Roberto Cursi www.lantidiplomatico.it
Si sa, i proverbi nascono dalla cultura popolare, tanti sono diventati luoghi comuni mentre altri ci sarebbe proprio bisogno di sfatarli. Poi ce ne sono alcuni che rimangono immortali e vanno bene per tutte le stagioni, uno di questi è “chi si piglia si somiglia”, e penso calzi a pennello per Roberto Saviano e Yoani Sánchez.
Anche se nel decennio passato la sua immagine è stata diffusa in tutto il mondo, forse non tutti sanno chi è questa donna cubana molto conosciuta fuori dal suo Paese e quasi per nulla dai suoi connazionali.
Portata alla notorietà come blogger con il suo “Generación Y”, dove raccontava tutti i mal funzionamenti del sistema socialista cubano. Il suo blog veniva diffuso in 18 lingue diverse in tutte le latitudini. Varie testate internazionali le offrirono contratti di collaborazione, come “El Pais”, mentre in Italia era “La Stampa” che pubblicava i suoi articoli tradotti dal referente italiano della Sánchez, Gordiano Lupi.
Attualmente è direttrice della testata online “14yMedio” con sede a L’Avana, con una linea editoriale di forte opposizione al governo e fortemente critica su quello che la Rivoluzione ha fatto nel suo paese.
Fino a quando l’intelligence statunitense e le associazioni anticastriste di Miami non hanno creato e finanziato il “Movimiento San Isidro” (MSI) e il progetto “Patria y vida”, portato avanti da un gruppo di artisti cubani il cui leader è Yotuel Romero [1], Yoani Sánchez veniva presentata al mondo dai media mainstream come la principale figura dell’opposizione cubana, e per questo perseguitata dal “regime dittatoriale” di Fidel Castro.
Sembra che ora sia proprio Yotuel Romero a sostituirla, visto che lo hanno fatto partecipare a un incontro con parlamentari europei e da poco è stato anche presente in una riunione con alcuni rappresentanti dell’amministrazione Biden alla Casa Bianca.
Avevo deciso di rivolgermi a Roberto Saviano parlando di Yoani Sánchez dopo che avevo letto l’articolo di Fabrizio Verde pubblicato su “l’AntiDiplomatico” [2] dove parlava della sua “figuraccia”. So che è passato del tempo, ma seguire le incalzanti cronache cubane di questi giorni non mi ha lasciato la possibilità di farlo prima.
In quell’articolo si racconta la gaffe dello scrittore di “Gomorra” nel pubblicare un tweet con la foto di Betty Pairol, la donna cubana che da sola era scesa in piazza in contrapposizione a chi stava protestando nelle strade del suo quartiere: Braccia in alto a sostenere la bandiera con la “stella solitaria”, un foulard rosso vivo avvolto sul suo capo e un forte grido di rabbia che esce fuori dalla foto per raggiungere chiunque la stia guardando.
Una immagine che Roberto Saviano non ha perso tempo a utilizzare contro la “dittatura del partito comunista”, come lui stesso ha scritto nel tweet, dittatura che violerebbe i più elementari diritti umani, quei diritti che la donna, secondo lui, era scesa in strada a rivendicare con tutta la rabbia in corpo.
Dopo essersi reso conto dell’enorme gaffe, il tweet è stato subito cancellato e sostituito con una intervista al “Corriere della Sera” di Yoani Sánchez.
So molto bene che sulla blogger/giornalista cubana si è già scritto di tutto e forse non aggiungerò molto di nuovo, ma penso che alcune cose sia importante ricordarle per l’ennesima volta, visto che Saviano, imperterrito, continua a far finta di nulla condividendo le “denunce” e molte fake che la blogger rilascia in giro per il mondo.
Può anche darsi che lui stia in buona fede quando parla di Yoani Sánchez, perché forse non conosce bene la sua storia, ma, se così fosse, la cosa sarebbe molto grave per un intellettuale come Saviano.
Per parlare così male di Cuba bisogna avere un forte sentimento di ostilità nei confronti della loro Rivoluzione, tanto da augurarsi al più presto un suo totale disfacimento.
Come è conosciuta la storia di Yoani Sánchez, ai più è anche conosciuta la forte passione politica che Saviano aveva da ragazzo (come da tempo ha reso pubblico il giornale “Il Bolscevico”).
Lui, in giovane età, è stato un convinto comunista che ha avuto contatti, scambi di lettere e piccole collaborazioni col giornale del Partito marxista-leninista italiano (PMLI) e questo fino al suo primo anno di università.
Nelle lettere inviate a “Il Bolscevico” si definiva «un ragazzo da sempre impegnato nella lotta di classe e militante della sinistra rivoluzionaria extraparlamentare, di tendenza “guevarista/trotzkista”».
Oppure scriveva: «Ho studiato le tesi di Mao e Lenin che hanno rafforzato la mia ideologia marxista-leninista – Marx, Engels, Lenin e Mao – sono grandi statisti che con il loro pensiero e la loro azione hanno cambiato e cambieranno il modo di pensare e di agire, e per questo penso di lottare con tutte le mie forze per la rivoluzione proletaria».
Sul fatto che una persona possa cambiare idea nel corso della vita e prendere posizioni completamente opposte a quelle di prima non ho nulla da ridire, è più che legittimo. E per questo, da parte mia, non c’è alcun sarcasmo nel riportare le convinzioni giovanili di Saviano.
Le sue enfatiche affermazioni si permettono a ogni adolescente che abbia dentro di se un sentimento di ribellione verso qualsiasi ingiustizia sociale e senta l’esigenza di rivendicare che “un altro mondo è possibile”. Ben vengano giovani con queste “intemperanze”.
Intemperanze che Saviano dopo un po’ di tempo già rinnegava, criticando in modo duro e deciso il “massimalismo verboso e violento” di Antonio Gramsci a favore del riformismo di Filippo Turati, il quale tentava di “coniugare socialismo e liberalismo”.
Questo si leggeva in un suo articolo su “la Repubblica” pubblicato il 28 febbraio 2012 con il titolo «Elogio dei riformisti», dove recensiva un saggio di Alessandro Orsini, domandandosi “che cosa significa essere di sinistra? È possibile ancora esserlo? E come si coniugano le due anime della sinistra, quella riformista e quella rivoluzionaria?»
Un bell’articolo quello di Saviano, se non fosse “sporcato” da deliberate accuse nei confronti di Gramsci, citando frasi del politico e filosofo sardo del tutto decontestualizzate dal periodo storico e da fatti a quel tempo contingenti.
Una bella e dettagliata risposta, che smonta punto per punto tutte le accuse strumentali rivolte a Gramsci, si può leggere in un articolo pubblicato sullo “Scrittore della domenica” dal titolo «Sull’“Elogio dei riformisti” di Roberto Saviano». [2]
Tra l’altro anche in questo caso, dove il discorso era tutto italiano, non ce l’ha proprio fatta a non parlare dei “crimini della dittatura castrista” e a elogiare Yoani Sánchez.
Ho citato questi due momenti nell’evoluzione del pensiero politico di Roberto Saviano per arrivare direttamente all’ultimo suo periodo, dove dichiarazioni e articoli fanno capire molto bene il suo posizionamento nella geopolitica internazionale, con chi schierarsi e contro chi; basta citare la Palestina con Israele e Cuba con gli Stati Uniti. Così come alcune prese di posizione che inducono a pensare a un suo avvicinamento al pensiero neoliberista.
La storia di Yoani Sánchez è sicuramente diversa da quella di Saviano, non può essere altrimenti essendo nata a Cuba; ma su un aspetto hanno molto in comune.
Anche lei cresce marxista-leninista (non si sa se per condizione o per scelta), in quegli anni a Cuba la formazione era quella.
Solo dopo essere diventata adulta e famosa che inizia a criticare fortemente il sistema socialista e a partecipare a convegni organizzati da neoliberisti. Uno dei suoi riferimenti, letterari e politici, è lo scrittore Vargas Llosa (Premio Nobel 2010) con il quale diventa molto amica. Anche lui comunista in gioventù per poi diventare uno dei più impegnati sostenitori delle politiche neoliberiste e, come la Sánchez, fermamente in opposizione a qualsiasi candidato progressista che si presenti alle elezioni presidenziali nei vari Paesi dell’America Latina.
Ma ritorniamo all’attualità e al tema che mi ha spinto a scrivere questo articolo.
Anche Saviano, come altre milioni di persone, di agenzie stampa, di Tg e giornali, ha avuto fretta a utilizzare la bella foto di Betty Pairol contro Cuba. Tanta fretta che nemmeno si era informato che la donna cubana era scesa in strada per tutt’altro motivo e, come lei stessa ha poi stupendamente descritto, si trovava «Tra la gentaglia, la feccia, la volgarità, l’indecenza, l’oscenità, lì, tra i disadattati sociali, la piaga, i delinquenti, i vagabondi abituali, tra il branco aggressivo, pericoloso, violento […] Stavo guidando la folla che si spostava per “Paseo” con intenzioni di arrivare fino al lungomare, ma già c’era il popolo pronto a pulire le sue strade da tanto fetore che avevano lasciato».
Eppure, dopo aver saputo che quell’urlo era in difesa della Rivoluzione – e non contro – invece di scusarsi, Saviano, oltre al danno aggiunge la beffa nei confronti di Betty Pairol, postando un tweet sull’intervista a Yoani Sánchez, donna agli antipodi di colei che è scesa in strada per alzare in alto la bandiera con la “stella solitaria”.
Per mia natura sono incline a pensare sempre alla buona fede delle persone e faccio fatica a pensare che non sia così anche per Saviano, e allora chiederò direttamente a lui, permettendomi di dargli del tu: Caro Roberto, ma tu sapevi o no che Yoani Sánchez …
Continua…
[1] Yotuel Romero, progetto “Patria y vida”
[2] Articolo di Fabrizio Verde su Saviano (tweet Betty Pairol)
[3] Risposta a Saviano “Sull’Elogio dei riformisti” (Gramsci)
http://scrittoredelladomenica.blogspot.com/2012/03/sullelogio-dei-riformisti-di-roberto.html
Roberto Saviano e Yoani Sánchez, ma quante menzogne su Cuba
Roberto Cursi
07.08 Potrei iniziare subito con una lunga lista di cose che Roberto Saviano non sa sulla blogger e giornalista Yoani Sànchez. Il fatto che lui non le sappia lo penso io, perché mi rimane difficile credere il contrario quando lo vedo sostenere con tanta convinzione la giornalista cubana, ma prima vorrei spendere alcune parole sui tweet che Saviano ha pubblicato su Cuba.
Il tweet che ha postato su Yoani Sànchez intervistata dal “Corriere” è in buona compagnia, perché ne ha pubblicati altri tre su Cuba.
Nel primo di questi suggerisce di leggere una intervista, sempre al “Corriere”, fatta a un altro cubano, e twitta: “Per tutti coloro che cercano di capire le rivolte di Cuba consiglio questo articolo dello scrittore Carlos Manuel Álvarez”.
Conoscendo chi è Carlos Manuel Álvarez e la sua rivista “El Estornudo”, già sapevo con certezza che taglio avrebbe avuto il contenuto dell’articolo.
Lo scrittore cubano è direttore della rivista che si presenta come testata “indipendente” cubana, anche se la quasi totalità di chi scrive vive fuori dall’Isola. Lui stesso ha lasciato Cuba da circa sei anni e ora vive a New York.
Come è accaduto anche con Yoani Sànchez, prima di farlo conosce al grande pubblico, anche Álvarez è stato formato all’uso delle tecnologie digitali e ben preparato su come e cosa scrivere contro Cuba.
Solo dopo che qualcuno ha reso pubblico i finanziamenti che le varie testate “indipendenti” cubane ricevevano, lo “El Estornuto” ha dovuto ammettere che il loro denaro arriva dal NED.
Il “NED” (National Endowment for Democracy), come riporta il suo stesso sito, è «una fondazione indipendente dedicata alla crescita e al rafforzamento delle istituzioni democratiche in tutto il mondo. […] nonché di molti individui che fanno parte di una energica società civile in garanzia dei diritti umani, l’indipendenza dei media e dello stato di diritto […] Finanziato in gran parte dal Congresso degli Stati Uniti il NED è rimasto fermamente bipartisan, creato congiuntamente da repubblicani e democratici».
Solo per Cuba, negli ultimi quattro anni, il NED ha finanziato quasi 2 milioni e 5000.000 mila dollari alle varie testate giornalistiche “indipendenti” e ai molti “dissidenti” dell’ultima ora.
Il NED contribuisce solo in minima parte all’enorme flusso di denaro che viene destinato contro Cuba, essendo solo una delle tante agenzie, enti o fondazioni che finanziano i loro pupilli in giro per il mondo.
Molto più importante è la “USAID” (U.S. Agency for International Development) che insieme al Dipartimento di Stato americano – sotto l’Amministrazione Trumph – ha speso circa 40 milioni di dollari destinati a finanziare qualsiasi progetto che contribuisca alla caduta del sistema socialista cubano.
Un capitolo a parte dovrebbe essere dedicato alla “Open Society Foundations” del multi miliardario George Soros (altra grande finaziatrice), sempre in prima linea nelle rivolte pilotate nei Paesi non allineati al pensiero neoliberista, come ad esempio la rivoluzione arancione in Ucraina [1].
Chiunque fosse a conoscenza di quello che ho appena riportato poteva già immaginarsi il contenuto dell’articolo sul “Corriere” che Saviano suggeriva di leggere. Infatti una volta letto ne ho avuto la conferma.
Basta citare solo una delle affermazioni che Carlos Manuel Álvarez rilascia nell’intervista per capire come le menzogne vengono riprese e diffuse dai grandi media e poi rese “credibili” con l’avvallo di persone come Roberto Saviano e molte altre.
L’intervistato Carlos Manuel Álvarez afferma: «Per ora (a Cuba), ci sono arresti, sparatorie, perquisizioni nelle case, morti, reclutamenti forzati, pestaggi di civili indifesi ad opera di militari».
Ma come si fa a condividere affermazioni del genere quando in tutte le proteste svolte nelle varie città c’è stato un solo morto. Non si possono divulgare menzogne con così tanta leggerezza. No, chi è serio non lo fa!
L’unico morto nelle proteste di Cuba è il 36enne Diubis Laurencio Tejeda, già detenuto per furto e altri piccoli reati, per il quale la forza di polizia si è subito rammarica per l’accaduto tramite un comunicato.
L’uomo, insieme a molti altri armati di bastoni, pietre e qualche machete, ha tentato di assaltare il posto di polizia, avendo già vandalizzato abitazioni, incendiato container e recato danni a linee elettriche. Poi, nell’assalto contro la polizia è avvenuto l’incidente mortale.
Bisognerebbe avere l’onestà intellettuale di riportare l’accaduto e non di inventarsi fatti senza prima verificarne la veridicità.
Caro Roberto, ma tu sapevi o no che Yoani Sánchez nell’intervista rilasciata al “Corriere” ha mentito? E tu, ne hai anche consigliato la lettura.
La blogger afferma che “i video sui social raccontano di diversi morti” e sul suo “14ymedio” pubblicava che erano addirittura 5 mila gli arresti, ma poi al “Corriere” dice che “non c’è un numero ufficiale” e che “gli attivisti delle proteste hanno diffuso un lista di 120 persone”.
Ma come, non erano 5 mila? E i video dei vari morti assassinati dalla polizia dove sono? Chi l’ha mai visti?
Forse Yoani Sánchez tra i morti mette anche la drammatica uccisione del bambino col volto insanguinato, la cui foto è stata fatta girare su tutti i social dicendo che era stato ucciso dalla polizia cubana mentre era un bambino venezuelano morto in uno scontro tra bande rivali.
L’ennesima fake tra le centinaia che abbiamo visto in questi giorni diffuse da tutti i grandi media.
Non voglio spostare l’argomento sul “doppiopesismo” di Saviano e della Sánchez, ma mi piacerebbe sapere almeno da lui perché non ha mai speso una sola parola sui massacri che sono avvenuti negli ultimi anni in Colombia e che tutt’ora continuano, e invece si strappa le vesti quando parla di Cuba andando a diffondere evidenti falsità.
In Colombia, solo nei primi sette mesi del 2021, ci sono stati 221 morti assassinati dalla polizia dell’Esmad nelle manifestazioni di piazza, senza contare le decine di violenze sessuali denunciate da giovani ragazze. In oltre dal decennio passato ad oggi sono stati accertati ben 6.402 civili assassinati dall’Esercito; vengono chiamati Falsi positivi [2], facendo credere all’opinione pubblica mondiale che erano guerriglieri delle Farc o di altre organizzazioni mentre erano giovani, “campesinos” o disoccupati.
Questi crimini li ha ammessi anche lo stesso ex Presidente colombiano, Juan Manuel Santos Calderón (Premio Nobel per la Pace), chiedendo perdono solo dopo che non si poteva più nascondere l’accaduto.
A me sembra che Saviano non ha consumato una sola goccia d’inchiostro per denunciare questi massacri. Almeno sulla testata “14ymedio” della Sánchez, anche se solo come cronaca, qualcosa è stato pubblicato.
Sulla Colombia, che è alleata strategica degli Usa in America Latina, si chiudono gli occhi, mentre su Cuba si sprecano fiumi di parole per un solo morto.
Complimenti, veramente complimenti.
Ma forse anche in questo caso Saviano è in buona fede perché è allo scuro di quei crimini, altrimenti penso che li avrebbe denunciati.
Certo, che se fosse così sarebbero un po’ troppe le cose su cui dovrebbe informarsi.
Per quanto riguarda Yoani Sánchez posso colmare io questa sua mancanza, e riportargli alcuni fatti che riguardano la blogger cubana, in modo che in futuro potrò togliermi qualsiasi dubbio se il suo sostenerla è parte di una sincera battaglia di principi e valori o è solo una posizione ideologica e di convenienza.
Per togliermi questo dubbio chiederò ancora a Saviano: Caro Roberto ma tu sapevi o no che Yoani Sànchez…
Roberto Saviano, Yoani Sánchez e le “anime sensibili” della sinistra contro Cuba
Roberto Cursi
11.08 Rendendomi conto della sentita vicinanza che Saviano dimostra ogni volta nei confronti di Yoani Sánchez, mi ero promesso di portargli a conoscenza alcuni fatti sulla fulminea carriera della blogger cubana; carriera che l’ha portata in giro per il mondo a divulgare il verbo contro Cuba.
Caro Roberto, ma tu sapevi o no che Yoani Sánchez nel 2002 decise di lasciare l’Isola con destinazione Svizzera, e nella sua permanenza in Europa incontrò Carlos Alberto Montaner?
Per sapere chi è costui puoi leggere «Kaosenlared: Yoani Sánchez, Negroponte y Montaner ¿Proyecto Blog? II» [1].
Montaner, esule cubano, le propose di rientrare a Cuba per portare avanti un grande progetto che le avrebbe cambiato la vita, portandola alla ribalta internazionale e guadagnando denaro come mai avrebbe potuto immaginare.
Così Yoani Sánchez rientrò nell’Isola nel 2004, e sui di lei si iniziò a creare una delle più grandi bolle mediatiche degli ultimi anni.
Con l’aiuto della multinazionale spagnola dell’informazione “Grupo Prisa”, della Sociedad Interamericana de Prensa “SIP”, delle potenti comunità anticastriste di Miami e dei suoi amici della CIA – con la quale Montaner ha avuto stretti rapporti per moltissimi anni – iniziarono a diffondere i suoi articoli in tutto il mondo pubblicati nel blog che allora le era stato creato, “Generación Y”.
Come scrisse già nel 2009 Yohandry Fontana, “le possibilità tecnologiche che l’accompagnavano puzzavano: 60 volte l’intera larghezza di banda di Cuba per tutti i suoi utenti Internet, traduzione in 18 lingue e un hosting con sede in Germania”.
Per non parlare dei suoi tweet che, tramite bot, venivano condivisi con milioni di persone.
Qualcuno mi dica come una giovane cubana appena rientrata nel suo Paese – sottosviluppato digitalmente – avrebbe potuto realizzare tutto questo.
Anche se si sapeva chi c’era dietro Yoani Sánchez, i grandi media internazionali iniziarono subito a diffondere la commovente favoletta della solitaria ragazza che dal suo appartamento de L’Avana, con solo un computer e una connessione scadente, scriveva articoli con la speranza di innescare una “Primavera cubana” contro la censura del “regime castrista” e la sua repressione poliziesca.
Ma che strana censura e repressione che c’è a Cuba se il cosiddetto regime le lascia fare tutto questo.
Su di lei ogni cosa era pianificata. In un battibaleno le fu organizzata una grande campagna mediatica con consegne di premi; riconoscimenti internazionali; contratti da migliaia di dollari; copertina del Time; visita al Congresso americano; inserita nella classifica delle 100 personalità più influenti al mondo; fino ad essere candidata al premio Nobel per la Pace.
Io capisco che leggendo gli articoli della Sánchez si può facilmente rimanerne colpiti dalle sue denunce, perché gli argomenti sono quelli “giusti” e facilmente colpiscono l’opinione pubblica.
È soprattutto il suo modo di scrivere che spesso entra nell’intimo di chi ha un minimo di sensibilità e coscienza civica, visto che è molto brava nel riuscire a creare la giusta empatia con il lettore (è laureata in Filologia), ma questo accade maggiormente a chi conosce poco o nulla Cuba.
Quando iniziai a leggere i suoi articoli anche io mi fermavo spesso a riflettere, finché cercai di capire meglio chi fosse veramente Yoani Sánchez e cosa la spingesse a pubblicare i suoi articoli di denuncia.
Le mie conclusioni le scrissi su un blog che anni fa frequentavo, dove tra l’altro la redazione la sosteneva pubblicando saltuariamente suoi articoli. Blog creato e gestito da persone con una storia inequivocabilmente di sinistra.
Non scrissi nulla di così sconvolgente che già non si trovasse in rete, ma alcune di quelle cose non erano a conoscenza della redazione di quel blog, che a quel punto vedeva messa in discussione l’onestà intellettuale di Yoani Sánchez.
Una volta pubblicato, quello che di contro ricevetti fu qualcosa di inaspettato, soprattutto da persone che sentivo vicine “intellettualmente”.
Furono diverse le accuse, ma basta citarne una:
«Roberto Cursi, l’autore del testo che insegue ossessivamente Yoani Sánchez nei blog di mezzo mondo per dimostrare cosa non l’ho ancora capito […]
Molti attacchi contro di lei, contenuti nella sua “inchiesta”, ma anche quelli di Gianni Minà, mi ricordano i metodi staliniani usati da Togliatti contro intellettuali come Vittorini e Calvino, ancor peggio contro Gramsci, che non volevano sottostare alla tirannia del Pci appiattito completamente sulle veline del Pcus staliniano».
Ho voluto riportare questo fatto solo per far capire il momento in cui mi sono reso conto che, dagli Stati Uniti, erano riusciti a creare un personaggio – Yoani Sánchez – che prima di tutto doveva entrare nel cuore delle “anime sensibili” della sinistra, e soprattutto di quella europea (nel continente americano non si sono fatti scrupoli a far sedere la blogger accanto alle destre più becere).
Era invece la sinistra dei “salotti”, la sinistra “intellettuale”, la sinistra della “cultura televisiva” e dei grandi giornali che Yoani Sánchez doveva conquistare.
Dagli Usa sapevano molto bene che l’egemonia culturale europea veniva da quell’aria, e che i media ne erano molto influenzati.
Il compito della Sánchez, con quella sua immagine portatrice di valori umanitari e in difesa delle libertà di espressione, era perfetta per far presa sulle loro coscienze.
Il fine era riuscire a tagliare loro l’ultimo pezzetto di cordone ombelicale che li legava ancora a Cuba, per quello che in passato la Rivoluzione aveva rappresentato. Sperando poi che nessun giornalista nei grandi media, nessun intellettuale, nessun partito europeo di area progressista si indignasse per un eventuale intervento umanitario-militare a Cuba in “difesa” del popolo oppresso dal regime.
Spero che Saviano si renda conto che il ruolo assegnato anni fa a Yoani Sánchez era stato scientemente studiato, e quel ruolo, negli anni, ha contribuito a creare l’aggressione che Cuba sta subendo in questi ultimi tempi.
A fine 2013 ho avuto un paio di scambi telefonici con Gordiano Lupi e ci siamo scritti anche qualche e-mail. Lui è ormai ex amico, ex collaboratore ed ex traduttore di Yoani Sánchez.
Se mai ce ne fosse stato bisogno, in quell’occasione ho avuto la certezza di quello che avevo già capito sulla blogger cubana.
Non sto qui a riportare le sue parole che in confidenza mi aveva riferito ma rimando alla lettura di un suo articolo che le racchiude tutte [2].
Immagino che a Saviano – ma non solo – tutto quello che fin qui ho scritto forse non gli farà cambiare opinione nel sostenere la battaglia di Yoani Sánchez perché, a prescindere da chi le sta dietro, i valori fondamentali che riguardano giustizia, libertà di espressione, diritti umani e accettazione delle diversità sono predominanti nelle denunce della blogger cubana, e quelli, senz’altro, sono valori che chiunque dovrebbe sentire suoi e far valere in qualsiasi latitudine del mondo, sempre quando quelle denunce corrispondano al vero.
Ma forse ci sono altre cose che Saviano non conosce; scelte chiare e nette della Sánchez, dichiarazioni pubbliche di cui in Italia non si è mai parlato, anche se da anni si trovano sul web.
Fatti abbastanza inquietanti per una come Yoani Sánchez che si erge a difensora dei diritti umani e della libertà di espressione quando si parla di Cuba, e che Saviano, ne sono convinto, condannerebbe “senza se e senza ma” se ne venisse a conoscenza.
E allora continuo a chiedergli: Caro Roberto, ma tu sapevi o no che Yoani Sánchez…
[1] Chi è Carlos Alberto Montaner:
https://kaosenlared.net/yoani-s-nchez-negroponte-y-montaner-proyecto-blog-ii/
[2] Le disillusioni sulla Sánchez di Gordiano Lupi:
http://www.tellusfolio.it/index.php?prec=&cmd=v&lev=65&id=17330
Cuba, Saviano sostiene la Sanchez, ma lei sta col “genocida” Bolsonaro
di Roberto Cursi
Ci sono vari articoli e collaborazioni pubbliche di Yoani Sánchez che sono così incoerenti, imbarazzanti e in forte contraddizione con le sue denunce sulla repressione poliziesca che ci sarebbe a Cuba che non riesco a capire come Saviano non se ne renda conto. Forse perché, anche di queste, non ne sarà a conoscenza.
Può darsi che lui non sappia che Yoani Sánchez usa le sue migliori qualità intellettuali e divulgative non solo per screditare il Potere politico cubano – fin qui niente da ridire – ma le usa anche per metterle a servizio di personaggi impresentabili legati alle destre neoliberiste e perfino ‘fasciste’.
Purtroppo Yoani Sánchez è fortemente condizionata dalla Sip, dal Grupo Prisa, dalla Usaid, dal Ned…, la lista sarebbe troppo lunga per continuare.
La Sip è una organizzazione ‘interamericana’ i cui soci sono editori, proprietari di 1.300 testate con 43 milioni di copie solo su carta. La sua sede è a Miami, negli Usa.
Nel 2012 la Sip ha assunto Sánchez come Vicepresidente regionale per Cuba con il compito di monitorare la libertà di stampa nel suo Paese.
Il ‘Grupo Prisa’ è invece una potente multinazionale dell’informazione che controlla la maggioranza dei media iberici e latinoamericani, tra cui le principali ‘testate’ promotrici delle campagne diffamanti che hanno dato il via alla destituzione illegittima di vari presidenti socialisti in America Latina tramite i cosiddetti ‘Golpes blandos’.
Non è un caso che Yoani Sánchez sostenga tutte le candidature delle destre alle elezioni di quel continente, a prescindere dalla rispettabilità e dignità morale di chi si candita a governare il Paese.
Ne è un esempio il convinto sostegno dato a Mauricio Macri, ex presidente argentino, che ha visto crescere le proprie ricchezze durante la dittatura militare.
Persona famosa per la sua inconsistente capacità politica e, si dice, corrotto fino al midollo; asservito al Fondo Monetario Internazionale e alle grandi Corporazioni americane, privatizzando tutto quello che poteva.
L’attuale Presidente Fernández ha detto che con Macri l’Argentina si è di nuovo genuflessa al FMI portando il debito pubblico, in percentuale al PIL, dal 52% fino al 90%, e in un solo anno è riuscito a indebitare il Paese per circa sessanta miliardi di dollari.
In questi giorni si è aggiunto lo scandalo dell’invio di armi dall’Argentina alla Bolivia durante il ‘golpe blando’ del 2019 contro il presidente socialista Evo Morales. L’invio di armi è avvenuto sotto la presidenza di Mauricio Macri.
Caro Roberto, ma tu sapevi o no che Yoani Sánchez, oltre a Macri, ha dato il suo sostegno alla campagna elettorale di Jair Bolsonaro?
Uomo che a suo tempo fu a fianco della dittatura militare che governò il Brasile, se nonché intimo amico dei paramilitari che insieme all’esercito torturarono e assassinarono centinaia di oppositori politici e ‘indios’ dell’Amazzonia. Di molti di loro non sono mai stati ritrovati i corpi.
Bolsonaro è una persona che pubblicamente si è dichiarato a favore della tortura. A una ragazza disse che non l’avrebbe stuprata solo perché non ne valeva la pena, visto che nemmeno era carina.
Tralascio le sue dichiarazioni sugli omosessuali e sulle persone di colore.
Nel 2013, in una conferenza organizzata in Brasile per screditare il socialismo latinoamericano, Yoani Sánchez non ha avuto nessuna vergogna a invitarlo al suo stesso tavolo per farlo inveire contro Fidel Castro, Inácio Lula da Silva e Dilma Rousseff.
Per chi ne fosse incredulo può vedere il video che lo stesso Bolsonaro ha pubblicato sul suo canale youtube [1].
Nel 2018 la blogger pubblica su “14ymedio” un articolo scritto dal suo mentore Carlos Alberto Montaner, dal titolo «Bolsonaro y Cuba».
L’articolo è una surreale apologia al ‘fascista’ Jair Bolsonaro.
Nella prima parte si afferma che l’ex militare ha partecipato a manifestazioni fortemente razziste; che ha continuamente rivendicato la sua misoginia; che ha dichiarato “è meglio avere un figlio morto che omosessuale”, e che, … udite, udite “l’errore della dittatura è stato quello di torturare i suoi avversari politici invece di ammazzarli tutti”.
Tra queste atrocità ne aggiungo un’altra io, ed è quando i familiari delle vittime della dittatura militare rivendicavano i resti dei loro cari per fargli una degna sepoltura.
In risposta alle loro richieste Bolsonaro attaccò alla porta del suo ufficio un cartello con su scritto: “quelli che vanno in cerca di ossa sono i cani”.
L’articolo che la Sánchez ha pubblicato sul suo “14ymedio” si chiude dicendo che malgrado queste sue “ambiguità” bisogna comunque stare dalla parte del ‘fascista’ Bolsonaro, altrimenti c’è il rischio che in Brasile vinca la sinistra.
Finisco dicendo che questo 9 agosto, presso il Tribunale penale internazionale de L’Aia, rappresentanti delle popolazioni indigene brasiliane e associazioni in difesa dei diritti umani hanno denunciato Jair Bolsonaro per ‘genocidio e crimini contro l’umanità’.
Hanno presentato un dossier dve si dimostrerebbe che il Presidente brasiliano, insieme al suo governo, abbia agito per “sterminare in tutto o in parte” gruppi indigeni, in modo che il Brasile diventi un Paese “senza popolazioni originarie” [2].
Questo è il Bolsonaro che Sánchez ha sostenuto, e questa è la Sánchez che Saviano sostiene.
Dopo aver appoggiato un razzista, xenofobo, omofobo, difensore della tortura, colluso con i paramilitari e amico di assassini, Yoani Sánchez ha avuto la faccia tosta di pubblicare un tweet dove scrive che il Presidente cubano Miguel Diaz-Canel “è simile a un fascista”.
E sapete perché lo scrive? Perché dopo aver visto il film “Inocencia” sulla Cuba di fine XIX secolo, dove otto studenti universitari furono fucilati dall’autorità coloniale spagnola, Diaz-Canel commenta con un tweet e dice:
«Non dimentichiamo mai che, così come ci sono tanti eroi, a Cuba non manca chi ci è nato per errore, che può essere peggio del nemico che lo attacca.»
Solo aver detto che “a Cuba non manca chi ci è nato per errore” per Yoani Sánchez è qualcosa di “intollerabile, illegale ed è la cosa che più si avvicina al fascismo”, aggiungendo che Diaz-Canel dovrebbe pubblicamente scusarsi per aver pronunciato quella frase.
Non ho bisogno di aggiungere commenti per far capire il livello della sua onestà intelletuale e, di conseguenza, della sua credibilità.
Ma la Sánchez non manca di indignarsi anche quando, con prove alla mano, qualcuno viene messo sotto sorveglianza dalla polizia cubana perché riceve finanziamenti dalla CIA o da altre organizzazioni per sovvertire il sistema politico e istituzionale del proprio Paese.
In uno di questi casi la Sánchez ha pubblicato una registrazione fatta di nascosto da un ragazzo mentre si trovava chiuso in una stanza con due ufficiali della polizia ‘politica’ (così la chiama la blogger cubana) perché accusato di frequentazioni ‘sospette’.
Per Yoani Sánchez il contenuto di quest’audio svela “il volto grottesco e crudele” della polizia ed è prezioso perché rappresenta la “testimonianza e la radiografia di un’intera epoca” tanto che lei dice di “non riuscire a placare una forte indignazione” dopo averlo ascoltato.
Se, come lei afferma, questo audio è la “testimonianza e la radiografia di un’intera epoca”, allora il suo contenuto dovrà svelare l’efferata e crudele violenza che la polizia cubana metterebbe in atto nei confronti di chi non è ‘allineato’ al sistema.
Per questo mi sento in dovere nei confronti di Saviano, e anche di tutte le “anime sensibili” della ‘sinistra’, di portare a conoscenza il contenuto della registrazione in modo che anche loro possano poi denunciare la stessa “indignazione” gridata ad alta voce da Yoani Sánchez.
Oltre a pubblicare l’audio in spagnolo tradurrò, trascrivendolo integralmente, tutto il suo contenuto per far sì che chiunque possa comprendere bene quello che i due agenti della polizia ‘politica’ hanno inflitto al mal capitato ragazzo.
Il tutto sarà pubblicato nel prossimo articolo con il quale chiuderò questa lunga serie, dove mi sono permesso di portare a conoscenza alcune cose su Yoani Sánchez che forse Saviano ancora non conosceva.
continua…
[1] “Yoani Sánchez e Bolsonaro mostram a verdade de Cuba”
https://www.youtube.com/watch?v=ejviJ_PKM5c
[2] Bolsonaro denunciato a L’Aia per ‘genocidio e crimini contro l’umanità’
Cuba, un audio dal «valore inestimabile sulla polizia politica cubana, crudele e repressiva», così scrive Yoani Sanchez
Roberto Cursi
Penso che scorrendo con il mouse sul pc o con il dito sullo smartphone in molti rinunceranno a leggere questo articolo vedendolo esageratamente lungo. Non è così. Quello che lo fa sembrare tale è la traduzione in italiano di una registrazione fatta di nascosto dal fotografo Javier Caso, chiuso in una stanza con due funzionari della polizia cubana. Chi vuole può saltare il lungo testo della traduzione andando direttamente al contenuto dell’audio-video pubblicato nell’articolo.
Dopo aver già scritto quattro articoli per far “conoscere” a Roberto Saviano alcuni aspetti di Yoani Sánchez, blogger e attivista cubana, in questo – che sarà l’ultimo – parlerò di un audio che dovrebbe svelarci la crudeltà, i crimini e la repressione che la polizia mette in atto contro chi dissente dal sistema socialista del Paese; così scrive Yoani Sánchez.
Venuta a conoscenza di una registrazione fatta di nascosto da Javier Caso, fotografo cubano di 34 anni, convocato in un ufficio da due funzionari di polizia per rendere conto di sue sospette frequentazioni, la Sánchez scrive un articolo di denuncia sulla sua testata «14ymedio» dal titolo “L’arroganza della polizia politica cubana”.
L’articolo si apre con queste sue parole, di cui quelle in ‘grassetto‘ sono di mia mano:
«Nell’ultimo decennio sono state diverse le registrazioni di interrogatori della Polizia che gli attivisti cubani sono riusciti a fare e a rendere pubbliche.
In molte di queste si sentono funzionari della Sicurezza di Stato intimidire, minacciare e comportarsi come proprietari e signori dell’intero paese, al disopra delle leggi, della vita umana e dei diritti dei cittadini. Ma l’audio ottenuto dal fotografo Javier Caso durante un colloquio con la polizia politica ha un valore inestimabile come testimonianza e come radiografia di un’intera epoca.»
Il giovane cubano si è trasferito da tempo negli Usa ma viaggia molto spesso tra gli Stati Uniti e L’Avana.
I funzionari di polizia volevano sapere da lui il perché di sue frequenti visite a una coppia di amici che lavorano nel campo dell’arte come ‘artisti indipendenti’.
Secondo loro la coppia riceve illegalmente finanziamenti dalla CIA per produrre opere dal contenuto propagandistico anticostituzionale.
Essendo gli amici di Javier Caso ‘artisti indipendenti’, lui stesso fotografo, e Cuba uno Stato socialista, la cui Costituzione è diversa da quella dei Paesi ‘liberali’, è necessario che io faccia un accenno alle norme che regolano il rapporto tra gli artisti e le Istituzioni cubane, in modo che poi si possano comprendere meglio alcuni passaggi che si trovano nell’audio.
Nell’Isola per essere riconosciuto come artista si deve fare un percorso di studi specifici e certificati dal Ministero, poi iscriversi a una organizzazione pubblica che rappresenta la categoria.
Chi produce arte senza aver fatto il percorso di studi o, pur avendolo fatto, non si iscrive a una organizzazione, si autodefinisce ‘artista indipendente’.
La ‘UNEAC’ è l’organizzazione che rappresenta artisti e scrittori; nel suo statuto alcuni articoli fanno riferimento alla Costituzione, dicendo:
«Gli obiettivi e le finalità dell’Uneac sono sostenuti nei principi della politica culturale della Rivoluzione Cubana» oppure «Rifiutare e combattere ogni attività contraria ai principi della Rivoluzione».
Questa adesione ai principi socialisti della Costituzione spinge alcuni a rimanere fuori dal circuito istituzionale. Chi fa questa scelta si dichiara ‘artista indipendente’, consapevole che poi, l’Uneac, non potrà promuovere o finanziare i suoi lavori.
Spiegato ciò ritorno all’audio di Javier Caso che, secondo la Sánchez, più di altre registrazioni metterebbe con le spalle al muro il governo cubano svelando i metodi crudeli e repressivi della polizia verso chi dissente dal ‘Sistema’. Tanto è che nel suo articolo rincara le accuse definendo i due poliziotti come gli esecutori di un potere «dal volto grottesco e crudele, e figli di una istituzione repressiva», così tanto repressiva che «questa testimonianza provoca un’indignazione che non si placa facilmente».
Nel precedente articolo di questa ‘serie’ “Saviano-Sánchez” ho ricordato il convinto sostegno della blogger cubana alla candidatura a presidente del Brasile di Jair Bolsonaro, senza aver fatto trasparire un minimo di indignazione per colui che ha dichiarato: «L’errore della dittatura [brasiliana] è stato quello di torturare i suoi avversari politici invece di ammazzarli tutti».
Questo è lo stesso Bolsonaro che il passato 9 agosto, presso il Tribunale internazionale de L’Aia, è stato denunciato per “genocidio e crimini contro l’umanità” dalle popolazioni indigene del suo Paese.
Se Yoani Sánchez non ha ritenuto gravissime le torture e gli omicidi eseguiti dall’esercito brasiliano, allora mi domando: quali orribili crudeltà abbia mai subito il povero Javier Caso per indurla a scrivere che la Polizia cubana va “al disopra della vita umana”?
A questo punto – con molto timore di ascoltare l’inascoltabile – faccio partire l’audio (nel quale i protagonisti passano con frequenza dal “Tu” al “Lei”) e inizio a trascriverne integralmente la traduzione in italiano.
9 gennaio 2020, L’Avana, Cuba.
Poliziotti (PP) – Javier Caso (JC)
PP: Buongiorno, siediti.
JC: Buongiorno.
Quale è il motivo per cui sono qui, signore?
PP: Signore no, Funzionario.
PP: Il motivo è perché le autorità di immigrazione possono convocare i cubani residenti all’estero.
JC: Ma quale è il motivo?
PP: Adesso glielo dico. Intanto quale è la sua professione?
JC: Fotografo.
PP: Che relazioni intrattiene qui a Cuba per motivi di lavoro?
JC: Nessuna, io qui non sto lavorando.
PP: Nessuna? Non sta lavorando? E nemmeno si riunisce con amici o altre persone?
JC: Certo che si.
PP: E con chi?
JC: Con i miei amici.
PP: Che amici ha?
JC: Ma volete che vi dica i nomi di tutti i miei amici?
PP: Almeno alcuni, quelli che frequenta di più.
JC: Io credo che voi dovete andare dritti al punto di quello che volete sapere.
PP: Sono io quello che fa le domande, e io sono quello che rappresenta l’autorità. Mi capisce? Non mi faccia diventare complicato questo colloquio.
A parte questo, l’ho fatta venire qui con buone intenzioni. Le sto chiedendo con quale amici…
JC: È che le domande sono molto ambigue, non vanno al punto. Lei vuole sapere chi frequento? Vuole sapere di Miguel e Mailyn [Lynn], per esempio?
PP: Esatto.
JC: E allora perché non me lo chiede direttamente? È più semplice, no?
PP: Quante volte si è visto con Lynn in questa settimana?
JC: Abbastanza.
PP: E che rapporti di lavoro ha con lei?
JC: Nessuno, siamo solo amici.
PP: Siete amici. È da tanto tempo che lo siete? Anche con Miguel?
JC: Si, da tanto, e anche con Miguel.
PP: Che tipo di lavoro fotografico fa Lei?
JC: Io faccio fotografia artistica.
PP: Lei ha qui la licenza da fotografo?
JC: No, io non lavoro qui a Cuba come fotografo.
PP: Quindi qui non è fotografo.
JC: Si, io sono fotografo, ma non vivo a Cuba, E se non vivo a Cuba come posso avere qui una licenza da fotografo?
PP: Nel tuo profilo Facebook condividi molte cose che ha fatto Lynn Cruz. Tu sai che è un profilo pubblico, no? La rete è pubblica.
JC: Si, però quale è il problema, non capisco.
PP: Il problema è che Lynn è una persona che sta sotto la nostra attenzione.
JC: E voi chi siete?
PP: La polizia, per questo l’abbiamo chiamata qui. Ma vedo che il suo atteggiamento non è proprio tra i più collaborativi.
JC: È che voi non siete diretti, sarebbe meglio rendere la cosa più facile.
PP: Bene, allora ti faccio la domanda.
JC: E si, così è più facile.
PP: Queste persone con cui Lei ha rapporti non sono persone che hanno un atteggiamento favorevole verso la Rivoluzione, e se Lei ha stretti rapporti con loro potrebbe essere coinvolto in un reato.
JC: Io non so quale potrebbe essere il reato. Quale è il reato, me lo può dire?
PP: Diffondere alcune loro opere [in rete].
Loro ricevono finanziamenti [dagli Usa]. Questo tu dovresti saperlo.
Il nostro intento è quello di avvertirti.
Ma non vogliamo recarti danno, no, niente di questo.
A volte ci è capitato che persone che hanno un rapporto di amicizia non necessariamente sanno quello che fanno i loro amici.
Se tu vieni continuamente a Cuba, e ogni volta vai a trovare Lynn, potrebbe anche essere che tu sia un tramite per portarle quei finanziamenti, e questo a noi preoccupa.
JC: Non è così. Ti stai equivocando fratello.
PP: Fratello no, Funzionario.
JC: Funzionario… Fratello no, stai sicuro.
PP: Questo era quello che volevamo sapere
JC: Confermo, non è così. Ma so quello che loro fanno perché sono miei amici.
PP: Io non intendevo che volevo sapere questo.
JC: E allora cosa è quello che vuoi sapere.
PP: Il mio intento è avvertirti.
JC: Avvertirmi di cosa?
PP: Tu hai postato “NO AL 349” [Decreto del 2018 con nuove norme nel campo dell’arte, poi modificato su richiesta di vari artisti. n.d.t.]
JC: Certamente, perché non sono d’accordo con il ‘349’.
PP: Va bene, questa è la tua opinione, e noi la rispettiamo.
JC: Ok. E allora quale è il problema?
PP: Nessun problema, ma sappi che se continui a frequentare Lynn Cruz, se partecipi alle attività di Lynn Cruz, poi anche tu sarai oggetto del nostro controllo.
Non so se sai che la Polizia cubana è tra le cinque migliori al mondo e, se tu continui a frequentarla, noi ci vedremmo obbligati a indagare un po’ più a fondo anche su di te.
JC: E chi lo dice questo?
PP: Ma… non lo so.
JC: Però non capisco, quale è la questione?
PP: Il punto è avvisarti.
Il giorno 5 ti sei riunito con Lynn Cruz e Miguel Cuyola?
JC: Certo, mi sono riunito almeno cinque volte con loro.
PP: E non penso proprio per questioni di lavoro.
JC: Certamente no.
PP: Allora non dobbiamo fare nessun tipo di controllo in aeroporto nei tuoi confronti.
JC: Fate quello che volete, io non ho nulla da nascondere. Potete controllarmi anche la borsa; qui o in aeroporto a me non interessa.
PP: No no, adesso no; non è nostra intenzione.
Solo che ci è sembrato che tu sapessi già quello che ti volevamo chiedere, nominando tu stesso a Lynn e dicendo di sapere quello che loro fanno.
JC: Certo, perché anche a loro è successo quello che sta accadendo qui a me. Per questo già sapevo quello che volevate.
PP: Un motivo ci sarà. Tu sai che lei ha fatto un documentario che parla molto male di Fidel Castro e qui non si permette questo [documentario prodotto da lei e Miguel Coyula]. Questo è un messaggio per Lei, Lynn e suo marito.
JC: Voi sapete che questo documentario lo ha già visto mezzo mondo. No?
PP: Non importa che l’abbia visto mezzo mondo, non è un documentario “ufficiale”. E poi che avete ottenuto con questo? Nulla!
JC: Che avete ottenuto voi a proibirlo? Niente!
PP: No, no, noi non l’abbiamo proibito. Il fatto è che non appartiene a nessuna istituzione.
JC: E certo, a che istituzione potrebbe appartenere?
PP: A quelle che ci sono.
JC: All’unica che c’è [l’Uneac].
PP: E non ce ne saranno altre. Credimi, non ce ne saranno altre.
E questo [tuo atteggiamento] si considera mancanza di rispetto all’autorità.
JC: Io non le sto mancando di rispetto
PP: Come no!
Certo, tu puoi pensare di no, ma mi vieni a dire che sai bene cosa fanno Lynn e Miguel Coyula…
JC: “Compadre” [termine cubano molto usato per rivolgersi in modo amichevole all’interlocutore] sono miei amici da un sacco di anni. Che vuoi pensare? È normale che io sappia di loro.
PP: Questo io non lo so. Però so che di loro condividi molte cose su Facebook.
Tu puoi essere loro amico e essere d’accordo con le loro posizioni e il loro pensiero. Il fatto è che condividi [in rete] anche molti documentari, molte pubblicazioni e molte iniziative illecite che loro fanno qui.
La Costituzione che c’è qui a Cuba – puoi esserne d’accordo o no, può non piacere a te o ad altri, e magari a una ristretta minoranza delle persone non gli è piaciuto neanche il procedimento – è però quella che si è approvata in questo Paese. E questo vuol dire che le leggi oggi vigenti sono state approvate dalla maggioranza della popolazione.
Se tu pensi siano migliori le leggi di altri Paesi allora stai in altri Paesi. Qui [per gli artisti] c’è una sola istituzione, se tu sei fotografo e non ne sei iscritto, per noi non risulta che sei fotografo.
JC: Ma senti un po’, voi mi state considerando come un immigrato, no?
PP: No, no. Ti stiamo considerando come un cubano, io so che adesso stai qui.
JC: Si, però per quello che vi conviene mi trattate come un cubano, altrimenti se non vi conviene, no.
Io ora vivo negli Stati Uniti, e io qui non devo avere una licenza da fotografo per fare fotografia.
Ho vissuto tantissimi anni a Cuba e ogni volta che vengo mi porto la mia macchina fotografica; ho sempre fatto foto, e non mi è stato mai detto nulla. Allora adesso quale è il problema?
PP: No, ascoltami. Il problema è molto semplice, stai confondendo le cose. Tu puoi fare foto, come ci sono migliaia di cubani che lo fanno col cellulare, ma quello che non puoi fare è fotografare le ‘produzioni’ di Lynn e Miguel Coyula Aquino. Non puoi vincolarti a loro, perché loro non sono ne artisti, ne fotografi, nulla di questo.
JC: Io penso che loro siano artisti, però certo…
PP: Certo, loro si fanno chiamare così, loro si autodefiniscono artisti indipendenti, ma questo qui non è legale.
JC: Ah, artista indipendente è illegale?
PP: Certo.
JC: Va bene, adesso non mi metto a discutere di questo…
PP: Se tu vuoi possiamo discuterlo, la legge è ben chiara. Loro non sono iscritti a nessuna istituzione.
JC: “Compadre”, per essere artista non serve essere iscritto da nessuna parte.
PP: Questo lo dici tu.
JC: Certo che lo dico io, così come tu hai detto che bisogna esserne iscritto.
PP: No, non lo dico io, questo lo dice la legge.
JC: Va bene… immagino.
PP: Allora cambia la legge. Vai e sali [come Fidel Castro] sulla Sierra Maestra con un fucile.
JC: Però questo è sarcasmo.
PP: Certo, ma è da quando sei arrivato che tu stai facendo del sarcasmo. E io te lo sto tollerando.
JC: “Compadre”, ma siete voi che da quando siete entrati state girando intorno al problema.
PP: Te lo sto tollerando per non farti una multa, o per non farti posticipare il ritorno [negli Usa]; per non farti perdere il volo aereo; te lo sto tollerando per non farti perdere i soldi del biglietto. Io avrei l’autorità per farlo, perché rappresento la legge.
JC: Voi potete fare quello che volete. Io sto tranquillo, lo sai?
PP: Ascoltami, non dirmi più “potete fare quello che volete”, perché allora compio quello che la legge dice e poi chi ne viene pregiudicato sei tu.
JC: Ok.
PP: Io non sono un Tenente Colonnello, però considero i tuoi modi una mancanza di rispetto, sia nei confronti della mia autorità che come uomo. Perché mentre mi stai parlando mi ridi pure in faccia.
JC: Il problema è che oggi io me ne sarei potuto stare comodamente a casa mia, invece…
PP: Bene, se tu restavi a casa noi dovevamo venirti a prendere con una macchina della polizia.
JC: Va be’, però quello che succede è che sarebbe più…
PP: Ma per caso tu sei stato detenuto, messo in prigione?
JC: No, io no.
PP: E allora non parlare di cose che non conosci.
JC: Va bene, No, io non conosco realmente…
PP: Allora non dire “va bene”, perché se ti metti in qualcosa di illegale potresti anche finire in prigione.
Io sono uno che non perde tempo. Per me sarebbe stato più semplice venirti a prendere con una macchina della polizia. A me piace anche quello ‘spettacolo’, tutto quello show; avrei voluto vederti. Poi la tua immagine non ne sarebbe uscita tanto bene, e anche quella dei tuoi genitori.
JC: A me tutto questo non mi preoccupa.
PP: Questo non ti preoccupa? Bene, allora la prossima volta lo teniamo in considerazione.
Quindi stai attento a non portare dei soldi [finanziamenti] a Lynn .
JC: No amico, no.
PP: Adesso sono diretto, no? Non mi avevi detto che prima giravo intorno al problema?
JC: Certo, dimmelo chiaro e tondo.
PP: Questo è un avvertimento. Qui sei a Cuba fratello.
JC: Si, certo.
PP: No, perché a me sembra che stai ancora in volo sull’aereo. Tu hai una sorella famosa [una attrice], vero?
JC: Voi sapete bene chi è mia sorella, quindi non mi parlate di lei, perché io non voglio parlare di lei. Io sto qui per me, non per lei.
PP: Si, va bene, certamente.
JC: Quindi non farmi domande su di lei.
PP: Noi siamo molto riconoscenti nei suoi confronti, è veramente una brava attrice, ma questo non ti salvaguarda se poi fai qualcosa di illegale.
E lavorare insieme a Lynn Cruz, promuovere opere di Lynn Cruz, non è consentito.
Ascolta, sembra che noi ci stiamo aprendo. Se si rende conto Cuba non è più la stessa di qualche anno fa, ci stiamo aprendo al mondo. Può darsi che domani passa una legge che consente di creare l’istituzione ‘Artisti Indipendenti’, ma fino ad ora non è stata approvata.
E noi non permetteremo che entri [a Cuba] nessun denaro che venga dalla CIA, nemmeno un centesimo. Anche questo è un avvertimento che ti facciamo.
Noi questo lo affrontiamo allo stesso modo che affrontiamo i reati di droga.
JC: Che significa questo, che io non mi posso riunire con Lynn Cruz?
PP: Si che puoi riunirti, come no.
Però ti dico anche: tu continua a postare e fare promozione a una persona che qui non è riconosciuta come artista, anche se questo negli Stati Uniti e in altri Paesi è legale, e non so se…
JC: Perché, è illegale se io faccio questo fuori da Cuba?
PP: Bene…
JC: È incredibile…
PP: Però tu sei cubano, no?
JC: Io sono cubano, però quando posto qualcosa in rete sto negli Stati Uniti, vivo lì. Lo sto facendo dagli Stati Uniti.
PP: È un avvertimento il nostro. Lei ha 34 anni, faccia quello che vuole.
Io sto cercando di dare un consiglio a un fratello minore da parte di un fratello maggiore; consiglio che io penso sia valido.
JC: No, tu mi avevi detto che non eravamo ‘fratelli’, perché sei un Funzionario.
PP: No, in questo caso no. Tu prendilo come un consiglio.
JC: Va bene. Allora?
PP: Ora può anche andare.
JC: Mi potresti dire il tuo nome per sapere con chi ho parlato?
PP: Alberto, Alberto Fonseca.
JC: Alberto Fonseca. E Lei signore chi è?
PP: Angel, Angel Rodriguez.
JC: Angel Rodriguez.
PP: Si. Perché, i nomi li vai a postare su Facebook?
JC: No, è solo per sapere con chi cavolo ho parlato, perché voi non vi eravate identificati, però sapevate tutto di me. E questo mi sembra una mancanza di rispetto.
PP: No no, questo non è un abuso, la legge ce lo permette.
JC: Si, certo. Allora… abbiamo già finito?
PP: No, se vuole possiamo continuare a conversare, oppure invitarla a prendere un caffè, o una bibita.
JC: No no, grazie.
PP: Allora va bene così.
Con queste parole si conclude la registrazione.
Segue l’audio-video editato e pubblicato dai due artisti ‘indipendenti’, amici del fotografo cubano, dove si può ascoltare bene il ‘tono’ usato sia da Javier Caso nei confronti dei funzionari di polizia – rappresentati da orribili volti – che quello dei due poliziotti nei confronti del fotografo.
È veramente una strana censura quella che c’è a Cuba se le Forze di polizia lasciano tranquillamente pubblicare articoli che li accusano di crimini e repressione, nei quali si mostrano video il cui contenuto è registrato di nascosto proprio in un loro ufficio durante un “interrogatorio”.
Non dimentichiamoci che chi ha scritto l’articolo è Yoani Sánchez – colei che più di altri grida alla censura – e lo fa sul suo «14ymedio» dove tutti possono leggere tranquillamente gli articoli pubblicati.
Comunque lo stupore più grande è sul contenuto dell’audio, che doveva mostrare i poliziotti cubani come gli esecutori di un potere “crudele e repressivo […] al disopra della vita umana”. E pensare che – di tutte le registrazioni – questa secondo la Sánchez doveva essere “la rappresentazione di un’intera epoca”, quella della Rivoluzione.
Non so quali parole aggiungere per commentare quello che pensavo fosse un documento eccezionale che avrebbe inchiodato una volta per tutte il Potere politico cubano alle sue “responsabilità”.
L’unica cosa che mi rimane di fare è scusarmi con quei lettori che hanno avuto la pazienza di leggersi tutta la traduzione per trovare chi sa quali orribili violenze e torture, e invece… nulla.
Però prima di concludere l’articolo voglio spendere due parole sui finanziamenti che, secondo la Polizia, la CIA faceva arrivare alla coppia di artisti ‘indipendenti’ per produrre opere funzionali alla propaganda contro il sistema costituzionale cubano.
Forse per alcuni non sembra poi così grave ricevere quei soldi dall’estero. Invece lo è, tanto che in altri Paesi la cosa viene presa molto più sul serio di come la prendono a Cuba.
Per esempio – solo citando l’Italia – leggiamo l’art. 246 del Codice penale, Corruzione del cittadino da parte dello straniero:
«Il cittadino che, anche indirettamente, riceve o si fa promettere dallo straniero, per sé o per altri, denaro o qualsiasi utilità, o soltanto ne accetta la promessa, al fine di compiere atti contrari agli interessi nazionali, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con la reclusione da tre a dieci anni. […] La pena è aumentata: se il denaro o l’utilità sono dati o promessi per una propaganda col mezzo della stampa.»
Yoani Sánchez è quella che nell’ultimo decennio è stata la più accanita oppositrice di Cuba, ricevendo finanziamenti esteri per fare propaganda contro i valori costituzionali del proprio Stato, e alla quale i media internazionali le hanno fatto da megafono.
Quali gravi conseguenze ha subito questa donna dal governo del suo Paese?
Ricordato ciò, traete voi le conclusioni ogniqualvolta sentite i media internazionali denunciare violazioni di diritti umani nell’Isola in base alle testimonianze degli ‘attivisti’ cubani.
Invece alle “anime sensibili” della ‘sinistra’ italiana lascio valutare l’onestà intellettuale di Yoani Sánchez.
Mentre loro la valutano io concludo questo articolo riportando sommariamente alcuni numeri per quanto riguarda gli Stati Uniti, e alcuni nomi per quanto riguarda l’Italia. Sperando che questi aiutino a valutare con più obiettività le reiterate denunce che ascoltiamo unicamente verso i soliti Paesi non ‘allineati’.
In un articolo del «Il Sole 24 Ore» del 2020[1] si legge che negli Stati Uniti il totale degli omicidi che si registrano ogni anno è di circa 15.000 e, nei sette anni precedenti, dal 2013 al 2019, la polizia ha ucciso 7.663 persone, una media di quasi 100 al mese. Numeri da Paese in guerra[2].
Per l’Italia citerò solo i nomi dei casi più conosciuti degli ultimi 20 anni. Avrei dovuto iniziare dal 1959 – Trionfo della Rivoluzione cubana – per confrontare gli omicidi commessi dalle rispettive Forze di polizia, ma la lista italiana sarebbe stata troppo lunga. Tra i tanti resteranno esclusi anche i nomi delle persone uccise dalle ‘Stragi di Stato’, che sono circa 145.
Ricordo i due principali episodi che aprono e chiudono quest’ultimo ventennio.
Il primo è la “Macelleria messicana” al G8 di Genova, luglio 2001[3]. In quei drammatici giorni, con un colpo di pistola, uccisero Carlo Giuliani, 23 anni.
L’ultimo episodio sono le violenze subite dai detenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, aprile 2021[4]. In questa occasione, dopo le violenze e un mese di isolamento, è morto Hakimi Lamine, 27 anni.
Sono molte le persone decedute in circostanze in cui erano coinvolte le Forze dell’ordine. Ombre e depistaggi impediscono ancora di fare piena luce e individuare i responsabili di queste morti.
Degli ultimi venti anni faccio seguire solo alcuni nomi di persone che lo Stato italiano ha riconsegnato senza vita ai loro famigliari:
Stefano Cucchi, 31 anni; Federico Aldovrandi, 18 anni; Giuseppe Uva, 43 anni; Aldo Bianzino, 44 anni; Niki Aprile Gatti, 26 anni; Stefano Brunetti, 43 anni; Serena Mollicone, 18 anni; Riccardo Rasman, 30 anni; Marcello Lonzi, 29 anni; Michele Ferrulli, 54 anni; Riccardo Magherini, 39 anni; Carmelo Castro, 19 anni; Simone la Penna, 32 anni; Cristian de Cupis, 37 anni; Manuel Eliantonio, 22 anni; ecc., ecc.
Aspetto da Yoani Sánchez, Roberto Saviano, o chiunque altro, i nomi delle persone morte a Cuba dal 1959 a oggi, dopo essere state in stretto contatto con il personale della Forza di polizia cubana.
[1] Articolo del «Il Sole 24 Ore» ‘la violenza della polizia negli Stati Uniti’
[2] ‘Mapping Police Violence’: omicidi in tempo reale della polizia Usa.
https://mappingpoliceviolence.org/
[3] La ‘Macelleria messicana’ al G8 di Genova
https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-g8_diaz_e_bolzaneto_a_20_anni_dalla_macelleria_messicana_giustizia_non__ancora_stata_fatta/42370_42405/
[4] Violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, parla un detenuto sulla sedia a rotelle:
https://www.youtube.com/watch?v=hS7DmvvhatA&t=264s
Video delle violenze sui detenuti riprese dalle telecamere di sorveglianza:
Non ho più niente a che vedere con Yoani Sanchez dal 2014. Un motivo ci sarà?