Miami connection, il fulcro del golpismo

Eder Peña, Mision Verdad 16 luglio 2021

La città di Miami (Florida, USA) è il nucleo in diverse operazioni di “cambio di regime” contro i Paesi. Da eventi recenti, e non tanto, l’enclave di El Doral è classificata come sorta di bar di Star Wars per aspiranti “liberatori” e guerrieri a pagamento. La sua reputazione di rifugio dei politici latinoamericani accusati o implicati in corruzione è storica, in tal senso non c’era distinzione più grande sulla loro nazionalità. Dai venezuelani defunti Carlos Andrés Pérez, Jaime Lusinchi, passando per vari gerarchi che comprendevano ex-governatori, ex-ministri e persino ex-presidenti, come Ricardo Martinelli di Panama, l’ultimo arrestato e sul quale veniva presentata una richiesta di estradizione.

False notizie e complotti vengono creati anche in eventi pubblici di estrema destra che chiedono colpi di Stato e interventi, come il presunto Forum di Difesa della Democrazia nelle Americhe tenutosi a maggio con la presenza di altri ex-presidenti di passaggio: Mauricio Macri (Argentina), Andrés Pastrana (Colombia), Luis Guillermo Solís (Costa Rica) e Lenín Moreno (Ecuador), che accusarono il Presidente Nicolás Maduro per le proteste in Colombia, lavorando duramente per rimanere fissi da orator in esilio. L’elenco è lungo, ma non è l’unica attività coperta tra le Everglades e l’Oceano Atlantico.

Da quella che è considerata città globale per l’importanza nel metabolismo speculativo del capitale transnazionale, si attuano avventure antipolitiche perché i fondi sono in eccedenza, e se non ce ne sono, vengono saccheggiati giocando a Monopoli con sviluppi urbani riciclando denaro, da qualunque parte provenga. L’elevata cilindrata della macchina finanziaria, commerciale e mediatica ha trasformato la metropoli nella “capitale dell’emisfero occidentale a sud del Rio Grande e del Golfo del Messico”, come direbbe il giornalista e storico T. D. Allman nel suo libro Miami. Città del futuro. Quindi, i loro poteri di fatto determinano narrazioni ed esportano violenza, oltre che fondi, divenendo elemento chiave nell’attuazione di misure coercitive unilaterali contro altri Stati. L’impatto di tali avventure è tale che sono diventate la politica che ha saputo cambiare il corso della storia in certi Paesi. Esaminiamo alcuni casi.

Furto e bugie in Nicaragua

Nel luglio 2019, l’editorialista Nan McCurdy pubblicò su The Grayzone che tre membri del consiglio di amministrazione della cosiddetta Nicaragua Pro-Human Rights Association (ANPDH) accusarono il loro ex-segretario esecutivo ora “asilo” in Costa Rica, Álvaro Leiva, di aver rubato mezzo milione di dollari dei contribuenti nordamericani alle organizzazioni del soft power nordamericane. Si trattava di fondi ricevuti tra il 2017 e il 2019 da National Endowment for Democracy (NED), National Democratic Institute (NDI) e Open Society, entità internazionali allineate ai processi di destabilizzazione dei governi di sinistra in America Latina. Tale ONG fu fondata a Miami nel 1986 su mandato di Ronald Reagan per risciacquare i crimini dei Contras durante la guerra sporca che la CIA conduceva contro il Nicaragua. Leiva fu anche accusato di aver gonfiato il bilancio delle vittime durante il tentativo golpista del 2018 per chiedere maggiori risorse ai donatori statunitensi. Fu anche denunciato che l’OAS, sulla base dei dati errati dell’ANPDH istigando condanne e “sanzioni” contro il Paese centroamericano, fino ad allora rimase in silenzio. Al fine di destabilizzare la politica interna del Nicaragua e le sue relazioni internazionali, da Miami fu attuata la consueta narrazione di “Stato fallito” utilizzando le cifre truccate dall’ANPDH, affermando che nei quattro mesi in cui vi furono le violenze delle proteste, ci furono più di 400 morti. Questa cifra superava quella reale, pubblicata dalla Commissione verità, giustizia e pace, di almeno 150 morti e, inoltre, accusò falsamente il governo di ogni morte. D’altra parte, l’unica persona scomparsa collegata agli eventi accaduti tra aprile e luglio 2018 fu Bismarck Martínez, militante sandinista rapito il 29 giugno 2018 e trovato ucciso nel maggio 2019. I media di Miami nascosero i video della tortura Martínez trovati sui cellulari dei suoi aguzzini dopo il loro arresto, ma amplificarono le esagerazioni dell’ANPDH sul numero di detenuti, feriti e scomparsi.

Il fallito radi Gideon in Venezuela

Nel pieno della campagna presidenziale del 2020, l’allora candidato repubblicano e presidente degli Stati Uniti Donald Trump tenne un discorso ai venezuelani a Miami indossando il suo cappellino “Make America Great Again”, lo slogan della prima campagna presidenziale. In quell’evento, il magnate parlò per più di un’ora affermando che “i giorni del socialismo e del comunismo sono contati, non solo in Venezuela, ma anche a Cuba e Nicaragua”, aggiungendo che al socialismo non sarebbe mai permesso di mettere radici nel cuore del capitalismo, negli Stati Uniti. Tre mesi dopo, il 3 maggio, nonostante il governo venezuelano avesse avvertito della presenza di campi di addestramento mercenari in territorio colombiano, si ebbe la fallita incursione di 47 esuli venezuelani e di due ex-membri delle forze speciali dell’esercito degli Stati Uniti. Ci furono otto morti. L’obiettivo dell’operazione Gedeón era catturare, detenere o rimuovere il Presidente Nicolás Maduro, rovesciare il governo e insediare l’allora deputato Juan Guaidó come presidente scelto dagli Stati Uniti. La base operativa era la Colombia, nello specifico La Guajira, ma la conclusione dell’accordo che portò agli eventi fu sul campo da golf del Red Course presso El Doral Resort. Il capo era l’ex-soldato statunitense Jordan Goudreau, fondatore della società di servizi di sicurezza privata Silvercorp USA, che in seguito intentò una causa per 1,4 milioni di dollari contro Juan José Rendón, consulente del piano criminale, chiamato “governo ad interim” guidato da Guaidó, per inadempimento contrattuale. Goudreau espose documenti in cui dimostrava che Guaidó sapeva del tentativo golpista che lo doveva portare al potere, e i media di Miami, specialmente quelli non beneficiati economicamente dall’”interim”, mostrarono registrazioni in cui incoraggiava i mercenari, ed anche un contratto firmato per un anticipo di 1,5 milioni di dollari e oltre 200 milioni raccolti attraverso favori politici. Un partecipe all’operazione, Hernán Alemán, dichiarò: “Abbiamo parlato del piano, un’operazione tattica per catturare i grandi attori politici del Venezuela che sarebbero stati consegnati agli Stati Uniti. Juan Guaidó avrebbe assunto il mandato di presidente ad interim, portando a libere elezioni in Venezuela”. Da parte sua, Goudreau avrebbe finanziato la logistica attraverso donazioni di persone che avrebbero ottenuto ricompense finanziarie dall’eventuale governo di “transizione”.

Rendón disse alla stampa che “abbiamo analizzato circa 22 scenari. Forse un terzo di questi riguardava l’uso della forza”, tale prodotto di molteplici incontri che si svolsero a Miami di cui, con tutta certezza, alcuni settori del governo di Trump sapevano, ma che in seguito dichiarò di non sapere. Inoltre, Goudreau, medico, cecchino, veterano dell’Afghanistan e dell’Iraq e vincitore di tre stelle di bronzo dell’esercito degli Stati Uniti, affermò di aver incontrato due consiglieri del governo e fu assunto nel febbraio 2019 per fornire sicurezza al concerto sponsorizzato da un altro magnate, Richard Branson. Fu un evento musicale che ricevete la diffusione e persino la concentrazione del sostegno da Miami, ma che fu realizzato come strumento di pressione mediatica a Cúcuta, sul lato colombiano del confine col Venezuela, affinché il governo venezuelano permettesse l’ingresso di donazioni ad organizzazioni umanitarie che finirono per essere incendiate dagli stessi manifestanti antichavisti come pretesto, anch’esso fallito, per creare violenze sul territorio nazionale. Nel 2017, le autorità statunitensi dichiararono di aver svelato una rete che contrabbandava armi da quel Paese al Venezuela almeno dal 2013, il mese precedente il governo boliviano aveva sequestrato 75 armi di grosso calibro che avevano lasciato Miami ed erano entrate in Bolivia.

Complotto per l’assassinio ad Haiti

La città portuale che ospita il maggior volume di navi da crociera al mondo e le banche internazionali degli Stati Uniti fu anche fattore chiave nell’assassinio del presidente haitiano Jovenel Moïse, avvenuto nelle prime ore del 7 luglio. Il venezuelano di Miami Antonio “Tony” Intriago fu il reclutatore dei mercenari colombiani arrestati a Port-au-Prince per l’omicidio di Moïse e per le gravi ferite alla moglie. Media come La Nueva Prensa ne rivelarono il legame col presidente della Colombia Iván Duque nell’ambito del concerto a Cúcuta, alla cui organizzazione parteciparono entrambi. Intriago possiede diverse società registrate nello stato della Florida, tra cui Venezuela Somos Todos, co-organizzatore del concerto, e CTU Security (Unità Antiterrorismo Federal Academy LLC), appaltatore dei mercenari colombiani. Testimoni affermano che l’uomo d’affari condivise con Duque e Guaidó durante l’evento in cui quest’ultimo arrivò per mano dei capi del gruppo armato narco-paramilitare Los Rastrojos, un fatto ignorato dalla stampa cartellizzata di Miami. Il Cucutazo fu anche poco pubblicizzato, sottraendo fondi che dovevano essere utilizzati per il lavoro umanitario e di cui l’USAID ancora chiede. Intriago e Duque si incontrarono a Miami durante un evento elettorale nel febbraio 2018 quando era candidato presidenziale; il governo venezuelano denunciò l’uomo d’affari che forniva sicurezza al CTU nel contratto per la fallita Operazione Gideon. Un altro personaggio legato al golpismp di Miami è l’”attivista” colombiano Alfred Santamaría, socio di Intriago nel direttivo della Fundación Latino Americanos Unidos, Inc., con sede proprio a Miami, che pubblicò foto con Duque sui social network, negli incontri da marzo. Era candidato sindaco è difensore di Martinelli (attuale boss di María Corina Machado) e alcuni media mostrarono foto di lui con Guaidó, il suo ex-consigliere J. J. Rendón e Álvaro Uribe Vélez. Uno dei due haitiani-americani catturati fu identificato come James Solages, 35 anni, di Fort Lauderdale (Florida), dove è direttore esecutivo di EJS Maintenance & Repair e gestisce una ONG. Lavorò come capo della guardia del corpo dell’ambasciata canadese ad Haiti e, mentre si trovava in Florida, sosteneva l’ex-presidente Michel Martelly del Partito degli haitiani di Moïse (PHTK). Fu anche guardia di sicurezza di Reginald Boulos e Dimitri Vorbe, due membri di quella che lo stesso defunto presidente di Haiti chiamava “oligarchia haitiana”.

L’intossicazione permanente contro Cuba

Gli USA perseverarono nello stretto blocco dell’isola e questo è attuato dal sud della Florida insieme all’inclemente attacco mediatico e ad azioni terroristiche di varia intensità. L’Unione Sovietica diede a Cuba vari modi per aggirare il blocco, tuttavia dopo la caduta del blocco socialista, le élite statunitensi, alimentate dall’oligarchia terroristica di origine cubana, attaccarono l’economia attraverso la Legge Cubana sulla Democrazia (1992) e la Legge per Cuba Libertà e solidarietà democratica (1996). Niente a che vedere dei nomi con i loro effetti. Dal 1992, la stragrande maggioranza dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite votò affinché gli Stati Uniti pongano fine all’embargo e persino esperti del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite pubblicarono una dichiarazione chiedendo il ritiro di tali misure che, inoltre, resero il tentativo di combattere la pandemia di covid-19 è più difficile. Solo nel 2020, gli Stati Uniti applicano 55 “sanzioni” illegali delle 243 che Trump adottò durante la sua amministrazione, tutte basate sulle suddette leggi e sul desiderio che il crollo sociale abbatta il Partito Comunista di Cuba. A giugno, il Ministro degli Esteri Bruno Rodríguez denunciò all’Assemblea generale delle Nazioni Unite che il solo settore sanitario perse 200 milioni di dollari tra aprile e dicembre 2020, 38 milioni in più rispetto al 2019. Anche se Cuba gestì con successo la pandemia mantenendo i tassi di infezione e mortalità bassi, la presenza di varianti virulente causò la ripresa dei casi che portò al sovraccarico delle infrastrutture sanitarie. In questo modo fu richiesto l’invio di personale sanitario da altre province ed aiuti solidali e donazioni. Le piattaforme mediatiche al servizio degli interessi coloniali, e finanziate dalle stesse agenzie interventiste, saturarono le rete con falsità e accuse al governo per aver respinto la loro richiesta di aprire un corridoio umanitario o l’intervento di organizzazioni sanitarie internazionali.

Da almeno due anni è in gestazione il Movimento San Isidro (MSI), col sostegno dalla Florida, ancorato al movimento culturale cubano, nato da certe rivolte artistiche del 2018. A causa delle controverse misure proposte dal governo nei confronti del milieu culturale gli elementi già noti si conformarono ai tentativi da golpe morbido. La stessa sceneggiata cogli stessi “attivisti” (artivista, in questo caso) che “scompaiono” quando vengono arrestati per violazione della legge, simbolismo, canzoni, fake news, sceneggiate, altre canzoni, sovraesposizione da manifestazioni mirate… Un altro importante attore dell’ultima ondata colorata è un’altra ONG: Unión Patriótica de Cuba (Unpacu), fondata da José Daniel Ferrer García e finanziata nel 2011 dalla Fondazione nazionale cubano-americana di Miami. Diversi musicisti residenti in quella città, dove tutti parlano, cantano o scrivono ciò che la dirigenza cubana di Miami gli dice, parteciparono a un’operazione di marketing discografico e propaganda politica che portava alla canzone “Patria y Vida”, a cui partecipano anche membri del MSI che vivono a Cuba. Il media agent Alex Otaola determina e sottolinea la qualità controrivoluzionaria di un artista a Miami, quindi dopo ogni punto ad un artista, deve decidere se entrare o scomparire dalla scena mediatica. Ciò avviene nella città da cui si decidono i gusti artistici e la moda nel mercato culturale ispanofono, “in nome della libertà”. L’editorialista José Manzaneda racconta come Otaola bandì artisti come il duo Gente de Zona, che salutò il Presidente Miguel Díaz-Canel durante un concerto all’Avana. Furono sottoposti al veto dal sindaco di Miami in un concerto di fine anno e persero la loro doppia residenza a Miami e L’Avana. Un altro artista colpito fu il compositore Descemer Bueno, che elogiò la cooperazione medica cubana e condannò il blocco del suo Paese da parte degli Stati Uniti. Per questi motivi, Otaola fece boicottare i suoi concerti a Miami. Sebbene Bueno resistesse e lo portasse in tribunale, fu sconfitto e finì per cedere. Ad ottobre, Otaola diede a Trump la “lista rossa” dei cubani a cui impedire l’ingresso nel Paese. Nel pieno dell’estorsione, alcuni di loro si congratularono per la sua lotta per la “libertà di Cuba”. Altri artisti del MSI che vivono a Cuba, come Denis Solís González, riconoscono i legami coi terroristi di Miami come Jorge Luis Fernández Figueras, accusato dalla giustizia cubana di appartenere al gruppo paramilitare Lobos Solitarios. Maykel Osorbo non seguì la linea che la canzone è un appello alla pace e dichiarò che è “un inno di guerra”, oltre a dire: “Sono favorevole all’invasione in questo momento. Invaderete Cuba? Venite”.

Mentre dentro e fuori gli USA i potenti media cartellizzati mettono a tacere le varie organizzazioni ed entità che chiedono la fine del blocco, gli artisti al servizio di tali media si recano in Paesi come la Spagna per lusingare la loro “libertà di espressione”, sì, e non vale la pena menzionare i rapper imprigionati come il catalano Pablo Hasel.

Traduzione di Alessandro Lattanzio

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