Maria Fernanda Barreto https://misionverdad.com
All’inizio della decade degli anni ‘90, come il grande vincitore della “guerra fredda”, che in realtà ha avuto espressioni molto calde, gli USA, già affermati dal secondo dopoguerra come capo dell’impero capitalista, si è anche consolidato come la più grande potenza politica e militare, e si è convertito nell’asse del mondo unipolare. Quello era stato l’obiettivo della lotta contro il comunismo, che giustificava tutte le guerre in una presunta difesa della pace che, secondo quanto dicevano, solo il capitalismo poteva sostenere.
Questa era almeno l’idea che veniva venduta all’opinione pubblica mondiale, per farle credere che il trionfo del blocco delle potenze occidentali avrebbe garantito al pianeta stabilità e pace mondiale. Tale argomento è stato diffuso nei cartoni animati, film, discorsi e persino nelle canzoni, con cui la fiorente industria culturale USA ha bombardato le generazioni che siamo cresciuti tra gli anni ’50 e ’90. Ma il risultato è stato che il mondo ha continuato a riempirsi di guerre mai dichiarate, ed è diventato sempre più difficile sapere quando un conflitto armato fosse interno e quando internazionale.
Era necessario comprendere per chi sarebbero state la pace e la stabilità, e quale sarebbe stato il prezzo che i popoli avrebbero dovuto pagare. Scoprimmo presto che la “pace” che difendevano implicava più accumulo di ricchezza per le loro tasche e più sovrasfruttamento per noi.
La loro pace si è convertita in privilegio dei paesi del nord, mentre nei paesi del sud, nel migliore dei casi, in un privilegio delle grandi città. In cambio, i popoli hanno dovuto sottomettersi silenziosamente alla spoliazione più predatoria, allo sfruttamento più brutale e, naturalmente, dimenticare concetti tanto sovversivi come indipendenza, sovranità e giustizia sociale.
In questo contesto, gli USA, la sua NATO e Israele, impongono al mondo i loro modelli di guerra sempre più diffusa che hanno generato il fiorire di compagnie militari e di sicurezza private, nonché di gruppi paramilitari al loro servizio.
La “guerra contro la droga” ha finito per riordinare l’affare a proprio favore per rafforzare la sua economia e finanziare i gruppi paramilitari, poi è stata dichiarata la “guerra contro il terrorismo” per legittimarne la sua espansione e tutto questo è finito nella “guerra infinita” come strategia imperialista, che configurava una guerra multidimensionale o ibridizzata che conferiva un ruolo ancora più protagonista all’industria culturale ed alle sue corporazioni mediatiche.
Venezuela e Colombia sono chiari esempi di questa nuova forma di guerra, anche se in modi diversi. Il Venezuela è obiettivo della guerra per rappresentare uno stato che s’insubordina dopo decenni di sottomissione, sottraendo potere politico, economico e militare al potere nordamericano nella regione, costituendosi in un cattivo esempio politico e, per questo, classificato come una minaccia insolita e straordinaria per gli USA.
LEGITTIMAZIONE DI UN MODELLO GENOCIDA DI CONTROLLO SOCIALE IN COLOMBIA
La Colombia, dal canto suo, è teatro e porto di esportazione di tale guerra. Sottomessa alla più brutale spoliazione, occupazione militare e resa assoluta della sua sovranità, è diventata la principale enclave imperialista della regione ed esportatrice di un modello genocida di controllo sociale.
In Colombia sono stati istituiti il genocidio, i massacri, lo sfollamento forzato, la tortura, la sparizione e la giuridizzazione o lawfare come pratica di Stato contro il popolo in generale e contro l’opposizione nazionale ed internazionale. Questa istituzionalizzazione ben riuscita ha richiesto il sostegno delle corporazioni mediatiche che si trovano cartellizzate e rispondono agli stessi interessi economici della classe politica che è riuscita a governare il paese per duecento anni, subordinando gli interessi nazionali a quelli USA, come capo dell’imperialismo.
Le mafie che gestiscono i cartelli mediatici in Colombia sono state fondamentali nel rendere invisibile il conflitto sociale e armato che vive il paese, presentandolo come una lotta tra bande criminali nemiche dello Stato, e nel naturalizzare il genocidio che continua a compiersi. Le voci dissidenti che accidentalmente emergono nei media sono emarginate e spesso affrontano tutte quelle forme di violenza istituita che abbiamo menzionato.
Tuttavia, il paradosso della saturazione di informazioni che ha generato la massificazione delle reti sociali è che possono essere strumenti al servizio di operazioni psicologiche a fini commerciali e persino militari, oppure possono essere strumenti popolari per aprire varchi dove può irrompere la verità. Il sogno o l’incubo di Goebbels secondo come si usano. Nonostante gli algoritmi che rendono evidente il potere dei grandi capitali nelle reti.
Le capacità di appropriazione di questi relativamente nuovi strumenti di comunicazione di massa che i media alternativi hanno sviluppato, e persino individualità che difendono gli interessi popolari, hanno permesso di erigere in essi trincee fondamentali di comunicazione contro egemonica.
Purtroppo la correlazione di forze in questo settore continua ad essere dalla loro parte. Mentre all’imperialismo ed ai suoi governi bastano poche ore di proteste a Cuba per scatenare un grande scandalo mediatico, occorrono massacri in pieno giorno nelle grandi città eseguiti dalla polizia, diffusi dalle reti sociali, persone che rischiano la loro vita per coprire e analizzare quelle notizie, e lo sforzo titanico dei media alternativi, affinché il mondo sappia cosa sta succedendo in Colombia.
L’esplosione sociale generata dallo Sciopero Nazionale indetto lo scorso 28 aprile è riuscita a invertire, almeno temporaneamente, questa correlazione nazionale e internazionale, a tal punto che le grandi corporazioni mediatiche del mondo sono state costrette a rendere visibile ciò che stava accadendo nelle strade delle principali città della Colombia. Nonostante la copertura fatta dai suoi media sia stata parziale, cercando di minimizzare la gravità degli eventi, delegittimare la protesta e giustificare la violenta repressione, questo esercizio popolare di comunicazione è stato così forte che anche alcuni media aziendali nazionali sono stati costretti ad aprire spazi per la denuncia delle massicce violazioni dei diritti umani e descrivere le richieste popolari per non perdere il grande pubblico che ancora raggiungono.
Ma nonostante questo, la tanto strombazzata “etica giornalistica” è oggi un’eccentricità tra coloro che occupano i grandi podi del giornalismo mondiale. Durante i giorni di lotta popolare degli ultimi mesi in Colombia, la perdita di tale etica è stata più che evidente per l’opinione pubblica e questo ha contribuito a smascherare i legami tra le corporazioni mediatiche colombiane con coloro che hanno violentato senza pietà il popolo.
GERONTOCRAZIA E GIOVENT-ICIDIO DI CLASSE
La cosa più dolorosa di questo nuovo genocidio che è stato commesso principalmente a Cali, ma anche a Bogotà e in altre città del paese, è che l’obiettivo principale è stata la coraggiosa gioventù colombiana.
L’omicidio sistematico e pianificato di giovani che si sta commettendo in America Latina è stato chiamato “giovent-icidio” dal ricercatore messicano José Manuel Valenzuela Arce, e sulla base di questa categoria, il professor Renán Vega Cantor denuncia che in Colombia si sta eseguendo un giovent-icidio di classe.
Il tempo, che gioca sempre a favore di chi è al potere, ha indubbiamente generato un logorio che si è manifestato in una diminuzione dell’intensità della protesta nelle strade che, comunque, a costi altissimi, ha raggiunto grandi risultati che hanno posto la Colombia sull’orlo di una crisi organica e, senza dubbio, hanno seminato un’accumulazione storica che l’opposizione politica istituzionale potrà raccogliere nelle prossime elezioni del Congresso e della Presidenza del 2022.
Ma la cosa più importante di tutte è che la raccolgano i/le giovani dei settori popolari che continuano ad alzare la voce, in processi tanto interessanti come le Assemblee Popolari che si stanno svolgendo nell’ultimo mese in tutto il paese, in cui hanno partecipato le Prime Linee come un attore politico emergente che esprime questa generazione dissidente senza formare un’organizzazione in sé, ma con l’indiscutibile legittimità che le conferisce il radicamento locale e la diversità che ciò implica.
Senza dissimulazione, mentre in quei media controllati dalle mafie che dominano il paese, vengono vittimizzati i mercenari che hanno assassinato il presidente di Haiti e si cerca di minimizzare le denunce su come la Colombia sia diventata la principale fornitrice di mercenari qualificati per USA e Israele per finire ad assassinare presidenti. Criminalizzare la protesta sociale è una linea editoriale sempre più massiccia, con la quale, ad esempio, i giovani che hanno spontaneamente costituito la Prima Linea, nelle loro comunità, soprattutto dal 28 aprile di quest’anno, sono presentati come un unico gruppo che qualificano come terroristi e persino criminale, legittimando così il giovent-icidio che lo Stato criminale sta eseguendo.
Questo giovent-icidio, che contravviene ai più elementari istinti di conservazione di una specie, si aggiunge ad una serie di crimini di Stato. Etnocidio, massacri, omicidi politici, torture, sparizioni e sfollamenti forzati, e memoricidio, in cui giocano un ruolo decisivo queste corporazioni mediatiche mafiose che disinformano il paese.
La Colombia è diventata un degno oggetto di studio per comprendere il capitalismo al suo apice nei paesi del sud. Un’efficiente sinergia tra governo, forze militari e paramilitari, narcotraffico, industria culturale e stampa, al servizio delle corporazioni e della grande potenza ancora egemone. Scenario che la converte anche in trampolino di lancio dell’imperialismo nella regione e modello da esportazione, nonché teatro di operazioni di una guerra multidimensionale dello Stato contro il proprio popolo.
Duecento anni di potere delle stesse famiglie che solo si prendono cura dei propri interessi e subordinano gli interessi nazionali ai disegni USA, rinnovati con i quadri emergenti delle famiglie dei nuovi ricchi nati dal traffico di droga e dal suo lucroso riciclaggio di denaro, hanno consolidato una dittatura dove l’oligarchia tradizionale e le mafie emergenti si sono mescolate spudoratamente e non è più possibile differenziarle facilmente. Duecento anni sono tanti e quel modello è invecchiato.
Il modello della presunta democrazia colombiana che credeva che a spari ci si poteva salvare da una rivoluzione, è oggi una dittatura genocida e “gerontocratica” che ha dimostrato con la forza del sangue che, sebbene la paura del popolo sia permanente, oggi è specificamente la paura della forza del popolo giovane che veramente la fa tremare perché ha finito per assumere il peso della protesta, ben al di là dell’appello iniziale, perché la storia ha posto questa generazione davanti a un panorama desolato in cui rischiare la propria vita è la loro unica alternativa.
Lo stesso ministro della Difesa colombiano, Diego Molano, solo poche ore, fa ha minacciato pubblicamente i giovani della Prima Linea, avvertendo che “non rimarrà uno solo in libertà”, mentre gli organismi di intelligence e i loro gruppi paramilitari continuano a detenere, perseguire e rapire, far sparire e uccidere giovani di tutto il paese.
Abbandonare la gioventù colombiana nelle sue trincee sarebbe un crimine di cui si pentirebbero, prima o poi, le gioventù del mondo ed in particolare della regione ma soprattutto ci pentiremmo le generazioni precedenti che non abbiamo potuto fare quello che questa fa a costo della propria vita.
Le innumerevoli immagini di crudeli omicidi di giovani che hanno percorso il mondo in questi ultimi mesi di Sciopero Nazionale sono la prova più recente che lo Stato colombiano assassina e criminalizza la gioventù in modo sistematico e pianificato, perché per perpetuarsi al potere ha bisogno di mantenere il paese immerso in una guerra senza fine, benché ciò significhi massacrare una generazione.
A loro volta, devono allertare i popoli della regione, perché questo giovent-icidio di classe che si sta commettendo in Colombia non tarderà molto a internazionalizzarsi ancora più se, per ignoranza, egoismo o apatia, si lascia questa generazione a lottare da sola e si permette la normalizzazione di questo crimine brutale.
JUVENICIDIO DE CLASE, CRIMEN DE LA GUERRA MULTIDIMENSIONAL EN COLOMBIA
María Fernanda Barreto
Al inicio de la década de los noventa como el gran vencedor de la “guerra fría”, que en realidad tuvo expresiones muy calientes, Estados Unidos, ya establecido desde la segunda post guerra como cabeza del imperio capitalista, se consolidó también como la más grande potencia política y militar, y se convirtió en el eje del mundo unipolar. Ese había sido el objetivo de la lucha contra el comunismo, que justificaba todas las guerras en una supuesta defensa de la paz que, según decían, solo el capitalismo podía sostener.
Esa fue al menos la idea que se le vendió a la opinión pública mundial, para hacerle creer que el triunfo del bloque de potencias occidentales garantizaría al planeta la estabilidad y la paz mundial. Se difundió ese argumento en las caricaturas, películas, discursos y hasta en canciones, con las que la próspera industria cultural estadounidense bombardeó a las generaciones que crecimos entre la década de los cincuenta y la de los noventa. Pero el resultado fue que el mundo siguió llenándose de guerras jamás declaradas, y se hizo cada vez más difícil saber cuándo un conflicto armado era interno y cuándo internacional.
Hacía falta comprender para quiénes sería la paz y la estabilidad, y cuál sería el precio que los pueblos deberíamos pagar. Pronto descubrimos que esa “paz” que defendían implicaba más acumulación de riqueza para sus bolsillos y más sobreexplotación para nosotras y nosotros.
Su paz se convirtió en privilegio de los países del norte, mientras en los países del sur, en el mejor de los casos, en un privilegio de las grandes ciudades. A cambio, los pueblos debíamos someternos en silencio al más depredador despojo, la más brutal explotación y por supuesto olvidar conceptos tan subversivos como independencia, soberanía y justicia social.
En ese contexto Estados Unidos, su OTAN e Israel, imponen al mundo sus modelos de guerra cada vez más difusa que generaron el florecimiento de compañías militares y de seguridad privadas, así como de grupos paramilitares a su servicio.
La “guerra contra las drogas” terminó por reordenar el negocio a su favor para fortalecer su economía y financiar los grupos paramilitares, luego se declaró la “guerra contra el terrorismo” para legitimar su expansión y todo esto terminó en la “guerra sin fin” como estrategia imperialista, lo que configuró una guerra multidimensional o hibridizada que dio un papel aún más protagónico a la industria cultural y sus corporaciones mediáticas.
Venezuela y Colombia son claros ejemplos de esa nueva modalidad de la guerra, aunque de diverso modo. Venezuela es objetivo de guerra por representar un Estado que se insubordina luego de décadas de sumisión restando poder político, económico y militar a la potencia norteamericana en la región, constituyéndose en un mal ejemplo político y por ello, catalogada como una amenaza inusual y extraordinaria para los Estados Unidos.
LEGITIMACIÓN DE UN MODELO GENOCIDA DE CONTROL SOCIAL EN COLOMBIA
Colombia, por su parte, es escenario y puerto de exportación de esa guerra. Sometida al más brutal despojo, a la ocupación militar y a la absoluta entrega de su soberanía, se ha constituido en principal enclave imperialista en la región y en exportadora de un modelo genocida de control social.
En Colombia el genocidio, las masacres, el desplazamiento forzado, la tortura, la desaparición y la judicialización o lawfare como práctica del Estado contra el pueblo en general y contra la oposición nacional e internacional, se han instituido. Esta institucionalización tan bien lograda ha requerido el respaldo de las corporaciones mediáticas que se encuentran cartelizadas y responden a los mismos intereses económicos de la clase política que ha conseguido gobernar el país desde hace doscientos años, subordinando los intereses nacionales a los de Estados Unidos, como cabeza del imperialismo.
Las mafias que manejan los carteles mediáticos en Colombia han sido fundamentales para invisibilizar el conflicto social y armado que vive el país, presentándolo como una pelea entre bandas delincuenciales enemigas del Estado, y para naturalizar ese genocidio que se continúa ejecutando. Las voces disidentes que accidentalmente emergen en los medios son marginadas, y a menudo enfrentan todas esas formas de violencia instituida que hemos mencionado.
Sin embargo, la paradoja de la saturación de información que ha generado la masificación de las redes sociales es que pueden ser herramientas al servicio de operaciones psicológicas con fines comerciales y hasta militares, o pueden ser herramientas populares para abrir brechas por donde puede irrumpir la verdad. El sueño o la pesadilla de Goebbels según se usen. A pesar de los algoritmos que hacen evidente el poder de los grandes capitales en las redes.
Las capacidades de apropiación de estas relativamente nuevas herramientas de comunicación de masas que han desarrollado medios alternativos y hasta individualidades que defienden intereses populares, han permitido levantar en ellas trincheras fundamentales de la comunicación contrahegemónica.
Lamentablemente la correlación de fuerzas en esta área sigue estando de su parte. Mientras el imperialismo y sus gobiernos solo necesitan unas horas de protestas en Cuba para armar un gran escándalo mediático, se necesitan masacres a plena luz del día en las grandes ciudades ejecutadas por la policía, difundidas por las redes sociales, personas que arriesguen su vida para cubrir y analizar esas noticias, y el esfuerzo titánico de medios de comunicación alternativos, para que el mundo se entere de lo que pasa en Colombia.
El estallido social que se generó a partir del Paro Nacional convocado el pasado 28 de abril logró revertir al menos temporalmente esa correlación nacional e internacionalmente, a tal punto que las grandes corporaciones mediáticas del mundo se vieron obligadas a visibilizar lo que ocurría en las calles de las principales ciudades de Colombia. Aunque la cobertura que hicieron sus medios fue parcial, tratando de minimizar la gravedad de los hechos, deslegitimar la protesta y justificar la violenta represión, ese ejercicio popular de comunicación fue tan fuerte que algunos medios corporativos nacionales también se vieron conminados a abrir espacios para la denuncia de las violaciones masivas de derechos humanos y reseñar las exigencias populares para no perder el gran público que todavía alcanzan.
Pero a pesar de ello, la tan cacareada “ética periodística” es hoy una excentricidad entre quienes ocupan los grandes podios del periodismo mundial. Durante las jornadas de lucha popular de estos últimos meses en Colombia, la pérdida de esa ética ha sido más que evidente para la opinión pública y esto ha contribuido a desenmascarar la vinculación de las corporaciones mediáticas colombianas con quienes han violentado sin clemencia al pueblo.
GERONTOCRACIA Y JUVENICIDIO DE CLASE
Lo más doloroso de este nuevo genocidio que se ha cometido mayoritariamente en Cali, pero también en Bogotá y otras ciudades del país, es que el objetivo principal ha sido la valiente juventud colombiana.
El asesinato sistemático y planificado de jóvenes que se está cometiendo en América Latina ha sido denominado “juvenicidio” por el investigador mexicano José Manuel Valenzuela Arce, y basado en esa categoría, el profesor Renán Vega Cantor denuncia que en Colombia se está ejecutando un juvenicidio de clase.
El tiempo, que siempre juega a favor de quien está en el poder, ha generado sin duda desgastes que se manifiestan en una disminución de la intensidad de la protesta en las calles que, de todos modos, a costos muy altos, obtuvo grandes logros que han colocado a Colombia al borde de una crisis orgánica y, sin duda, han sembrado un acumulado histórico que la oposición política institucional puede recoger en las próximas elecciones a Congreso y Presidencia del año 2022.
Pero lo más importante de todo es que lo recojan los y las jóvenes de los sectores populares que continúan alzando su voz, en procesos tan interesantes como las Asambleas Populares que se han venido realizando el último mes en todo el país, de las cuales han participado las Primeras Líneas como un actor político emergente que expresa a esta generación disidente sin conformar una organización en sí, pero con la legitimidad incuestionable que les da el arraigo local y la diversidad que eso implica.
Sin disimulo, mientras en esos medios controlados por las mafias que dominan el país se victimiza a los mercenarios que asesinaron al presidente de Haití y se trata de minimizar las denuncias sobre cómo Colombia se ha convertido en el principal proveedor de mercenarios cualificados por los Estados Unidos e Israel para terminar asesinando presidentes. Criminalizar la protesta social es una línea editorial cada vez más masificada, con la que, por ejemplo, la juventud que ha constituido espontáneamente la Primera Línea en sus comunidades sobre todo desde el 28 de abril de este año, son presentados como un solo grupo al que califican de terrorista y hasta delincuencial legitimando así el juvenicidio que el Estado criminal está ejecutando.
Este juvenicidio, que contraviene los más básicos instintos de conservación de una especie, se suma a una serie de crímenes de Estado. El etnocidio, las masacres, los asesinatos políticos, las torturas, desapariciones y desplazamientos forzados, y el memoricidio, en el que juegan un papel determinante esas corporaciones mediáticas mafiosas que desinforman al país.
Colombia se ha convertido en un digno objeto de estudio para entender el capitalismo en su clímax en los países del sur. Una sinergia eficiente entre gobierno, fuerzas militares y paramilitares, narcotráfico, industria cultural y prensa, al servicio de las corporaciones y la gran potencia aún hegemónica. Escenario que la convierte también en plataforma de lanzamiento del imperialismo en la región y modelo de exportación, a la vez que en el teatro de operaciones de una guerra multidimensional del Estado contra su propio pueblo.
Doscientos años de poder de las mismas familias que solo cuidan sus propios intereses y subordinan los intereses nacionales a los designios de los Estados Unidos, remozadas con los cuadros emergentes de las familias de nuevos ricos nacidas del narcotráfico y su lucrativo lavado de activos, han consolidado una dictadura donde la oligarquía tradicional y las mafias emergentes se entremezclaron sin pudor y ya no es posible diferenciarlas fácilmente. Doscientos años son bastantes, y ese modelo envejeció.
El modelo de supuesta democracia colombiana que creyó que a tiros se podía salvar de una revolución, es hoy una dictadura genocida y “gerontocrática” que ha demostrado a fuerza de sangre que, si bien el miedo al pueblo es permanente, hoy es específicamente el miedo a la fuerza del pueblo joven el que verdaderamente le hace temblar porque ella terminó por asumir el peso de la protesta trascendiendo en mucho la convocatoria inicial, porque la historia colocó a esta generación ante un panorama desolador en el que arriesgar su vida es su única alternativa.
El propio ministro de Defensa de Colombia, Diego Molano, apenas hace unas horas amenazó públicamente a la juventud de la Primera Línea advirtiendo que “no quedará uno solo en libertad”, mientras los organismos de inteligencia y sus grupos paramilitares continúan deteniendo, judicializando, secuestrando, desapareciendo y asesinando jóvenes de todo el país.
Abandonar a la juventud colombiana en sus trincheras sería un crimen del que se arrepentirían más temprano que tarde las juventudes del mundo y particularmente de la región, pero sobretodo nos arrepentiríamos las generaciones anteriores que no pudimos hacer lo que ésta hace a costa de su vida.
Las incontables imágenes de crueles asesinatos de jóvenes que han recorrido el mundo en estos últimos meses de Paro Nacional son la prueba más reciente de que el Estado colombiano asesina y criminaliza a la juventud sistemática y planificadamente, porque para perpetuarse en el poder necesita mantener al país sumergido en una guerra sin fin, aunque eso signifique masacrar una generación.
A su vez, deben alertar a los pueblos de la región, porque este juvenicidio de clase que se está cometiendo en Colombia no tardará en internacionalizarse aún más si, por ignorancia, egoísmo o apatía, se deja a esta generación luchar en soledad y se permite la normalización de este crimen brutal.
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