaia di migliaia di cubani uscirono per le contro-proteste in diverse città, tra cui L’Avana, in difesa della rivoluzione. Il primo Presidente Díaz-Canel si recava a San Antonio de los Baños per manifestare.
Contrariamente alle marce rivoluzionarie, in quelle anticastriste vi furono violenze, saccheggi e distruzione di materiali e infrastrutture governative. Ribaltarono veicoli della polizia e provocare la polizia cubana, nota per non usare armi, non aspettarono e a qualsiasi azione per ristabilire l’ordine di fronte al caos risposero con una provocazione belluina. Lo sfondo di tali azioni di “golpe morbido” corrisponde ad un aggiornamento dei meccanismi, metodi e modalità d’intervento nel quadro dell’agenda degli Stati Uniti contro Cuba. Il tutto in un contesto delicato in campo sanitario, prodotto dalla pandemia di covid-19 e degli attentati del blocco economico, finanziario e commerciale all’isola, scintilla principale delle vicissitudini che si vivono nel Paese isolano.
La difficile situazione che vive l’Isola ha come protagonista il coronavirus, col maggior numero di casi positivi e decessi dall’inizio della pandemia. Questa trance diventa il prodotto dell’ingresso nel Paese di nuove varianti diffusesi, secondo il Direttore nazionale di Igiene ed Epidemiologia del Ministero della Salute Pubblica di Cuba (Minsap), Francisco Durán. In risposta, il governo cubano applicherà nuove misure di controllo sanitario internazionale dal 15 luglio. I gruppi musicali cubani e gli operatori del movimento San Isidro approfittavano della situazione per chiedere alla “comunità internazionale” di aprire un “corridoio umanitario” o “intervento umanitario” a Cuba. Da qui il collegamento diretto tra le proteste registrate dell’11 luglio e le azioni del movimento San Isidro, i cui capi visibili non sono impegnati solo in manifestazioni secondo i manuali di Gene Sharp e dei suoi seguaci politici, ma anche coll’agenda terroristica dei gruppi anticubani di Miami che fornivano finanziamenti, logistica e supporto mediatico a chi si scontrava col governo cubano. Naturalmente, non sarebbe la prima volta che così tanti soldi statunitensi finiscono nelle tasche di agenti non statali che cercano il “cambio di regime” nel Paese. Il quotidiano Granma del Partito Comunista di Cuba pubblicava l’articolo in cui si afferma che 250 milioni di dollari furono spesi dalle amministrazioni degli Stati Uniti negli ultimi due decenni nei programmi di sovversione anticastrista. Coll’imposizione del blocco statunitense, in vigore da più di sei decenni, Cuba resiste grazie alla pianificazione strategica dello Stato attuando programmi sociali in varie aree per dare alla popolazione una pausa dall’instancabile offensiva gringa contro la rivoluzione cubana. A metà giugno, il governo Díaz-Canel denunciò, secondo le proprie stime, che l’isola ha perso oltre 9 miliardi di dollari tra aprile 2019 e dicembre 2020 a causa del blocco imposto da Washington. Senza dubbio, l’agente politico che ha dato più spazio all’agenda dei cosiddetti “vermi di Miami” nei corridoi del Congresso degli Stati Uniti e alla Casa Bianca (essendo importante nell’amministrazione Trump) è il senatore Marco Rubio, cubano-gringo con comprovati legami col traffico di droga nel sud della Florida. Su Twitter, l’11, fu il politico statunitense più entusiasta nel promuovere le proteste filo-USA, rivolgendosi alla necessità che il governo USA intervenga a Cuba, invitando l’amministrazione Biden a pronunciarsi sulla situazione, utilizzando gli hashtag #SOSCuba e #PatriayVida in più di 50 tweet visibili sulla sua timeline di twitter. A Miami ci furono manifestazioni a favore delle proteste anticastriste per chiedere l’”intervento internazionale” per rovesciare il governo Díaz-Canel. Ma la verità è che la follia delle richieste di “corridoio umanitario” o “intervento umanitario” corrisponde agli interessi dell’estremismo in Florida.
Le proteste non furono mai contro il blocco dell’isola, così come nessun portavoce, rendendo invisibile la causa per cui c’è la crisi sanitaria nel Paese. Questo quando a giugno l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite votò la risoluzione di rigetto dell’embargo contro Cuba, che otteneva 184 voti a favore, appena due contrari (Stati Uniti e Israele) e tre astenuti (Colombia, Brasile e Ucraina). Il governo dell’isola fu costretto a chiedere donazioni internazionali poiché, a causa del blocco, non poteva disporre di materiale sanitario per la protezione della popolazione, come siringhe, filtri e fiale. Questo nonostante la sua industria farmaceutica sia riuscita a sviluppare cinque vaccini candidati, due dei quali (Abdala e Soberana 02) già confermati con efficacia superiore al 90% in tre dosi.
Ernesto Soberón, Direttore Generale degli Affari Consolari dei Cubani Residenti all’Estero del Ministero degli Affari Esteri (MINREX), ricordava, durante un incontro con la stampa il 10 luglio, che ogni volta che Cuba deveo affrontare una situazione di questo tipo, fu sostenuta dalla solidarietà internazionale, sia dai governi amici che dalla comunità cubana all’estero, ringraziando le migliaia di donazioni senza bisogno di politicizzarle come fanno gli agenti anticastrist chiedendo l’intervento straniero. “Questo gesto disinteressato non ha alcun rapporto con il falso caos che i nemici della Rivoluzione cubana vogliono mostrare con campagne che istigano all’intervento sanitario o corridoio umanitario, concetti e termini relativi a conflitti armati e violazioni del diritto internazionale, situazioni che non hanno nulla a che fare con ciò che accade nel nostro Paese”, dichiarava il funzionario. Un corridoio umanitario, ad esempio, non si applica al contesto in cui vive Cuba, poiché suppone una zona smilitarizzata temporanea destinata a consentire il transito sicuro di “aiuti umanitari”. Ma generalmente tali richieste vengono fatte dall’esercito degli Stati Uniti in aree di conflitti, quindi il linguaggio militare è componente importante quando si tratta di comprendere gli interessi dietro la richiesta. Allo stesso modo, un corridoio umanitario può essere associato a una no-fly zone o mezzo per fornire armi a una forza assediata. Sono queste le vere richieste di Miami per la popolazione suscitate dagli interessi della Florida verso l’isola?
Le proteste dell’11 luglio sollevavano l’idea che Cuba ha bisogno dell’intervento degli Stati Uniti e della “comunità internazionale” che si traduce in “cambio di regime”, presumibilmente richiesto dallo stesso popolo cubano. Lo stesso che protestò innumerevoli volte contro gli attacchi economici, finanziari e commerciali di Washington, e che fu messo a tacere e ridicolizzato sempre dagli stessi agenti politici e mediatici che sostengono la causa dei loro capi nel sud della Florida.
Traduzione di Alessandro Lattanzio