Noi cubani abbiamo combattuto come giganti per essere liberi. Ignorare la storia di questo paese non fa altro che propiziare la sconfitta dei piani dei nemici della Rivoluzione, quelli del patto di Zanjon e i neoplattisti al servizio dell’impero.
Raúl Antonio Capote
Quando un individuo viene bombardato in continuazione da messaggi di forte contenuto emozionale che iperbolizzano una situazione reale di crisi, gli stereotipi seminati accuratamente e sistematicamente nel suo subcosciente creano risposte automatiche come detonazioni, di fronte al timore e alle tensioni accumulate.
Articolati negli spazi digitali controrivoluzionari, migliaia di account falsi, la maggioranza ubicati, si presume nell’Isola, hanno lanciato nelle ultime settimane messaggi d’odio e disperazione a riceventi nell’Isola grande delle Antille, in un’offensiva comunicazionale che ha diffuso il rumore tendenzioso, le dicerie create artificialmente, come armi di guerra psicologica indirizzata verso obiettivi confluenti: creare incertezze, seminare la mancanza di fiducia sulle informazioni che offrono i media della stampa e le fonti ufficiali, stabilire tendenze d’azioni anti governative, etc.
Per mesi noi cubani siamo stato oggetto di questa sistematica campagna d’ influenza motivazionale, pura e dura guerra di suggestione, con il fine di sovvertire l’ordine istituito.
I limiti economici che provocano scarsità di rifornimenti e l’incremento dei casi positivi alla COVID-19, esagerati dai media nemici, sono stati gli argomenti per creare sentimenti d’insicurezza e ansia costanti che mantengono le persone connesse con l’incertezza.
Per far credere che sono già al limite della resistenza, mentono, li mobilitano e maneggiano con destrezza i fili della trama per pretendere di trasformarle in bombe a tempo pronte ad esplodere quando il padrone schiaccia la maniglia.
Per questo necessitano seminare odio e molta paura, in modo che si annulli il giudizio della gente, vulnerando, dalla base della menzogna, le loro difese
Si ricorderà come in Bolivia si unirono vari tra questi fattori per favorire la caduta del governo di Evo Morales: gruppi violenti, apparentemente disorganizzati e spontanei che agivano con l’obiettivo di seminare il caos.
Questi gruppi criminali, invisibili per i media, hanno agito con assoluto coordinamento ed hanno occupato punti strategici della capitale del paese.
Un esempi è stato l’assalto di Bolivia TV. Non si trattava di una massa scontenta di fronte a una frode mai avvenuta, ma di un’aggressione ben pianificata
Lo sanno bene i popoli del Venezuela e del Nicaragua, vittime di queste azioni di guerra non convenzionali.
Il modus operandi non è esclusivo della nostra regione. l’Iran ha sofferto nel novembre del 2019, un’ondata di violenza, simile alla tattica usata in Bolivia: Utilizzando la tecnica degli «sciami», i gruppi comunicavano tra di loro e organizzavano le azioni usando messaggi di testo per riunirsi nei punti d’attacco.
Come ripetono una e un’altra volta gli ideologi di Maidán, i George Soros e Gene Sharp,i ragazzi «internazionalisti» di Otpor: l’ obiettivo è far sì che non resti nient’altro che il caso.
Noi cubani abbiamo combattuto come giganti per essere liberi. Ignorare la storia di questo paese non fa altro che propiziare la sconfitta dei piani dei nemici della Rivoluzione, quelli del patto di Zanjon e i neoplattisti al servizio dell’impero.
Le strade di Cuba sono dei rivoluzionari e le difenderemo
«Siamo qui perché le strade sono di Fidel, perché le strade di Cuba sono dei rivoluzionari».
Questa è stata probabilmente la frase ascoltata con più forza, percorrendo varie strade della capitale nel pomeriggio di domenica, quando tutto un popolo è uscito per difendere la sua Rivoluzione.
L’ho sentita per esempio, di fronte al Capitolio, sede dell’ Assemblea Nazionale del Potere Popolare, e in Prado sino a Malecón. L’ho sentita poi in Belascoaín, e in Carlos III, dove i vicini si erano raggruppati sventolando le bandiere e soprattutto sostenendo idee.
Una signora dal suo balcone ha gridato «Viva la Rivoluzione!» e «¡Viva Cuba Libre!», e la sua voce si è mescolata a quella di un mucchio di giovani che nella strada agitavano i gagliardetti del Movimento 26 di Luglio e ripetevano sempre più forte, ogni volta sempre più chiaramente: «qQui ci sono Fidel, Raúl e Díaz-Canel», «Patria o Morte, Vinceremos!».
L’ho ascoltata in Infanta, dalla bocca di donne e uomini di tutte le età, tutti con la stessa convinzione: un paese come il nostro, con molti sogni e non pochi dolori, va difeso con le unghie e coi denti, sapendo che, come disse il poeta, «Per questa libertà/ bella come la vita/ si dovrà dare tutto/ se fosse necessario /e anche l’ombra/ e niente sarà sufficiente».
L’ho sentita dire da Julio Alejandro Gómez, un bloguero che si è sommato al reclamo onesto di coloro che amano e fondano, ed è uscito in strada, «perché sono rivoluzionario e so che questa è una manipolazione .
Vogliono approfittare delle nostre necessità e dei problemi per applicare la stessa formula «dell’ esplosione sociale», utilizzata in altri paesi,
Ma con Cuba non ci sono formule che valgano.
«La Rivoluzione è del popolo e la difende il popolo».
E ancora l’ho sentita dire da Alberto Bermúdez, un vicino di Infanta che, nel mezzo della manifestazione canterellava con un «picchetto» numeroso, «Yo me muero como viví» … e, poco dopo erano le note dell’Inno di Bayamo, che risuonavano più alte.
«Unità e continuità», dicevano altri, mentre Alberto interrompeva il suo canto per affermare che «Fidel, questo è il tuo popolo, e le strade sono del popolo.
L’ordine è dato e siamo qui. Andiamo a vincere, nonostante la COVID 19 e a qualsiasi prezzo».
La stessa frase, slogan della marcia, la gridava Alfredo Vázquez, segretario provinciale della Centrale dei Lavoratori di Cuba a L’Avana che, in uno degli scontri con i «destabilizzatori», è stato ferito.
«Mi hanno dato un colpo forte sulla testa, una ferita suturata con sette punti . Ma sono qui con la mia bandiera macchiata di sangue, disposto a continuare a difendere la Rivoluzione, perché morire per la Patria è vivere», ha assicurato senza rallentare il passo, e ugualmente Cuba, è terra di rivoluzionari che non s’intimoriscono.
E là per Vía Blanca, Faustino Leonard, un vicino del municipio Cerro, ha parlato a sua volta della frase d’ordine, con le pietre ammucchiate nella strada.
«Qui lo scontro è stato forte, ma noi rivoluzionari siamo di più. I sabotatori sono corsi a nascondersi, forse in qualche fogna, come fanno abitualmente i ratti. Questo paese, che nessuno lo dubiti, è del popolo e continuerà ad esserlo».