Geraldina Colotti
Mentre in Colombia continuano le proteste popolari e anche i massacri di giovani, ex guerriglieri e leader comunitari, la stampa di regime scende in campo per cercare di incidere sul dialogo tra opposizione golpista e governo bolivariano in Venezuela. Gli argomenti sono sempre gli stessi utilizzati per bocciare il referendum sugli accordi di pace in Colombia nel 2016: la paura del “terrorismo”, ovvero della lotta di classe, essendo ovviamente occultato il terrore seminato dalle classi dominanti contro chi cerca di scalzarle dal potere.
Quel che accade in Perù è un ultimo esempio calzante. Con questo ricatto, ripetuto in maniera martellante dai media egemonici, si cerca di “humalizzare” la gestione del maestro Castillo. Humalizzare, ovvero depotenziare e cooptare il presidente com’è accaduto in precedenza con Ollanta Humala, che ha cominciato a sinistra ed è finito a destra, in quel magma indistinto e corrotto in cui ha prosperato il fujimorismo in Perù.
Il governo Castillo è riuscito a ottenere la fiducia, però a prezzo di far fuori il ministro degli esteri, Bejar, un vecchio quadro marxista che aveva ben chiari i termini dell’integrazione latinoamericana, e voleva tirar via il Perù dal nefasto Gruppo di Lima. Un’istituzione artificiale creata per far cadere il governo di Nicolas Maduro e picconare nello stesso modo quello cubano e nicaraguense, essendo i tre paesi considerati dagli Stati Uniti “l’asse del male”.
Ora, in attesa che Castillo si rechi negli Stati Uniti a settembre, e mentre non si placano i rumori di golpe dell’estrema destra, bisognerà capire se la pressione del fujimorismo riuscirà a ottenere risultati, considerando che il nuovo ministro degli Esteri non spicca per sentimenti bolivariani. Bejar, che sta moltiplicando i webinar, ha raccontato quale sia lo stato di confusione ideologica del governo Castillo, l’assenza di quadri formati nell’entourage del pur ben intenzionato presidente, l’attacco dei media, e soprattutto il pericolo rappresentato dall’estrema destra latinoamericana, che ha il suo centro propulsore proprio in Perù.
Bejar ha raccontato anche come, all’assunzione d’incarico di Castillo, era arrivato l’ordine “da fuori” di non rifornire di carburante l’aereo con il quale era arrivato l’allora ministro degli esteri venezuelano, Jorge Arreaza, che aveva dato un passaggio anche a quello cubano, Bruno Rodriguez. Ha spiegato di aver dovuto fare i salti mortali per far capire ai militari che dovevano prendere ordini dal governo e non viceversa.
L’America Latina è, insomma, più che mai un continente in disputa e il “multilateralismo” bellico nordamericano, nonostante i suoi ripetuti fallimenti (da ultimo quello in Afghanistan), continua a essere l’unica carta da giocare per l’imperialismo nel sud globale.
L’Osservatorio nazionale sulle misure coercitive unilaterali in Venezuela ha spiegato come funziona lo “stanziamento storico” erogato dal Fondo monetario internazionale (Fmi) “per riattivare l’economia mondiale”, e deciso il 2 agosto dal Consiglio di amministrazione del Fondo Monetario. Uno stanziamento di 456.000 milioni di Diritti Speciali di Prelievo (Dsp), la valuta dell’Fmi, pari a 650.000 milioni di dollari, al fine di sostenere la liquidità globale e “aiutare la ripresa economica mondiale” dopo l’impatto causato dalla pandemia.
L’emissione – sottolinea l’Osservatorio – costituisce la cifra più alta di risorse che l’Fmi ha iniettato nell’economia mondiale dalla sua fondazione: quasi il triplo della quantità di risorse approvate dallo scoppio della bolla immobiliare nel 2008-2009. La decisione aggrava le disuguaglianze economiche strutturali già denunciate rispetto ai vaccini, poiché la distribuzione delle risorse favorisce i Paesi che hanno più soldi, e quindi contribuiscono di più come “azionisti” dell’Fmi. Venti paesi, dei 190 che compongono l’Fmi, riceveranno 468.780 milioni di dollari.
Tra queste nazioni, ce ne sono solo due dell’America Latina e dei Caraibi (Messico e Brasile) e nessuna dell’Africa. Con questo sistema di quote, il Venezuela avrebbe dovuto ricevere più di 5 miliardi di dollari di fondi approvati attraverso l’emissione di Dsp. Tuttavia, gli Stati Uniti hanno esercitato il loro veto in quanto principali azionisti dell’Fmi, impedendo al Consiglio di consegnare le risorse che di diritto corrispondono al Venezuela.
Il Fondo Monetario ha giustificato la sua aperta violazione del mandato delle Nazioni Unite, affermando che “non sa” chi sia il presidente del Venezuela, se l’autoproclamato Guaidó o il presidente eletto Nicolas Maduro. Il governo bolivariano ha denunciato alla Corte penale internazionale le ripetute violazioni dei diritti umani costituite dalle illegali misure coercitive unilaterali che hanno colpito l’intera società.
Le “sanzioni”, hanno sottolineato diversi esperti indipendenti delle Nazioni Unite, violano il diritto allo sviluppo dei popoli che ne soffrono e hanno portato il governo venezuelano a fermare o sospendere i programmi previsti per gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, compresi i progetti agricoli e per la tutela dell’ambiente.
Il Secondo re-incontro con la Madre Terra, che si è concluso a Caracas, ha ricordato come le “sanzioni” abbiano colpito anche i diritti della natura, sanciti dall’articolo 127 della Costituzione Bolivariana. E questo in un momento in cui il continente latinoamericano è esposto agli effetti devastanti del cambio climatico, con la loro alternanza di inondazioni e siccità. In Venezuela, le piogge torrenziali hanno provocato frane, distruzioni di case, e 20 morti, e il governo ha proclamato lo stato d’emergenza.
L’ecosocialismo è il quinto obiettivo del Plan de la Patria 2019-2025, ideato da Hugo Chávez e riaffermato dal governo di Nicolás Maduro, che ha rilanciato “le tre r” – ridurre, riutilizzare, riciclare- come politica dello Stato, e ciò è diventato ancora più necessario di fronte al blocco economico. In un Paese che conta 2.700 km di coste, 43 parchi nazionali, boschi e una grande varietà di animali rari o unici, tutelare l’ambiente significa preservare la vita e l’economia di intere popolazioni, soprattutto autoctone.
La natura – dice l’ecosocialismo – è uno dei modi più efficaci per combattere il cambiamento climatico e la sua protezione dovrebbe essere una parte essenziale di tutti i piani per ridurre il riscaldamento globale, poiché è facendo affidamento sulla natura che le emissioni di gas serra possono essere ridotte fino a un terzo, come deve essere fatto in tutto il mondo entro il 2030: senza, però, nascondere l’asimmetria esistente in un mondo globalizzato in cui domina la ricerca del profitto. In un sistema simile, anche la tutela dell’ambiente ha un costo elevato, gestito e determinato dagli interessi economici e politici degli stati che controllano le tasche degli stati del sud… Lo si vede nel mercato delle emissioni e delle “compensazioni” che va in scena nei grandi vertici.
Al suo servizio, il sistema capitalista ha una fiorente industria della disinformazione, alimentata da una pletora di think tank, ONG e fondazioni pesantemente finanziate, i cui dati forniscono il pretesto per imporre le cosiddette sanzioni.
Un’informazione così distorta serve anche ad alienare le simpatie di quelle aree della sinistra soft che, negli Stati Uniti o in Europa, leggono il mondo attraverso la lente monolitica della “critica del modello estrattivista”. Una lente che, nel porre la questione ambientale, elude la necessità di “cambiare il sistema per cambiare il clima”, come gridava Chávez negli anni scorsi, insieme ai movimenti popolari.
In seguito all’autoproclamazione di Juan Guaidó come presunto presidente ad interim del Venezuela e all’attuazione artificiale delle sue rappresentazioni all’estero, i burattini degli Stati Uniti hanno prodotto vari rapporti su commissione. Uno di questi si proclama Rapporto Annuale del Commissario Presidenziale per i Diritti Umani, e si intitola pomposamente: “Venezuela. Situazione dei diritti umani in uno stato fallito”. La logica è sempre la stessa: presentare le conseguenze di misure coercitive unilaterali, immorali e illegali, che loro stessi hanno chiesto e chiedono ai loro burattinai, come errori e fallimenti del governo bolivariano.
Le loro fonti, presentate come “indipendenti”, fanno riferimento a strutture pesantemente finanziate da agenzie statunitensi e simili. I loro “esperti” dipendono da organizzazioni private e università apertamente schierate contro il governo bolivariano e contro tutti i progetti a favore del popolo, nei quali essi vedono una limitazione dei loro privilegi. I “loro” popoli indigeni sono quelli che riescono a manipolare e corrompere, per poi presentarli come difensori della natura nelle grandi istituzioni internazionali.
L’obiettivo della cosca “autoproclamata” è ovviamente anche qui l’interesse materiale: deviare fondi destinati al popolo venezuelano e utilizzarli per scopi personali o destabilizzanti, presentando progetti “alternativi e indipendenti”, anche in ambito ambientale. E allora ecco un articolo a riguardo, che utilizza gli stessi “esperti” dell’”autoproclamato” rapporto sui diritti umani.
Recita trionfante “Il 2021 inizia con una celebrazione alla quale il Venezuela non è invitato, il Decennio delle scienze oceaniche per lo sviluppo sostenibile, 2021-2023”. Come dire: la difesa dei pesci e degli oceani dev’essere affidata soltanto agli squali.