Salim Lamrani (almayadeen.net) https://lapupilainsomne.wordpress.com
Il leader rivoluzionario ha realizzato il sogno dell’Apostolo ed Eroe Nazionale, José Martí, di una Cuba indipendente e restituito la sua dignità al popolo dell’isola.
Il trionfo della Rivoluzione a Cuba, il 1 gennaio 1959, ha generato la più importante trasformazione sociale della storia dell’America Latina. Rovesciando l’ordine e le strutture consolidate, Fidel Castro mise in discussione il potere dell’oligarchia Batista e dei conglomerati di denaro e pose l’essere umano al centro del nuovo progetto di società dedicando le risorse nazionali al popolo.
La principale conquista della Rivoluzione cubana è l’indipendenza e la sovranità tanto anelata dal popolo cubano fin dal XIX secolo e per cui José Martí sacrificò la sua vita nel 1895. Al porre fine a più di 70 anni di dominio USA sull’isola, Fidel Castro restituì ai cubani la loro dignità perduta durante l’intervento USA nella guerra d’indipendenza di Cuba nel 1898 e l’occupazione militare che aveva trasformato l’isola in un semplice protettorato. Il presidente John F. Kennedy non si sbagliò: “Fidel Castro fa parte del lascito di Bolivar. Avremmo dovuto dare al focoso e giovane ribelle un’accoglienza più calorosa al momento del trionfo “[1].
Per capire l’importanza simbolica di Fidel Castro nella storia di Cuba è necessario risalire ai primi del XIX secolo, nel momento in cui l’isola cominciò a suscitare i desideri del “vicino vigoroso ed ambizioso”. [2]
In effetti, Cuba è una delle più antiche inquietudini della politica estera degli USA. Nel 1805 Thomas Jefferson evocò l’importanza dell’isola sottolineando che il suo “possesso [era] necessario per garantire la difesa della Louisiana e della Florida poiché [era] la chiave del Golfo del Messico. Per gli USA, la conquista sarebbe facile”. [3]
Nel 1823, John Quincy Adams, allora Segretario di Stato e futuro presidente USA, alluse alla questione dell’annessione di Cuba, elaborando la famosa teoria della “frutta matura”: “Cuba, separata dalla forza del suo vincolo artificiale con la Spagna e incapace di sostenersi dovrà necessariamente gravitare intorno all’Unione Nordamericana, e solamente verso di essa”. [4]
Così, nel corso del XIX secolo, gli USA cercarono di comprare Cuba dalla Spagna, almeno sei volte.
Durante la Prima Guerra d’Indipendenza, 1868-1878, gli insorti cubani, afflitti da profonde divisioni interne, furono sconfitti dall’esercito spagnolo. Gli USA fornirono un sostegno alla Spagna vendendo le armi più moderne e si opposero con fermezza agli indipendentisti, perseguendo gli esuli cubani che cercavano di dare il loro contributo alla lotta armata [5].
Il 29 ottobre 1872 il segretario di Stato Hamilton Fish fece partecipe Daniel Edgar Sickles, allora ambasciatore USA a Madrid, dei suoi “auguri di successo per la Spagna nella soppressione della rivolta”. Washington, s’oppose all’indipendenza di Cuba, voleva prendere possesso dell’isola. [6]
Durante la Seconda Guerra d’Indipendenza tra il 1895 ed il 1898, i rivoluzionari cubani, uniti intorno al loro leader José Martí, ebbero, ancora una volta, da affrontare l’ostilità USA, che offrì la sua assistenza alla Spagna con la vendita di armi e arrestando i patrioti cubani in suo territorio che cercavano di rifornire gli insorti. Nel 1898, nonostante la sua superiorità materiale, la Spagna era sull’orlo del baratro, sconfitta sul campo di battaglia dagli indipendentisti cubani. In una lettera il presidente USA William McKinley, del 9 marzo 1898, a Stewart Woodford, ambasciatore a Madrid, gli segnalò che la “sconfitta” della Spagna era “sicura”. “[Gli spagnoli] sanno che Cuba è perduta”. Secondo lui, “Se gli Stati Uniti vogliono Cuba devono ottenerla con la conquista”. [7]
Nell’aprile 1898, dopo la misteriosa esplosione della nave da guerra statunitense Maine nel porto dell’Avana, il presidente McKinley chiese al Congresso il permesso d’intervenire militarmente a Cuba ed impedire che l’isola ottenesse la sua indipendenza. Diversi parlamentari USA denunciarono una guerra di conquista. John W. Daniel, senatore democratico della Virginia, accusò il Governo di voler intervenire per evitare la sconfitta degli spagnoli: “Quando è arrivata l’ora più favorevole per una vittoria rivoluzionaria e meno vantaggiosa per la Spagna, […] si assegna al Congresso di dare al presidente l’esercito degli Stati Uniti per andare ad imporre con la forza un armistizio tra le due parti quando una delle due già ha deposto le armi”.[8]
Così, in tre mesi, gli USA presero il controllo del paese ed imposero un Trattato di Pace alla Spagna, da cui i cubani furono esclusi, frantumando il loro desiderio d’ indipendenza. Dal 1898 al 1902 Washington ha occupato Cuba e ha costretto l’Assemblea Costituente ad includere l’Emendamento Platt nella nuova Carta Magna, ai fini di estendere all’infinito l’occupazione militare. Il testo elaborato dal senatore Orville H. Platt vietava a Cuba di firmare un accordo con un paese terzo o di assumere un debito con un’altra nazione. Essa dava anche agli USA il diritto d’intervenire in qualsiasi momento negli affari interni di Cuba e costringeva l’isola a noleggiare, indefinitamente, la Base Navale di Guantanamo a Washington [9].
In una lettera del 1901, il generale Leonard Wood, allora governatore militare di Cuba, si congratulò con il presidente McKinley: “Certo, sotto l’Emendamento Platt, non c’è indipendenza – o poca- per Cuba, e l’unica cosa importante ora è cercare l’annessione “. [10]
Dal 1902 al 1958, Cuba aveva lo status di Repubblica neocoloniale, completamente dipendente dal potente vicino. Una libreria statunitense non aveva torto quando pubblicò nel 1902 una mappa dell’isola con il titolo: “Nostra nuova colonia: Cuba.” [11]
Il trattato di Reciprocità Commerciale imposto a Cuba nel 1902, rappresentò di fatto un’annessione economica [12].
Gli USA intervennero militarmente a Cuba nel 1906 e installarono il governatore Charles E. Mangoon fino al 1909, ricordando ai cubani chi era il vero proprietario dell’isola. [13]
Nel 1912, Washington ancora una volta interferì negli affari interni di Cuba e mandò il suo esercito, dopo la rivolta dei Veterani di Colore, indipendentisti allontanati dal potere. L’uomo d’affari USA Hugh S. Gibson spiegò i motivi della rivolta: ” I cubani che presero le armi per la causa spagnola […] occupano ora le cariche pubbliche”. [14]
Gli USA avevano preso infatti la precauzione – ricordava Gibson – di posizionare in posti chiavi a “coloro che avevano preso le armi contro la causa dell’indipendenza cubana”. [15]
L’Emendamento Platt, che legalizzava l’interventismo USA, collocava al governo cubano in una situazione “d’inferiorità umiliante tramite un disprezzo dei suoi diritti nazionali, screditandolo all’interno e all’esterno del paese”. [16]
Queste furono le parole del presidente cubano José Miguel Gómez. Tale appendice legislativa continuava a ricordare al popolo cubano che il destino del suo paese era subordinato agli interessi della potenza neocoloniale. Così, nel 1917, il presidente Woodrow Wilson inviò diverse navi da guerra a Santiago de Cuba e Camagüey quando alcuni ribelli presero le armi, sotto la guida di José Miguel Gómez, contro il presidente Manuel García Menocal che voleva restare al potere attraverso una massiccia frode. [17]
Temendo una reminiscenza della rivolta del 1917 durante le elezioni presidenziali del 1920, Washington impose al presidente Menocal la presenza del generale Enoch H. Crowder, il quale si occupò di elaborare le nuove leggi elettorali ed organizzare lo scrutinio. [18]
Menocal condivise le sue riserve con il Presidente USA: una supervisione delle elezioni cubane da parte di Washington “ferirebbe l’orgoglio cubano [e sarebbe] un’umiliazione” per l’intera nazione. [19]
Woodrow Wilson rifiutò, con disprezzo, l’osservazione e nominò il Proconsole Crowder presidente del Comitato Elettorale. Quando nel dicembre del 1920 il presidente Wilson inviò Crowder a Cuba per affrontare la grave crisi “politica e finanziaria”, in parte causata del crollo del prezzo dello zucchero, e salvare gli investimenti USA da un fallimento dell’economia cubana, nemmeno si degnò d’informare il Presidente Menocal. [20]
Davanti alle proteste di esso, la risposta di Washington fu pungente e ricordò a l’Avana, in termini abbastanza lontani dalle abitudini della diplomazia, chi era il vero proprietario dell’isola “Il presidente USA non vede la necessità di ottenere l’autorizzazione previa da parte del presidente di Cuba per inviare un rappresentante speciale” [21].
Nel 1933, quando il movimento insurrezionale che lanciarono gli studenti contro la dittatura militare di Gerardo Machado prese una svolta rivoluzionaria sotto la guida di Antonio Guiteras, Washington intervenne, nuovamente, per imporre un sergente stenografo di nome Fulgencio Batista. Il governo “pentarchico” diretto da Ramón Grau San Martín, che intraprese importanti riforme sociali, non fu di gradimento degli USA. Infatti, sotto l’egida di Guiteras, questo creò tribunali per punire i crimini commessi sotto Machado, convocò elezioni per 22 aprile 1934, convocò un’Assemblea Costituente per il 20 maggio 1934, concesse autonomia alle università, abbassò il prezzo degli articoli di prima necessità, diede il diritto di voto alle donne, limitò la giornata lavorativa ad otto ore, creò un Ministero del Lavoro, ridusse le tariffe di gas ed elettricità, pose termine al monopolio delle imprese USA, impose una moratoria temporanea sul debito e, soprattutto, nazionalizzò la Compagnia Cubana di Elettricità, una filiale dell’American Bond and Foreign Power Company [22]
L’ambasciatore Sumner Welles indicò la via da seguire: “Nessun governo può sopravvivere qui, per un periodo prolungato, senza il riconoscimento degli USA ed una mancanza di riconoscimento affonderà Cuba in una situazione ancora più caotica e anarchica”. [23]
Roosevelt non riconobbe il nuovo potere e mandò diverse navi da guerra all’isola. Le conseguenze furono immediate: il Governo rivoluzionario fu rovesciato da Batista – era durato appena 127 giorni – il quale installò alla presidenza il fantoccio Carlos Mendieta, preferendo governare dietro le quinte. Welles espresse la sua soddisfazione. La sua azione era stata proficua e la spiegò in una lettera al Dipartimento di Stato: “Sono convinto che i cubani non potranno mai autogovernarsi finché sono forzati a realizzare che devono assumersi le proprie responsabilità”. Evidentemente, Washington s’incaricava di questo compito, imponendo l’uomo forte. [24]
Batista, sottomesso agli USA, ebbe il potere reale dal 1933 al 1959, fatta eccezione per il periodo 1944-1952. Il suo colpo di stato del marzo 1952 contro il presidente Carlos Prio Socarras fu accolto con grande favore a Washington. “Bastita è fondamentalmente amichevole con gli USA ed il suo governo, senza dubbio, non sarà peggiore di quello di Prio e probabilmente anche migliore”. [25]
Il sergente, diventato generale, s’impegnò a tutelare gli interessi economici USA a scapito del popolo cubano, di cui si congratulò l’ambasciatore Beaulac. “Le dichiarazioni del generale Batista relative al capitale privato furono eccellenti” [26]
Fidel Castro, a nome del popolo cubano, si oppose immediatamente alla dittatura militare e lanciò un movimento insurrezionale nelle montagne della Sierra Maestra. Il leader del Movimento 26 Luglio, riprendendo la torcia di José Martí, divenne molto popolare tra la gioventù cubana, che vedeva il lui il redentore di una Cuba colonizzata e umiliata ed il simbolo della resistenza all’egemonia USA. Durante il discorso a Santiago de Cuba, il 1° gennaio 1959, dopo la fuga di Batista, Fidel Castro avvertì Washington che in futuro Cuba sarebbe stata libera e sovrana: “Questa volta, fortunatamente per Cuba, la Rivoluzione arriverà veramente al potere. Non sarà come nel ’95, che vennero gli americani e si fecero padroni di questo […]. Né ladri, né traditori, né interventista. Questa volta sì che è la Rivoluzione”.[27]
John F. Kennedy fu uno dei pochi leader USA che capì l’importanza storica di Fidel Castro. Lo spiegò in un discorso del 1960 e riconobbe il sostegno di Washington a Batista: “piuttosto che tendere una mano amichevole al popolo disperato di Cuba, quasi tutto il nostro aiuto prendeva la forma di assistenza militare – assistenza che semplicemente rafforzò la dittatura di Batista, un’assistenza che fallì completamente nel migliorare il benessere del popolo cubano”. [28]
Egli aggiunse in proposito: Usiamo l’influenza del nostro governo per promuovere gli interessi e aumentare i benefici delle società private americane che dominavano l’economia dell’isola. All’inizio del 1959, le imprese economiche possedevano circa il 40% delle terre da zucchero cubane, quasi tutti gli allevamenti di bestiame, il 90% delle miniere e concessioni minerarie, l’80% dei trasporti e quasi tutta l’industria petrolifera [ …]. La nostra azione dava l’impressione troppo spesso che il nostro paese fosse più interessato a prendere soldi dal popolo cubano che aiutarlo a costruire un’economia indipendente, forte e diversificata. Era impossibile non suscitare l’animosità del popolo cubano. [29]
L’avvento di una rivoluzione radicale a Cuba era inevitabile poiché gli USA, per la loro strategia di dominazione, negarono ai cubani qualsiasi vera prospettiva di emancipazione, d’indipendenza politica e progresso economico e sociale. L’ambasciatore Philip Bonsal evocò questa realtà: “Nella Cuba pre-Castro, la schiacciante presenza americana in termini geopolitici era un permanente ricordo della natura imperfetta della sovranità cubana […]. Suscitava rifiuto giacché si riteneva una violazione intollerabile dell’indipendenza e della dignità del popolo cubano”. [30]
La costante ingerenza del Vicino del Nord negli affari interni dell’isola danneggiava profondamente l’orgoglio nazionale dei cubani. L’obiettivo finale della Rivoluzione era quello di riconquistare la sovranità della nazione e porre fine alla dipendenza dagli USA. Tale era la missione di Fidel Castro.
Fidel Castro prese il potere e pose fine alla tutela USA che aveva schiacciato il paese per oltre 60 anni. La repubblica neocoloniale si disintegrò con la fuga di Batista. Il trionfo della Rivoluzione cubana, nel 1959, permise al popolo cubano realizzare, finalmente, il sogno di una patria libera e sovrana, facendo di Fidel Castro l’emblema della dignità nazionale e continentale che ha saputo opporsi ai disegni egemonici di Washington in America Latina. Terminò, allora, l’era del complesso “Plattista”, in base al quale si doveva cercare soluzioni statunitensi ai problemi cubani, con l’arrivo di Fidel Castro al potere.
Fidel Castro, arquitecto de la soberanía nacional de Cuba
Salim Lamrani
El líder revolucionario ha realizado el sueño del Apóstol y Héroe Nacional José Martí de una Cuba independiente y ha devuelto su dignidad al pueblo de la Isla.
El triunfo de la Revolución en Cuba el 1 de enero de 1959 engendró la más importante transformación social de la historia de América Latina. Al derrocar el orden y las estructuras establecidas, Fidel Castro puso en tela de juicio el poder de la oligarquía batistiana y de los conglomerados de dinero y ubicó al ser humano en el centro del nuevo proyecto de sociedad dedicando los recursos nacionales al pueblo.
La principal conquista de la Revolución cubana es la independencia y la soberanía tan anheladas por el pueblo cubano desde el siglo XIX y por las cuales José Martí sacrificó su vida en 1895. Al poner fin a más de 70 años de dominio de Estados Unidos sobre la Isla, Fidel Castro devolvió a los cubanos su dignidad perdida durante la intervención estadounidense en la guerra de independencia de Cuba en 1898 y la ocupación militar que había transformado a la Isla en simple protectorado. El presidente John F. Kennedy no se equivocó: “Fidel Castro forma parte del legado de Bolívar. Deberíamos haber dado al fogoso y joven rebelde una bienvenida más calurosa en su hora de triunfo”[1].
Para entender la importancia simbólica de Fidel Castro en la historia de Cuba resulta necesario remontarse a principios del siglo XIX, en el momento en que la isla empezó a suscitar las apetencias del “vecino pujante y ambicioso”.[2]
En efecto, Cuba es una de las más antiguas inquietudes de la política exterior de Estados Unidos. En 1805 Thomas Jefferson evocó la importancia de la isla enfatizando que su “posesión [era] necesaria para asegurar la defensa de la Luisiana y de la Florida pues [era] la llave del Golfo de México. Para Estados Unidos, la conquista sería fácil”.[3]
En 1823 John Quincy Adams, entonces secretario de Estado y futuro presidente de Estados Unidos, aludió al tema de la anexión de Cuba, elaborando la famosa teoría de la “fruta madura”: “Cuba, separada por la fuerza de su propia conexión desnaturalizada con España e incapaz de sostenerse por ella misma, tendrá necesariamente que gravitar en torno a la Unión Norteamericana y sólo a ella”. [4]
Así, durante el siglo XIX, Estados Unidos intentó comprar Cuba a España al menos seis veces.
Durante la Primera Guerra de Independencia, de 1868 a 1878, los insurrectos cubanos, afligidos por profundas divisiones internas, fueron derrotados por el ejército español. Estados Unidos brindó su apoyo a España vendiéndole las armas más modernas y se opuso resueltamente a los independentistas, persiguiendo a los exilados cubanos que intentaban brindar su contribución a la lucha armada[5].
El 29 de octubre de 1872 el secretario de Estado Hamilton Fish hizo partícipe a Daniel Edgar Sickles, entonces embajador estadounidense en Madrid, de sus “augurios de éxito para España en la supresión de la revuelta”. Washington, opuesto a la independencia de Cuba, deseaba tomar posesión de la Isla.[6]
Durante la Segunda Guerra de Independencia entre 1895 y 1898, los revolucionarios cubanos, unidos en torno a su líder José Martí, tuvieron que enfrentar otra vez la hostilidad de Estados Unidos, que brindó su concurso a España vendiéndole armas y arrestando a los patriotas cubanos en su territorio que intentaban suministrar a los insurrectos. En 1898, a pesar de su superioridad material, España estaba al borde del abismo, vencida en el campo de batalla por los independentistas cubanos. En una misiva el presidente estadounidense William McKinley, con fecha del 9 de marzo de 1898, a Stewart Woodford, embajador en Madrid, le señaló que “la derrota” de España era “segura”. “[Los españoles] saben que Cuba está perdida”. Según él, “Si Estados Unidos quiere Cuba, debe obtenerla por la conquista”. [7]
En abril de 1898, tras la misteriosa explosión del buque de guerra estadounidense The Maine en la bahía de La Habana, el Presidente McKinley solicitó el permiso del Congreso para intervenir militarmente en Cuba e impedir que la isla consiguiera su independencia. Varios parlamentarios estadounidenses denunciaron una guerra de conquista. John W. Daniel, senador demócrata de Virginia, acusó al Gobierno de querer intervenir para evitar una derrota de los españoles: “Cuando ha llegado la hora más favorable para una victoria revolucionaria y menos ventajosa para España, […] se asigna al Congreso a que entregue al presidente el ejército de Estados Unidos para ir a imponer por la fuerza un armisticio entre dos partes, cuando una de dos ya depuso las armas”.[8]
Así, en tres meses, Estados Unidos tomó el control del país e impuso un Tratado de Paz a España, del cual los cubanos fueron excluidos, destrozando su anhelo de independencia.
De 1898 a 1902 Washington ocupó Cuba y obligó a la Asamblea Constituyente a que incluyera la enmienda Platt en la nueva Carta Magna, so pena de prorrogar indefinidamente la ocupación militar. El texto redactado por el senador Orville H. Platt prohibía a Cuba que firmara cualquier acuerdo con un tercer país o que contratara una deuda con otra nación. También daba a Estados Unidos el derecho a intervenir en todo momento en los asuntos internos de Cuba y compelía a la isla a que arrendase indefinidamente a Washington la base naval de Guantánamo [9].
En un correo de 1901, el general Leonard Wood, entonces gobernador militar de Cuba, felicitó al Presidente McKinley: “Desde luego, bajo la enmienda Platt, no hay independencia –o poca– para Cuba y la única cosa que resulta importante ahora es buscar la anexión”.[10]
De 1902 a 1958, Cuba tenía el estatus de República neocolonial, totalmente dependiente del poderoso vecino. Una librería estadounidense no se equivocó cuando difundió en 1902 un mapa de la isla bajo el título: “Nuestra nueva colonia: Cuba”.[11]
El Tratado de Reciprocidad Comercial impuesto a Cuba en 1902 constituyó de facto una anexión económica.[12]
Estados Unidos intervino militarmente en Cuba en 1906 e instaló al gobernador Charles E. Mangoon hasta 1909, recordando a los cubanos quién era el verdadero dueño de la isla.[13]
En 1912, Washington se inmiscuyó otra vez en los asuntos internos de Cuba y mandó a sus fuerzas armadas, tras la revuelta de los Veteranos de Color, independentistas apartados del poder. El encargado de negocios estadounidense Hugh S. Gibson explicó las razones de esa sublevación: “Los cubanos que tomaron las armas por la causa española […] ocupan ahora los cargos públicos”.[14]
Estados Unidos había tomado en efecto la precaución –recordaba Gibson– de colocar en puestos claves a “quienes habían tomado las armas contra la causa de la independencia cubana”.[15]
La enmienda Platt, que legalizaba el intervencionismo estadounidense, ubicaba al gobierno cubano en una situación “de inferioridad humillante mediante un desprecio de sus derechos nacionales, causando su desprestigio en el interior y el exterior del país”.[16]
Tales fueron las palabras del presidente cubano José Miguel Gómez. Este apéndice legislativo no dejaba de recordar al pueblo cubano que el destino de su patria se subordinaba a los intereses de la potencia neocolonial. Así, en 1917, el presidente Woodrow Wilson mandó varios buques de guerra a Santiago de Cuba y Camagüey cuando unos insurrectos tomaron las armas, bajo el liderazgo de José Miguel Gómez, contra el presidente Manuel García Menocal que deseaba mantenerse en el poder mediante un fraude masivo.[17]
Temiendo una reminiscencia de la revuelta de 1917 durante las elecciones presidenciales de 1920, Washington impuso al Presidente Menocal la presencia del general Enoch H. Crowder, el cual se encargó de elaborar las nuevas leyes electorales y organizar el escrutinio.[18]
Menocal hizo partícipe de sus reservas al presidente estadounidense: una supervisión de las elecciones cubanas por parte de Washington “lastimaría el orgullo cubano [y sería] una humillación” para toda la nación. [19]
Woodrow Wilson rechazó con desprecio la observación y nombró al Procónsul Crowder presidente del Comité Electoral.
Cuando en diciembre de 1920 el presidente Wilson envió a Crowder a Cuba para hacer frente a la grave crisis “política y financiera”, debida en parte al desmoronamiento de la cotización del azúcar, y salvar las inversiones estadounidenses de una quiebra de la economía cubana, ni siquiera se dignó a informar al presidente Menocal.[20]
Ante las protestas de éste, la respuesta de Washington fue mordaz y recordó a La Habana, en términos bastante alejados de las costumbres de la diplomacia, quién era el verdadero dueño de la isla: “El presidente de Estados Unidos no considera necesario obtener la autorización previa del presidente de Cuba para enviar a un representante especial”.[21]
En 1933, cuando el movimiento insurreccional que lanzaron los estudiantes contra la dictadura militar de Gerardo Machado tomó un giro revolucionario bajo el impulso de Antonio Guiteras, Washington intervino otra vez para imponer a un sargento estenógrafo llamado Fulgencio Batista. El gobierno “pentárquico” que dirigió Ramón Grau San Martín, que emprendió considerables reformas sociales, no fue del agrado de Estados Unidos. En efecto, bajo la égida de Guiteras, ése creó tribunales para sancionar los crímenes que se cometieron bajo Machado, llamó a elecciones para el 22 de abril de 1934, convocó una Asamblea Constituyente para el 20 de mayo de 1934, otorgó la autonomía a las universidades, bajó el precio de los artículos de primera necesidad, dio el derecho de voto a las mujeres, limitó la jornada laboral a ocho horas, creó un ministerio del Trabajo, redujo las tarifas de gas y electricidad, puso término al monopolio de las empresas estadounidenses, impuso una moratoria temporal sobre la deuda y, sobre todo, nacionalizó la Compañía Cubana de Electricidad, filial de la American Bond and Foreign Power Company[22]
El embajador Sumner Welles indicó la vía a seguir: “Ningún gobierno puede sobrevivir aquí por un periodo prolongado sin el reconocimiento de Estados Unidos y una falta de reconocimiento hundirá a Cuba en una situación aún más caótica y anárquica”.[23]
Roosevelt no reconoció al nuevo poder y mandó varios buques de guerra a la isla. Las consecuencias fueron inmediatas: el Gobierno revolucionario fue derrocado por Batista -apenas había durado 127 días– el cual instaló en la presidencia al fantoche Carlos Mendieta, prefiriendo gobernar tras bambalinas. Welles expresó su satisfacción. Su acción había sido fructífera y lo explicó en una misiva al Departamento de Estado: “Estoy convencido de que los cubanos nunca podrán autogobernarse hasta que estén forzados a realizar que deben asumir sus propias responsabilidades”. Evidentemente, Washington se encargaría de dicha tarea, imponiendo a su hombre fuerte. [24]
Batista, sumiso a Estados Unidos, tuvo el poder real de 1933 a 1959, excepto el periodo 1944-1952. Su golpe de Estado de marzo de 1952 contra el presidente Carlos Prío Socarrás fue acogido calurosamente en Washington: “Bastita es fundamentalmente amistoso con Estados Unidos y su Gobierno sin duda no será peor que el de Prío e incluso probablemente mejor”.[25]
El sargento, convertido en general, se comprometió a proteger los intereses económicos de Estados Unidos en detrimento de los del pueblo cubano, de lo que se felicitó el embajador Beaulac: “Las declaraciones del general Batista relativas al capital privado fueron excelentes”.[26]
Fidel Castro, en nombre del pueblo cubano, se opuso inmediatamente a la dictadura militar y lanzó un movimiento insurreccional en las montañas de la Sierra Maestra. El líder del Movimiento 26 de Julio, retomando la antorcha de José Martí, se hizo muy popular entre la juventud cubana, que veía en él al redentor de una Cuba colonizada y humillada y el símbolo de la resistencia a la hegemonía estadounidense. Durante du discurso en Santiago de Cuba el 1 de enero de 1959, tras la huida de Batista, Fidel Castro advirtió a Washington de que en adelante Cuba sería libre y soberana: “Esta vez, por fortuna para Cuba, la Revolución llegará de verdad al poder. No será como en el 95, que vinieron los americanos y se hicieron dueños de esto […]. Ni ladrones, ni traidores, ni intervencionistas. Esta vez sí que es la Revolución”.[27]
John F. Kennedy fue uno de los pocos dirigentes de Estados Unidos que comprendió la importancia histórica de Fidel Castro. Lo explicó en un discurso de 1960 y reconoció el apoyo de Washington a Batista: “en vez de tender una mano amistosa al pueblo desesperado de Cuba, casi toda nuestra ayuda tomaba la forma de asistencia militar –asistencia que sencillamente reforzó la dictadura de Batista, una asistencia que fracasó completamente en mejorar el bienestar del pueblo cubano”.[28]
Agregó al respecto: Usamos la influencia de nuestro gobierno para promover los intereses y aumentar los beneficios de las empresas americanas privadas, que dominaban la economía de la isla. Al inicio del año 1959, las empresas económicas poseían cerca del 40% de las tierras azucareras cubanas, acaso todos los ranchos de ganado, el 90% de las minas y concesiones mineras, el 80% de los transportes y caso toda la industria petrolera […]. Nuestra acción daba la impresión demasiadas veces que nuestro país estaba más interesado en sacar dinero del pueblo cubano que en ayudarlo a edificar una economía autónoma, fuerte y diversificada. Era imposible no suscitar la animosidad del pueblo cubano[29]
El advenimiento de una revolución radical en Cuba era inevitable pues Estados Unidos, por su estrategia de dominación, negó a los cubanos toda perspectiva de emancipación verdadera, de independencia política y de progreso económico y social. El embajador Philip Bonsal evocó esta realidad: “En la Cuba pre-Castro, la presencia americana aplastante en términos geopolíticos era un permanente recuerdo de la naturaleza imperfecta de la soberanía cubana […]. Suscitaba rechazo ya que se consideraba una transgresión intolerable de la independencia y la dignidad del pueblo cubano”.[30]
La intromisión constante del Vecino del Norte en los asuntos internos de la isla había dañado profundamente el sentimiento de orgullo nacional de los cubanos. El último objetivo de la Revolución era recuperar la soberanía de la nación y poner fin a la dependencia de Estados Unidos. Tal fue la misión de Fidel Castro.
Fidel Castro tomó el poder y puso fin a la tutela estadounidense que había aplastado al país durante más de sesenta años. La república neocolonial se desintegró con la huida de Batista. El triunfo de la Revolución Cubana en 1959 permitió al pueblo cubano realizar finalmente el sueño de una patria libre y soberana, haciendo de Fidel Castro el emblema de la dignidad nacional y continental que supo oponerse a los designios hegemónicos de Washington en América Latina. Se acabó entonces la era del complejo “plattista”, en virtud del cual había que buscar soluciones estadounidenses a los problemas cubanos, con la llegada de Fidel Castro al poder.
[1] Luis Báez, “Absuelto por la Historia”, Granma, 11 de marzo de 2014. http://www.granma.cu/granmad/secciones/fidel/ (sitio consultado el 23 de febrero de 2015).
[2] José Martí, «El Congreso de Washington», La Nación, 2 de noviembre de 1889.
[3] Antonio Beltrán Hernández, L’Empire de la liberté, París, Editions Syllepse, 2002, p. 78.
[4] Philip S. Foner, Historia de Cuba y sus relaciones con Estados Unidos, La Havane, Editorial de Ciencias Sociales, tome I, 1973, p. 157.
[5] Philip S. Foner, La Guerra hispano/cubano/americana y el nacimiento del imperialismo norteamericano, op. cit., Volumen 1, p.16-17.
[6] Hamilton Fish, «Mr. Fish to Mr. Cushing», 6 de febrero de 1874, FRUS, 7 de diciembre de 1874, p. 859.
[7] Stewart L. Woodford, «Mr. Woodford to the President», 9 de marzo de 1898, FRUS, 6 de diciembre de 1898, p. 682-84.
[8] Philip S. Foner, La Guerra hispano/cubano/americana y el nacimiento del imperialismo norteamericano, op. cit., Volumen 1, p. 337.
[9] C. I. Bevans, Treaties and Other International Agreements of the United States of America, 1776-1949 (Washington D. C.: United States Government Printing Office, 1971), p. 1116-17.
[10] Fidel Castro Ruz, «El imperio y la isla independiente, primera parte», Cuba Debate, 14 de agosto de 2007. http://www.cubadebate.cu/reflexiones-fidel/2007/08/14/imperio-isla-independiente-primera-parte/ (sitio consultado el 15 de agosto de 2009).
[11] Robert Merle, Moncada : premier combat de Fidel Castro, Paris, Robert Laffon, 1965, p. 34.
[12] Tomas Estrada Palma, « Message of Tomás Estrada Palma, President of the Republic of Cuba, to the Congress of Cuba», 6 de abril de 1903, FRUS, 7 de diciembre de 1903, p. 356-57.
[13] Edwin V. Morgan, «Minister Morgan to the Secretary of State», 13 de octubre de 1906, FRUS, 1909, p. 489.
[14] Hugh S. Gibson, «Veteranista Agitation – Attitude of the United States. The American Chargé d’Affaires to the Secretary of State», 10 de noviembre de 1911, FRUS, (Washington Government Printing Office, 1919), p. 236-37.
[15] Hugh S. Gibson, «Veteranista Agitation – Attitude of the United States. The American Chargé d’Affaires to the Secretary of State», 16 de noviembre de 1911, FRUS, 1919, p. 237.
[16] José Miguel Gómez, « he President of Cuba to the President», 26 de mayo de 1912, FRUS, 1919, p. 248.
[17] Robert Lansing, «The Secretary of State to Minister Gonzales», 13 de febrero de 1917, FRUS, 1926, p. 356 ; William E. Gonzales, «Minister Gonzales to the Secretary of State», 15 de febrero de 1917, FRUS, 1926, p. 359 ; William E. Gonzales, «Minister Gonzales to the Secretary of State», 27 de febrero de 1917, FRUS, 1926, p. 369.
[18] Robert Lansing, «The Secretary of State to Minister Gonzales», 10 de marzo de 1917, FRUS, 1926), p. 382 ; Frank Polk, «The Acting Secretary of State to the Chargé in Cuba (Bingham)», 15 de enero de 1919, FRUS, Volume II (Washington Government Printing Office, 1934), p. 1-2.
[19] Rutherfurd Bingham, «The Chargé in Cuba (Bingham) to the Acting Secretary of State», 18 de enero de 1919, FRUS, 1934, p. 2. Véase el informe complete de Enoch H. Crowder sobre su estancia en Cuba: Enoch H. Crowder, «General Enoch H. Crowder to the Secretary of State», 30 de Agosto de 1919, FRUS, 1934, p. 29-77.
[20] Norman H. Davis, «The Acting Secretary of State to the Judge Advocate General, War Department (Crowder) », 31 de diciembre de 1920, FRUS, 1936, p. 41-43.
[21] Norman H. Davis, «The Acting Secretary of State to the Minister in Cuba (Long) », 4 de enero de 1921, FRUS, 1936, p. 671.
[22] Salim Lamrani, Cuba. Ce que les médias ne vous diront jamais, op. cit., p. 224.
[23] Sumner Welles, «The Ambassador in Cuba (Welles) to the Secretary of State», 10 de septiembre de 1933, FRUS, 1952, p. 417.
[24] Sumner Welles, «The Ambassador in Cuba (Welles) to the Secretary of State», 25 de septiembre de 1933, FRUS, 1952, p. 458.
[25] Edward G. Miller Jr., «Secretary Staff Meetings», 11 de marzo de 1952, lot 63 D 75, FRUS, 1983, p. 868.
[26] Willard L. Beaulac, «Memorandum of Conversation, by the ambassador in Cuba (Beaulac)», 22 de marzo de 1952, FRUS, 1983, p. 868.
[27] Fidel Castro Ruz, «Esta vez no se frustrará la Revolución», 1 de enero de 1959, Fondo Fidel Castro Ruz, n°, Archivo de la Oficina de Asuntos Históricos del Consejo de Estado (OAH-CE)
[28] John F. Kennedy, «Speech of Senator John F. Kennedy, Cincinnati, Ohio, Democratic Dinner», 6 de octubre de 1960.
[29] Id.
[30] Philip W. Bonsal, Cuba, Castro, and the United States, Pittsburgh, University of Pittsburgh Press, 1971, p. 9.