Omar Rafael Garcia Lazo https://espanol.almayadeen.net
Dopo anni di assedio economico, politico, mediatico, diplomatico e di aggressioni terroristiche e minacce militari, la Rivoluzione Bolivariana ha ottenuto una nuova vittoria, costringendo USA ed Unione Europea a sedersi con le loro pedine dell’opposizione a dialogare con il governo di Nicolás Maduro.
Ciò che è accaduto è stato possibile, in primo luogo, grazie alla resistenza dell’alleanza civico-militare bolivariana, che ha costretto la nuova amministrazione USA a valutare la propria tattica di fronte al rovesciamento del processo chavista.
Il tavolo di dialogo istituito in Messico, con la Norvegia come garante e il sostegno di Paesi Bassi e Federazione Russa, potrebbe avere una fine diversa dagli sforzi negoziali sviluppati tra il 2017 e il 2019 nella Repubblica Dominicana, Norvegia e Barbados.
A quel tempo, l’amministrazione di Donald Trump si è coinvolta in un piano diretto a distruggere la Rivoluzione bolivariana, per cui le erano superflui eventuali accordi negoziati tra il legittimo governo Maduro e l’opposizione. I tavoli negoziali hanno portato a fallimenti, ciò che ha confermato il carattere dipendente dell’opposizione venezuelana.
Altri tempi
L’America Latina guarda alla Cina con crescente entusiasmo, mentre sopravvive al fallimento sociale ed economico di un’ondata di governi di destra e neoliberali che hanno smantellato i progressi raggiunti dai loro predecessori e non sono stati (e non sono) capaci di superare la sfida socioeconomica posta dalla pandemia.
Gli USA sono coscienti di quanto sopra e di fronte a un mondo che si affaccia al declino dell’unipolarismo e con le ombre simboliche del capitolo Afghanistan, sono obbligati a difendere e riposizionare la propria egemonia in America Latina.
La regione vive un momento di interessanti rivolgimenti politici, benché lontani dagli impeti integratori e liberatori dell’inizio del secolo. In questo scenario, Biden sembra puntare su tattiche meno aperte di quelle utilizzate da Trump.
Approfittare della diversità di sfumature politiche e interessi economici latinoamericani potrebbe facilitare il compito di ritornare con forza in zona.
Venezuela e Cuba
La Casa Bianca ha due importanti ostacoli da superare nel suo desiderio di affermarsi nell’area: Venezuela e Cuba.
Già l’OSA, con il suo discredito, non resiste a un nuovo tentativo di attaccare il Venezuela; mentre il Gruppo di Lima è rimasto senza campo. I fallimenti delle azioni antivenezuelane sono così stridenti che già risulta ingestibile, per alcune cancellerie latinoamericane ed europee, mantenere quel cammino battuto.
Washington lo ha compreso e ha dato il via libera ai dialoghi in Messico. Lì conta sui suoi sudditi all’interno dell’opposizione venezuelana ed i suoi alleati della NATO. Il governo bolivariano non arriva solo, la diplomazia russa lo accompagna ed il rispetto dei messicani non sarà poca cosa.
Non si può dimenticare che l’amministrazione Obama, di cui Biden è stato il vicepresidente, ha utilizzato varie risorse contro il Venezuela per rovesciare il governo Maduro. È stato Obama a firmare l’ordine esecutivo che classificava il Venezuela come una minaccia insolita e straordinaria per la sicurezza nazionale USA.
Tuttavia, il contesto giustifica un altro piano: strappare concessioni a Maduro in cambio della revoca delle misure di blocco e creare le condizioni per una sconfitta elettorale della Rivoluzione chavista.
L’attuale amministrazione USA presume che l’usura di questi anni, le conseguenze del blocco economico e della pandemia avranno un impatto sulle prossime elezioni presidenziali, previste per il 2024, e sulle quali Diosdado Cabello, vicepresidente del Partito Socialista Unito del Venezuela, ha detto che la data sarà rispettata.
La sottovalutazione dell’identità chavista e della coscienza acquisita dalla maggioranza del popolo venezuelano potrebbero portare Biden a un classico errore di calcolo sul Venezuela o al fallimento dei negoziati, se insiste, attraverso l’opposizione, su condizioni inaccettabili per il governo venezuelano.
Per quanto riguarda Cuba, storica è stata la visita di Obama nell’isola socialista con Raúl Castro come anfitrione. Mentre soffocavano il Venezuela, Obama cercava un nuovo percorso volto a minare dall’interno la Rivoluzione cubana. Anche la signora Biden ha camminato per le strade dell’Avana e deve aver raccontato qualcosa all’oggi presidente Joe.
Trump ha smantellato la “variante Obama” per Cuba ed ha lanciato, con la pandemia come alleata, un attacco a fondo contro l’economia isolana. Il piano era di mettere in tensione la Rivoluzione e creare le condizioni per organizzare un’esplosione sociale attraverso le azioni previste nei manuali di golpe morbido.
Biden è giunto al potere con questo piano in atto e non lo ha fermato. È quanto accaduto a Kennedy con l’invasione della Baia dei Porci, nel 1961. Sembra che i Democratici siano predestinati dalla provvidenza a farsi carico dei più clamorosi fallimenti contro Cuba.
Tutti gli attori controrivoluzionari finanziati per anni da agenzie USA si sono messi in fila e sostenuto l’operazione che ha avuto due momenti importanti nel novembre 2020 e nel luglio 2021, mentre una rete di comunicazione di ampio spettro iniziava a seminare una nuova matrice propagandistica: la necessità di un “dialogo” all’interno della società cubana.
Nessuna delle 243 misure economiche che Trump ha preso contro Cuba è stata modificata dall’attuale presidente. Inoltre, ha “sanzionato” i militari per la presunta “repressione”, e ha classificato lo stato cubano come “fallito”, nel tentativo di mantenere ostilità e la pressione contro L’Avana, mentre sembra allentarsi con Caracas.
Biden e la sua squadra aspirano a realizzare una destabilizzazione interna a Cuba che costringa la Rivoluzione ad intavolare un dialogo con i suoi nemici nativi?
L’insistenza dei diversi e minuscoli settori controrivoluzionari in questa matrice confermano che è un’ulteriore risorsa tra quelle che Washington ha per delegittimare, a livello internazionale, e indebolire internamente la Rivoluzione cubana.
Ma nel caso cubano, Biden ha un grosso problema: l’unico interlocutore che la Rivoluzione cubana ha per dialogare sui problemi cubani è il popolo, principale sostenitore del processo politico e protagonista inequivocabile nella costruzione del socialismo.
Così lo confermano la risposta popolare, data a Cuba, ai tentativi destabilizzanti dell’11 luglio scorso e gli incontri che il presidente Miguel Díaz-Canel ha avuto nelle ultime settimane con operai, contadini, donne, intellettuali e studenti.
Cuba ha ribadito la sua intenzione di mantenere una relazione con gli USA, su base paritaria e senza precondizioni. Anche il presidente Maduro, senza perdere di vista l’importanza di smantellare i piani controrivoluzionari, ha esortato Washington ad approfittare del tavolo aperto in Messico per discutere le differenze tra i due paesi. Sia all’Avana che a Caracas si sa quale mano muove la culla.
Venezuela, Cuba y la táctica del diálogo
Omar Rafael García Lazo
Tras años de asedio económico, político, mediático, diplomático y de agresiones terroristas y amenazas militares, la Revolución Bolivariana ha obtenido una nueva victoria, al obligar a EE.UU. y a la Unión Europea a sentar a sus fichas de la oposición a dialogar con el gobierno de Nicolás Maduro.
Lo ocurrido ha sido posible, en primer lugar, por la resistencia de la alianza cívico-militar bolivariana, lo que ha obligado a la nueva administración estadounidense a evaluar su táctica de cara al derrocamiento del proceso chavista.
La mesa de diálogo establecida en México, con Noruega como garante y el acompañamiento de Países Bajos y la Federación Rusa, tal vez tenga un final distinto a los esfuerzos negociadores desarrollados entre 2017 y 2019 en República Dominicana, Noruega y Barbados.
En aquel entonces, la administración de Donald Trump se embarcó en un plan dirigido a destruir la Revolución Bolivariana, por lo que le eran prescindibles eventuales acuerdos negociados entre el legítimo gobierno de Maduro y la oposición. Las mesas resultaron en fracasos, lo que confirmó el carácter dependiente de la oposición venezolana.
Otros tiempos
América Latina mira a China cada vez con más entusiasmo, mientras sobrevive al fracaso social y económico de una ola de gobiernos derechistas y neoliberales que desarticularon los avances alcanzados por sus antecesores y fueron incapaces (son) de sortear el desafío socioeconómico que significa la pandemia.
Estados Unidos es consciente de lo anterior y ante un mundo que se asoma al declive de la unipolaridad y con las sombras simbólicas del capítulo Afganistán, está obligado a defender y reposicionar su hegemonía en Latinoamérica.
La región vive un momento de interesantes giros políticos, aunque distantes de los ímpetus integradores y liberadores de principios de siglo. En este escenario, Biden pareciera apostar por tácticas menos abiertas que las usadas por Trump.
Aprovechar la diversidad de matices políticos y de intereses económicos latinoamericanos podría facilitarle la tarea de regresar con fuerza a la zona.
Venezuela y Cuba
La Casa Blanca tiene dos escollos importantes que sortear en su afán por afianzarse en la zona: Venezuela y Cuba.
Ya la OEA con su descrédito, no resiste un nuevo esfuerzo por atacar a Venezuela; mientras que el Grupo de Lima se quedó sin campamento. Los fracasos de las acciones antivenezolanas son tan estridentes que ya resulta inmanejable para algunas cancillerías latinoamericanas y europeas mantener ese camino trillado.
Washington ha comprendido esto y ha dado luz verde a los diálogos en México. Allí cuenta con sus súbditos dentro de la oposición venezolana y sus aliados de la OTAN. El gobierno bolivariano no llega solo, la diplomacia rusa lo acompaña y el respeto de los mexicanos no será poco.
No se puede olvidar que la administración Obama, de la que Biden fue su vicepresidente, empleó contra Venezuela diversos recursos dirigidos a derrocar al gobierno de Maduro. Fue Obama el que firmó la orden ejecutiva que catalogó a Venezuela como una amenaza inusual y extraordinaria para la seguridad nacional de EE.UU.
Sin embargo, el contexto amerita otro plan: arrancar concesiones a Maduro a cambio del levantamiento de las medidas de bloqueo y crear las condiciones para una derrota electoral de la Revolución chavista.
Asume la actual administración estadounidense que el desgaste de estos años, las consecuencias del bloqueo económico y de la pandemia impactarán en los próximos comicios presidenciales, previstos para el 2024, y sobre los cuales, Diosdado Cabello, vicepresidente del Partido Socialista Unido de Venezuela, dijo que la fecha se mantiene.
La subestimación de la identidad chavista y la conciencia ganada por la mayoría del pueblo venezolano podría llevar a Biden a un clásico error de cálculo frente a Venezuela o al fracaso de las negociaciones, si insiste, a través de la oposición, en condiciones inaceptables para el gobierno venezolano.
Respecto a Cuba, histórica fue la visita de Obama a la Isla socialista con Raúl Castro como anfitrión. Mientras asfixiaban a Venezuela, Obama intentaba un nuevo camino dirigido a minar desde adentro la Revolución cubana. La señora Biden también caminó por las calles de La Habana y algo debió contarle al hoy presidente Joe.
Trump desmontó la “variante Obama” para Cuba y lanzó, con la pandemia como aliado, un ataque a fondo contra la economía isleña. El plan era poner en tensión la Revolución y crear condiciones para organizar un estallido social mediante las acciones previstas en los manuales de golpes blandos.
Biden arribó al poder con este plan en marcha y no lo ha detenido. Así le ocurrió a Kennedy con la invasión por Bahía de Cochinos en 1961. Parece que los demócratas están predestinados por la providencia a cargar con los fracasos más estrepitosos frente a Cuba.
Todos los actores contrarrevolucionarios financiados por años por agencias estadounidenses se pusieron en fila y apoyaron la operación que tuvo dos momentos importantes en noviembre de 2020 y en julio de 2021, mientras que una red comunicacional de amplio espectro comenzó a sembrar una nueva matriz propagandística: la necesidad de un “diálogo” al interior de la sociedad cubana.
Ni una de las 243 medidas de carácter económico que tomó Trump contra Cuba ha sido modificada por el actual mandatario. Además, ha “sancionado” a militares por la supuesta “represión”, y catalogó al Estado cubano como “fallido”, en un intento por mantener la hostilidad y la presión contra La Habana, mientras parece aflojar con Caracas.
¿Aspira Biden y su equipo a lograr una desestabilización interna en Cuba que obligue a la Revolución a entablar un diálogo con sus enemigos nativos?
La insistencia de los diversos y minúsculos sectores contrarrevolucionarios en esta matriz, confirman que es un recurso más de los que tiene Washington para deslegitimar internacionalmente y debilitar internamente a la Revolución cubana.
Pero en el caso cubano, Biden tiene un gran problema: el único interlocutor que tiene la Revolución cubana para sostener un diálogo sobre los problemas cubanos es el pueblo, principal sostén del proceso político y protagonista inequívoco en la construcción del socialismo.
Así lo confirman la respuesta popular dada en Cuba a los intentos desestabilizadores del 11 de julio pasado, y los encuentros que ha tenido el Presidente Miguel Díaz-Canel en las últimas semanas con obreros, campesinos, mujeres, intelectuales y estudiantes.
Cuba ha reiterado su intención de mantener una relación con EE.UU., de igual a igual y sin precondiciones. También el presidente Maduro, sin perder de vista la importancia de desmontar los planes contrarrevolucionarios, ha instado a Washington a aprovechar la mesa abierta en México para discutir las diferencias entre ambos países. Tanto en La Habana, como en Caracas se sabe qué mano mueve la cuna.