Geraldina Colotti
“Per la sua lotta in difesa della sovranità, Cuba merita il premio alla dignità. Per il suo esempio di indipendenza, dev’essere dichiarata patrimonio dell’umanità”. Con queste parole, il presidente del Messico, Manuel Lopez Obrador ha parlato di Cuba durante l’incontro dei ministri degli Esteri della Celac, tenutosi nel giorno della nascita del Libertador Simon Bolivar, il 24 luglio.
Un pensiero condiviso dalle piazze di tutto il mondo, che hanno sventolato la bandiera del 26 luglio per ricordare lo storico assalto alla Caserma Moncada, al grido di “Yo soy Fidel”. Lo stesso grido partecipe con cui, per giorni, durante il funerale di Fidel Castro, il popolo cubano ha mostrato al mondo il profondo senso collettivo della rivoluzione: per dire che il Comandante non è morto, si è moltiplicato. Il socialismo non è morto, si è moltiplicato nella lotta dei popoli decisi a essere liberi, anche in Europa.
Lo si è visto in questi giorni nelle dimostrazioni di solidarietà internazionale seguite all’attacco mercenario dell’11 luglio. Un piano che cerca di riproporre all’Avana lo schema delle “rivoluzioni colorate”. Riprendendo quanto sperimentato in questi anni contro la rivoluzione bolivariana in Venezuela, dall’asfissia economica, si passa a quella diplomatica. I gusanos di Miami manifestano insieme agli “esqualidos” venezuelani, nel tentativo di riproporre anche per Cuba la farsa di un “governo parallelo”, riconosciuto dai paesi imperialisti.
Già a fine giugno, nella gestazione di quel che sarebbe successo a luglio, i media internazionali hanno cominciato ad amplificare la notizia della formazione di un presunto Consiglio per la Transizione Democratica, con il compito di disegnare gli obiettivi di un altrettanto presunto governo parallelo, diretto dall’ex militare José Daniel Ferrer García. Responsabile delle “relazioni internazionali”, è Elena Larrinaga de Luis, cubana residente in Spagna, paese dal quale la sua potente lobby agisce sull’Unione Europea.
A febbraio, ha fondato per questo la piattaforma Cuba Humanista, definita dai media europei come “progetto inclusivo e trasversale per dar voce ai dissidenti che non possono parlare a Cuba”. Un progetto che include una “riforma economica e educativa” con la quale – secondo Larrinaga – l’Unione Europea e il suo alto rappresentante Josep Borrell sarebbero “in sintonia”. Una manovra che, sostiene Larrinaga, ha già dato i suoi frutti anche nel Parlamento Europeo.
In questi giorni, l’Unione Europea ha espresso “sostegno inequivocabile” a chi ha manifestato contro il governo cubano l’11 luglio, e ha chiesto il rilascio di “quanti sono stati arrestati arbitrariamente”. Puntuale è arrivata la replica del ministro degli Esteri cubano, Bruno Rodriguez, il quale, via twitter ha respinto “con forza” la dichiarazione dell’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell. Una dichiarazione nella quale – ha detto il ministro – “non si osa chiamare con il suo vero nome il bloqueo genocida degli Stati Uniti, paese che viola la sovranità dell’Europa, imponendole le sue leggi e i suoi tribunali”. Rodriguez ha poi osservato che la Ue “farebbe meglio a occuparsi degli episodi di brutale repressione poliziesca” esistenti nei paesi della Comunità.
Sull’argomento è intervenuto, sempre in twitter, il presidente di Cuba, Miguel Diaz-Canel: “È incredibile – ha scritto – come l’Alto rappresentante Ue non menzioni il bloqueo genocida e crudele. Mente calunnia e fa sua la farsa di intromissione imperiale contro Cuba. Sarà mancanza di coraggio o sottomissione?”.
Per ottenere l’isolamento diplomatico e contrastare l’ondata di simpatia suscitata dalla generosità di Cuba durante la pandemia, la Cia e i suoi derivati scatenano la battaglia sul terreno delle idee. Cercano di capovolgere i simboli della rivoluzione, confondendo i concetti in un perfido slittamento di senso, già visto nei paesi capitalisti, dove il terreno è già stato ampiamente arato dopo la caduta dell’Unione Sovietica. Il capitalismo diventa allora “libertà”, e i mercenari che lo sostengono, previo compenso, diventano messaggeri di “vita”, consegnati alle canzonette.
Quanta “vita” ci sia nella ricerca del profitto, lo si è visto durante questo capitolo pandemico della crisi strutturale del modello capitalista. Tuttavia, la poderosa macchina degli apparati ideologici di controllo, dopo aver succhiato, demonizzato e distorto la memoria delle classi popolari, sta continuando a funzionare bene, se al posto delle rivolte giovanili per l’assenza di futuro, vediamo piuttosto quelle per l’aperitivo. Il bersaglio principale, ovviamente, sono i giovani, non solo a Cuba, in Venezuela o in Colombia, ma anche in Europa.
E perciò, è stato davvero un bel segnale vedere anche in Italia tanti giovani e giovanissimi (molte le ragazze) alla manifestazione in difesa di Cuba, davanti all’ambasciata a Roma. È stato un bel segnale vederli reggere le bandiere del 26 luglio, che ricordano l’assalto alla Caserma Moncada come capitolo di quell’assalto al cielo, tentato dai comunisti e dalle comuniste di tutti i paesi, anche d’Europa, nel secolo scorso. Di gran significato sentirli uniti al grido di “Yo soy Fidel”.
Certo, non siamo più ai tempi dell’opposizione di massa all’aggressione imperialista in Vietnam, e nemmeno più ai tempi dell’opposizione pacifista all’aggressione all’Iraq del 2003. Certo, non è lo stesso cantare le canzoni di lotta del secolo scorso sulle note di oggi. E infatti è capitato che quegli stessi che si sgolavano a cantare “La canzone del Maggio” di De André con le sue strofe contro la galera, si precipitassero il giorno dopo a chiedere la forca per gli ex guerriglieri degli anni Settanta. E, fra i giovani “antagonisti” di oggi, capita anche che il giusto riflesso contro la società disciplinare finisca per tradursi in distanza dalle esperienze del socialismo novecentesco e anche dalle forme che vi si richiamano, benché con nuovi paradigmi, come il Venezuela. Capita che si arrivi a comprendere solo le svolte tattiche delle bandiere per cui si fa il tifo.
Capita nella società del post-tutto, dove non sono più gli atti a determinare la pertinenza del discorso politico, perché si è perso il nesso tra il dire e il fare, la responsabilità anche personale, in quel che accade. In questo caso, però, si tratta di giovani che si stanno temprando nel conflitto di classe, obbligati ad aprire brecce nella chiusura degli spazi di agibilità politica, necessari all’economia di guerra, in quella che una volta avremmo chiamato “controrivoluzione preventiva”.
In piazza, si sono viste quasi tutte le sigle che, nell’associazionismo, nelle organizzazioni o nei partiti che non figurano in parlamento, hanno continuato a manifestare la solidarietà a Cuba. Molte teste incanutite dagli anni comparivano vicino a giovani cespugli di capelli colorati. Voci di donne giovani e meno giovani, che proviamo in parte qui a restituire.
Cristina è una delle speaker di Radio Onda Rossa. “Sono qui – dice – innanzitutto perché mi sembra doveroso, dopo tutto quel che i medici cubani hanno fatto venendo a dare una mano nelle zone di Bergamo e Brescia, le più colpite dalla pandemia. Lo hanno fatto nonostante il bloqueo criminale, che ora Biden, sulla scia di Trump, vuole mantenere. Sfido qualunque paese a vivere in quelle condizioni”.
Cristina partecipa anche al movimento delle donne Non una di meno, e pensa che “anche come donne e femministe sia importante esprimersi su questi contenuti”. Come operatrice della comunicazione alternativa, pensa vi sia una grande responsabilità dei media mainstream, anche nella ricezione delle nuove esperienze socialiste in America Latina.
Ricorda il 2001, i tempi del social Forum e delle manifestazioni contro il G8 di Genova. “Allora – dice – nei media center c’erano molti compagni venezuelani. Ricordo il dibattito sulla presenza di Chavez ai Forum sociali mondiali. Poi, la discussione si è spenta, e quest’anno a Genova, a vent’anni da quelle riflessioni, non c’è stato un vero dibattito sull’internazionalismo, né un bilancio. Probabilmente, questo è anche dovuto al fatto che, qui da noi, percepiamo in maniera meno diretta il peso del colonialismo e dell’imperialismo”.
Cristina pensa che “anche a partire dal femminismo, dobbiamo riaprire luoghi di discussione su questi temi. D’altro canto, il movimento Non una di meno è nato in Argentina, ed è presente in Polonia e ha una connotazione internazionale. In radio proviamo a farlo, a volte esprimendo posizioni critiche come nel caso del Nicaragua. Ora, a partire da quel che accade in Colombia, e dall’arrivo della carovana zapatista, potrebbe essere una buona occasione per ampliare il dibattito”.
Sotto le bandiere di Potere al Popolo, incontriamo una giovanissima, Margherita, bolognese che vive a Roma. “Da comunista – afferma – penso che la solidarietà sia necessaria per ricordare cos’è il socialismo e dare forza al popolo cubano e al suo governo, attaccati dai fascisti e dall’imperialismo Usa”. Un attacco portato a livello continentale, perché – dice Margherita – “gli stati imperialisti devono occultare che nel socialismo cubano c’è la vera democrazia. Cercano di distruggere l’esempio di uno stato che, nonostante il bloqueo, garantisce l’istruzione pubblica, la salute, i trasporti e forme alternative di governo come in Venezuela, mentre si è visto come si sono comportati i paesi capitalisti durante la pandemia”.
Rosella, invece, è una ricercatrice, dice di non appartenere a nessun gruppo. “Ho collaborato con ricercatori cubani – spiega -Sto cercando di far conoscere qui il loro approccio alla scienza e alla medicina. Di fronte alla pandemia, Cuba è forse il paese che ha difeso meglio la propria popolazione, e per questo ha avuto un tasso di mortalità molto basso anche per via della prevenzione, per la gestione degli asintomatici e dei malati. E adesso, nonostante il bloqueo e le conseguenti limitazioni, ha sviluppato ben tre vaccini, unico paese dell’America Latina, mentre l’Europa non può dire altrettanto. Penso che dietro l’attacco dell’11 luglio, arrivato dopoché il 9 luglio si è avuto il via libera per il vaccino Abdala, vi siano anche interessi commerciali”
Un’altra giovanissima porta una fascia al braccio con la scritta 26 luglio. Anche lei si chiama Cristina, e fa parte della Rete dei Comunisti. “Siamo qui per difendere l’ambasciata, il popolo e il governo cubano dall’attacco yankee. I gusanos volevano manifestare in questa piazza, ma lo abbiamo impedito. L’eredità del Che e di Fidel non va combattuta, ma moltiplicata”. Quello dell’imperialismo nordamericano, è “un attacco all’integrazione latinoamericana e anche alla costruzione dell’alternativa contro gli interessi dei grandi gruppi multinazionali, qui da noi. Cuba dimostra che un modello alternativo esiste, e può far fronte anche a situazioni di emergenza come una pandemia, producendo non uno, ma tre vaccini”.
Francesca è una medica italo-statunitense, in prima linea nella lotta contro il covid, ma anche nella battaglia per smascherare gli interessi imperialisti e quelli dei grandi gruppi farmaceutici. “Sono qui perché credo nel socialismo – dice -. Bisogna cambiare paradigma. Non è possibile continuare a vedere persone che muoiono per strada, nell’indifferenza dei governi come il nostro: che viene definito ‘dei migliori’, invece è il governo delle banche e della finanza. Da medico, non lo posso accettare, perché le persone vanno tenute in considerazione per quello che sono, per i bisogni che hanno. Se gli si toglie il lavoro, la casa, la copertura sanitaria con servizio pubblico, come si fa a dire che il governo si occupa delle persone? Cuba ha dato un bellissimo esempio di come dovrebbero andare le cose, dicendo che metterà il vaccino a disposizione di chi non ha possibilità di fare ricerca propria. Penso che il bloqueo vada assolutamente tolto. Come italo-statunitense, mi sento ancor di più toccata. L’ho anche scritto a Bernie Sanders, e in tanti hanno messo like”.